Il governo di Pechino ignora Obama ma i cinesi sono entusiasti

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Il governo di Pechino ignora Obama ma i cinesi sono entusiasti

10 Novembre 2008

Appena si è avuta la certezza della vittoria di Obama, il governo di Pechino ha fatto partire il telegramma con le congratulazioni di rito. Il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao hanno ricordato la “collaborazione costruttiva” tra Cina e Stati Uniti sottolineando “gli interessi comuni e la responsabilità condivisa in questioni importanti che riguardano il benessere dell’umanità”. Dichiarazioni scarne e molto formali tipiche della tradizione diplomatica cinese. Se fosse stato eletto McCain le parole sarebbero state identiche.

Le televisioni cinesi hanno aperto i telegiornali con la marcia trionfale di Obama ma, una volta data la notizia, sono tornate a concentrarsi sui fatti nazionali, soprattutto i giganteschi  investimenti che la Cina sta facendo in patria (Sichuan) e all’estero (Africa). Niente fiumi di inchiostro, insomma. E nemmeno celebrazioni, speculazioni o tentativi di appropriarsi del risultato elettorale americano come invece è avvenuto in Italia.

Per il cinese della strada conta poco che alla Casa Bianca ci sia un repubblicano o un democratico. In passato lo hanno deluso entrambi. Clinton fece bombardare l’ambasciata cinese di Belgrado durante la guerra in Kosovo. A quei tempi un americano che si trovasse a Pechino poteva tranquillamente essere lasciato a piedi dal tassista. La presidenza Bush iniziò nel modo peggiore per Pechino. Colpa dell’aereo spia americano costretto a un atterraggio di emergenza nell’isola di Heinan dopo uno scontro in volo con un caccia cinese.

Ma nella reazione alla vittoria di Obama non c’è solo il basso profilo governativo. Secondo un sondaggio del “China Daily” il 75% dei cinesi ha tifato per Obama. In generale, l’ascesa del senatore dell’Illinois è stata seguita con grande curiosità dai cinesi e ha migliorato l’immagine che la Cina ha degli Stati Uniti (una nazione sostanzialmente razzista).

La politica cinese ovviamente va oltre le suggestioni del momento e guarda pragmaticamente ad altri fattori. Gli interessi economici in ballo tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese sono talmente tanti e talmente alti che le due superpotenze non possono ignorarsi. Il portavoce del ministro degli Esteri di Pechino ha messo la crisi finanziaria americana (assieme al nodo irrisolto di Taiwan) in testa ai problemi da affrontare nell’ottica delle relazioni tra il governo di Pechino e il nuovo inquilino della Casa Bianca. D’altra parte se l’economia americana dovesse affondare i suoi effetti devastanti colpirebbero tutta l’Asia. Idem se la Cina dovesse fare i conti con una crisi finanziaria: Washington perderebbe la più salda delle sue ancore di salvezza.

Poi c’è il giudizio sulla lotta al terrorismo e sulla guerra preventiva che ha caratterizzato l’amministrazione Bush. La Cina non ha mai gradito né l’una né l’altra. La speranza è che l’atteggiamento di Obama in politica estera sia più prudente e conciliante. Durante i due mandati di Bush, Washington e Pechino si sono mosse in perfetta sintonia su altri temi molto delicati, spesso a scapito dell’Europa. I due paesi per esempio non hanno firmato il trattato di Kyoto né sembrano disposti a farlo.

Sul fronte dei diritti umani gli Stati Uniti hanno incalzato la Cina molto meno dell’Europa, nonostante l’impegno personale di George W. Bush verso il Dalai Lama e i monaci tibetani. Sarà interessante capire se Obama adotterà una strategia diversa o si muoverà sulla scia del suo predecessore. C’è forse solo un punto sul quale, se Obama imiterà Bush, tutti saranno d’accordo: l’atteggiamento nei confronti della Corea del Nord, una minaccia sempre incombente ma che l’America ha dimostrato di tenere a bada negli ultimi anni.