Il “giallo” è ancora una buona risorsa per gli esordienti italiani
26 Settembre 2010
“Quando si muore si muore soli” recita il verso di una canzone di De Andrè. Ed è esattamente ciò che capita a Giovanni Orsini, in un giorno tra l’altro del tutto particolare, visto che l’Italia gioca la semifinale dei mondiali. In più Giovanni non è solo morto, è stato avvelenato, questa è almeno la certezza da cui parte l’indagine del commissario Vernica.
Il giallo costruito da Emanuela Fontana, al suo esordio, non è una tuttavia una classica storia d’indagine; qui, oltre al commissario che deve scoprire l’assassino, c’è anche il morto, che chiuso in una scatola di legno e zinco, vede e sente i discorsi di tutti i presenti al suo funerale.
Sulle panche della Chiesa ad assistere alla funzione, ci sono tutti coloro che gli sono stati vicino in vita: la madre, la moglie, il figlio, le due amanti e i colleghi di lavoro. Tutti pronti a indossare degli occhiali scuri per non tradirsi con un’emozione più manifesta, sospetta. Perché tra loro l’assassino deve esserci, questo lo sanno sia Vernica che Giovanni. Ma chi gli poteva volere la sua morte?
Giovanni in vita era il dirigente di una grande azienda, un uomo potente, che sulla sua ambizione e cinismo aveva costruito le basi del suo successo. Una persona di cui aver timore come per alcuni suoi sottoposti, di cui essere gelosi come per il fratello meno fortunato, di cui soffrire la freddezza e le astuzie come per la moglie, o di cui essere innamorati alla follia come per una delle amanti, o al contrario da odiare come per il figlio.
Giovanni ascolta i loro pensieri, e più si sofferma su ciascuno di essi, più scopre verità di cui da vivo non poteva nemmeno sospettare l’esistenza, troppo concentrato com’era sulla sua di vita. Andando avanti sembra che per un motivo o per l’altro tutti abbiano da rimproverargli qualcosa, tanto che il commissario Vernica si decide a lavorare più “sui rancori non confessati che sugli odi eclatanti”.
Ma il tempo della sepoltura sta per avvicinarsi e Giovanni vuole scoprire anch’egli la confessione del suo omicida, prima di andarsene chissà dove, e per questo prova ad aiutarsi ricostruendo le sue ultime ore di una giornata come si diceva all’inizio speciale, perché c’era un’euforia fuori dal comune per le strade della capitale, che aveva contagiato tutti. E in quel giorno, ricorda il protagonista, era entrato in contatto con tutte le persone e gli oggetti della sua vita. Uno scherzo del destino forse, o altro.
Al lettore, come in ogni buon giallo che si rispetti, lo svelamento del mistero è offerto alla fine, senza troppo clamore, ma mantenendo quel tono lieve ed equilibrato che rende il romanzo godibile per tutto il tempo della lettura. D’altronde la scelta surreale della voce del protagonista morto, tra l’altro sperimentata con successo già da grandi autori di gialli, funziona e si inserisce in una struttura che più sistematica non si potrebbe e che si riproduce identica fino alla fine (in questa assenza di variazioni si potrebbe scorgere anche un limite). In fondo, però, è soprattutto sulla trama e sulla suspance che si gioca il valore (non unico e assoluto) di un giallo. E l’idea di scoprire chi ha ucciso Giovanni Orsini, stuzzica fino in fondo anche il lettore.
Emanuela Fontana, Indagine sul mio omicidio, Opera Graphiaria Electa 2009