Il governo della destra non deve cadere nella trappola della sinistra

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Il governo della destra non deve cadere nella trappola della sinistra

03 Maggio 2008

La fu maggioranza di centrosinistra ha voluto andarsene lasciando una doppia carta da visita della propria arroganza e prepotenza con due provvedimenti tanto più gravi perché non assunti prima del risultato elettorale, bensì dopo, quando è ormai ovvio che tutto può accadere salvo che essa resti al potere.

La prima carta da visita è quella del ministro Livia Turco che ha emesso le nuove Linee Guida per l’attuazione della legge 40/2004, vanificando di fatto il risultato del referendum che aveva manifestato la volontà popolare di non modificare la legge. Difatti, cadono le limitazioni alla diagnosi pre-impianto, ristrette al caso di «pre-impianto a finalità eugenetica». È un capolavoro di ipocrisia al di là dei limiti della decenza. Esistono forse diagnosi pre-impianto che non abbiano finalità eugenetiche? Il ministro fino-allo-spasimo Turco ci prende tutti per imbecilli o per ignoranti e senza un minimo di rispetto per un voto che ha delegittimato le sue funzioni se ne va menando un colpo di coda velenoso.

La seconda carta da visita è quella del ministro Vincenzo Visco che sbatte in rete le dichiarazioni dei redditi di tutti i cittadini, creando un clima di perversa curiosità che, nel meno grave dei casi, solletica la voglia di sapere quanto guadagna il vicino e, nel più grave, offre uno strumento alla malavita e ai taglieggiatori. Si dice nella fu maggioranza che in tutto il mondo si fa così, lo dice anche l’“americano” Pannella. Questi cosmopoliti a corrente alternata nascondono che negli USA le dichiarazioni dei redditi sono strettamente private ed è rigorosamente vietato persino divulgare l’indirizzo o il numero di sicurezza sociale del dichiarante; che in Gran Bretagna un impiegato che divulghi dati fiscali di una persona perde il posto di lavoro; e che parimenti in Germania le dichiarazioni dei redditi sono protette da rigorose norme sulla privacy. Ma a loro che importa? Queste cose non possono essere capite all’interno di una cultura comunista. E anche qui hanno voluto menare un colpo di coda velenoso.

In questi atti si legge soprattutto la rabbia per dover lasciare le redini del potere, che suscita il desiderio compulsivo di lasciare una traccia, sia pure in “zona Cesarini”. È una rabbia mista a quel sentimento così sfacciatamente espresso dal Manifesto con un linguaggio che la dice lunga sul cammino da compiere prima di pacificare il paese e creare un clima di competizione rispettosa e libera dall’odio: sono tornati i “sub-umani”, gli Untermenschen. Difatti, se il Manifesto ha avuto la “sincerità” di usare un linguaggio che ricorda quello degli anni trenta in Germania, gli atti dei due ex-ministri parlano da soli per il disprezzo che hanno voluto lanciare in faccia nei confronti della maggioranza degli elettori che li ha sfiduciati. È la stessa incosciente arroganza con cui il senatore dalemiano Latorre è venuto in televisione a ribadire che il governo Prodi ha messo in atto una «grande politica estera», senza farsi venire il dubbio che forse bisognerebbe essere più riflessivi.

Di qui alcune considerazioni molto importanti agli inizi di una legislatura che si vuole – e giustamente – improntata a uno spirito costruttivo e alla condivisione di un’opera di rilancio e persino di ricostruzione “bipartisan” del paese in una fase tanto difficile. La questione potremmo riassumerla in questo modo: d’accordo per realizzare assieme e in modo condiviso quanti più provvedimenti sia possibile nell’interesse del paese, ma non per riproporre sotto mentite spoglie, con trucchi o abili contraffazioni, la politica del governo precedente. Altrimenti, si tradirebbe la volontà popolare e ciò verrebbe pagato caro dalla nuova maggioranza che è stata plebiscitata per cambiare registro su una serie di questioni cruciali e non per fare inciuci che perpetuino lo stato di cose. Chi, nella vecchia maggioranza, vuol collaborare in questa nuova direzione, sia pure con necessarie transazioni, ma riconoscendo certi errori passati, dovrebbe essere benvenuto. Chi gioca in modo equivoco dovrebbe essere tenuto a distanza.

Colpisce assai la miscela di disponibilità e di ostilità, di sorrisi e di rabbia con cui viene accolto da taluni il nuovo corso politico. A Roma, ad esempio, è diffusissima la parola d’ordine secondo cui sono venuti al potere i sub-umani e non si è udita la minima autocritica del “modello Roma” veltroniano, ribadendo anzi la sua validità, rigettando ogni critica e irridendo la domanda di ordine e di legalità. «Sono arrivati al potere quelli che passano col rosso», «tra qualche giorno scendono i carri armati per strada», «ci aspettano cinque anni di medioevo», è un piccolo florilegio di quel che si sente in giro. Però – e mi astengo dalle citazioni perché sarebbe troppo lungo – è anche un fiorire di ammiccamenti nei confronti del nuovo sindaco, soprattutto da parte di intellettuali di sinistra. Il nuovo sindaco, pur essendo il capo dei sub-umani, viene definito come persona «troppo intelligente» per non capire che il “modello Roma”, e in particolare il sistema di potere culturale che l’ha realizzato, non può essere smantellato «senza gravi danni». È troppo smaccato il tentativo di irretire i nuovi venuti perché non tocchino le posizioni di potere, gli incarichi e le prebende che la sinistra gestisce da tanti anni. Da questo punto di vista, dichiarazioni come quella di un probabile futuro ministro di volersi portare la sinistra Arcobaleno nel ministero se non sono boutades sono manifestazioni di un’ingenuità senza pari.

È ben chiaro che il centrodestra ha un antico complesso d’inferiorità sul piano culturale e anche su quello della cultura politica. Di qui, l’oscillazione tra il desiderio di cancellare con un brutale e totale spoils system ogni traccia del sistema di potere precedente e il timore di non farcela da soli che suggerisce di affidatasi all’abilità comprovata degli “altri”, sperando nella loro benevolenza in cambio del mantenimento di alcune posizioni di potere. Ma come non si cambiano i libri di storia scrivendoci sopra o censurandoli, bensì mostrando la capacità di affiancare ad essi altri libri migliori, così non è una buona idea mettere in mani infide, che celano dietro il sorriso accattivante il disprezzo per gli Untermenschen, le sorti di obbiettivi che stanno tanto a cuore agli italiani da averli indotti a un terremoto politico che è confrontabile soltanto a quello del 1948.

Una collaborazione bipartisan richiede un atteggiamento riflessivo e disponibile alla revisione, ben diverso da quello che manifesta la protervia dei ministri Visco e Turco o lo sfacciato attaccamento al potere degli adulatori del nuovo sindaco di Roma.

Un altro caso emblematico è quello dell’istruzione. Durante la campagna elettorale è stato un fiorire di appelli “bipartisan” o “trasversali”. Alcuni, come quello per una “scuola del merito e della responsabilità” – firmato anche dallo scrivente – ha ottenuto subito una raffica di insulti sanguinosi da parte dei sindacati e dell’ex-ministro Berlinguer che ha definito i suoi firmatari «relitti del passato gentiliano spazzati via dalla storia». E questo solo per aver menzionato le parole “merito” e “responsabilità”… D’altra parte, alcuni fidati collaboratori dell’ex-ministro hanno preparato un “patto per la scuola” che di trasversale aveva soltanto alcune firme di chi ha voluto sottoscriverlo non rendendosi conto che esso riproponeva, senza il cambiamento di una virgola, la politica seguita dal centrosinistra per un quinquennio. Come se non bastasse, Berlinguer si è prodotto nella presentazione dei discutibilissimi risultati della sua commissione per la cultura scientifica, presentando un programma per la istituzione di laboratori in tutte le scuole basato sulla fallace e sbagliatissima equazione “scienza = laboratorio”. In tal modo, avanzando piani a elezioni avvenute, egli si è comportato analogamente ai ministri Visco e Turco, per giunta agendo come se fosse lui il futuro ministro. In una discussione radiofonica in cui egli ha riproposto le sue teorie educative fasulle – che hanno già condotto a modalità disastrose nell’insegnamento della musica su cui meriterebbe diffondersi a parte – di fronte alle contestazioni che ho avanzato di tali teorie ha proposto con tono suadente: «non dobbiamo dividerci, dobbiamo collaborare”. D’accordo, ma su quale linea? Già una volta è riuscito a Berlinguer di rifilare al ministro Moratti i suoi consulenti e i suoi consigli, avvalendosi della solita soggezione culturale che la sinistra ispira.

Stavolta la storia non deve ripetersi. Non ci piacciono per niente certi inviti alla “trasversalità” e addirittura all’“inciucio” che dovrebbero realizzarsi su una linea che sta tutta da una parte sola e che ripropone la sola miscela indigesta di un pedagogismo misto Dewey e sessantotto; di quella falsa autonomia che ha trasformato l’università in un Libano di 5434 corsi di laurea e che vorrebbe trasformare le scuole in “comunità educanti” simili al paese dei balocchi – in cui un gruppetto si raccoglie a parlare di storia, un altro decide di far musica, ovvero, per dirla con Collodi, «chi ride, chi urla, chi chiama, chi batte le mani, chi fischia, chi rifa il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo»; di un aziendalismo che uccide i contenuti entro la miriade di adempimenti di una burocrazia soffocante; di organi collegiali che meriterebbero soltanto di essere soppressi; di una valutazione tutta concentrata sulla forma e su teorie “docimologiche” fasulle e mai sulla sostanza.

Cosa vogliamo l’abbiamo detto in tanti interventi e, in particolare, nei documenti di Magna Carta che sono una base ben più seria e costruttiva di certi fasulli documenti traversali. E soprattutto è da evitare che la solita soggezione nei confronti della “superiorità” culturale della sinistra finisca con l’imporre il solito predominio dei soliti “pedagogisti di stato”. Nelle tantissime lettere di insegnanti e genitori che riceviamo in questo periodo ci resta impresso il richiamo con cui si chiude una di esse: «Fuori i mercanti dal tempio».