Il governo Quirinale-tecnici è il nucleo fondante del nuovo centrismo italiano

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Il governo Quirinale-tecnici è il nucleo fondante del nuovo centrismo italiano

13 Gennaio 2012

La sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato i due referendum promossi per cambiare l’attuale legge elettorale segna, con tutta probabilità, la fine definitiva della fase bipolare della democrazia italiana che era cominciata con la "discesa in campo" di Silvio Berlusconi nel 1994.
La numerosa e varia alleanza che aveva promosso i due quesiti – tra cui i "professori" riformatori di Mario Segni, il Pd, Vendola, Di Pietro – non aveva un obiettivo unanime e condiviso: ma l’effetto dei referendum, qualora avessero avuto successo, sarebbe stato senza dubbio un forte impulso verso un ritorno dall’attuale sistema proporzionale Calderoli con premio di maggioranza al sistema prevalentemente maggioritario della legge Mattarella, che si accompagnò alla svolta in senso bipolare del nostro sistema politico negli anni Novanta del secolo scorso.

Il sistema di democrazia dell’alternanza che ha caratterizzato la politica italiana nella cosiddetta "seconda Repubblica" è stato definito (la formula è stata coniata dallo storico Giovanni Sabbatucci) un "bipolarismo polarizzato", cioè contrassegnato da schieramenti cementati essenzialmente dalla radicale contrapposizione reciproca, imperniata soprattutto sul conflitto personalistico tra filo-berlusconiani ed anti-berlusconiani.

Nella precedente storia repubblicana italiana l’asse del sistema politico era stato invece sempre il centrismo, ossia la formazione di ampie maggioranze di coalizione fronteggiate da opposizioni a destra e sinistra: un sistema imposto dai conflitti ideologici della guerra fredda, e caratterizzato da un ruolo determinante dei partiti nelle istituzioni e da un alto tasso di instabilità e di trasformismo, che a sua volta si ricollegava all’eredità del sistema liberale prefascista.

Quel tipo di centrismo è crollato insieme al sistema dei partiti della "prima Repubblica" sotto i colpi di Tangentopoli, della Lega, e proprio dei referendum sul sistema elettorale che aprirono la strada ad una legge uninominale/maggioritaria.

Nella politica italiana post-1993, il centrismo sarebbe stato da qualcuno spesso  rievocato, sognato e progettato: dipingendolo, questa volta, non più come un equilibrio obbligato da circostanze eccezionali, delegittimazioni e forze anti-sistema, ma semmai come l’alternativa di una politica moderata e "saggia" all’esasperazione di un bipolarismo "fallito" proprio perché estremizzato ed esasperato. Il progetto di un riequilibrio in senso neocentrista, contrastante con l’esperienza storica di tutte le democrazie liberali consolidate, è stato accarezzato non soltanto dai "reduci" della "Repubblica dei partiti", ma anche da tutto un complesso di forze sociali organizzate (associazioni imprenditoriali, sindacati, ordini professionali, banche, assicurazioni, finanza, persino settori della Chiesa) che per un motivo o per l’altro erano timorose o diffidenti verso un modello di democrazia in cui i governi godessero di ampie possibilità decisionali, e dunque avevano nostalgia di un sistema di equilibri complessi, caratterizzato da trattative ad oltranza e ampi poteri di veto, nel quale ritenevano che i propri interessi stratificati e le proprie aspirazioni avessero maggiore possibilità di essere efficacemente salvaguardati.

Gli ultimi mesi del 2011 hanno visto il collasso del "bipolarismo polarizzato", con il disfacimento della maggioranza di Berlusconi e la dichiarata incapacità del centrosinistra a proporsi come alternativa di governo nel momento più drammatico della crisi della finanza e del debito italiano nel sistema-Euro. In quel vuoto, si è affermato come unico potere politico effettivo quello del Capo dello Stato Giorgio Napolitano (già da tempo in crescita progressiva speculare alla paralisi di partiti e schieramenti), il quale ha imposto ad una classe politica smarrita un governo tecnico capitanato dal suo candidato Mario Monti e ha copntinuato a sostenerne costantemente l’operato, configurando il passaggio ad un vero e proprio semipresidenzialismo senza legittimazione elettorale. Il tutto nella cornice di un uso fortemente politicizzato della retorica patriottica nelle celebrazioni del centocinquantenario dell’unità d’Italia, e di una martellante campagna "anti-casta" contro la classe politica orchestrata da molti mezzi d’informazione di massa.

E’ proprio in questa nuova situazione di transizione – quella di una maggioranza apparentemente di "grande coalizione" che in realtà si regge soltanto sull’accettazione passiva ed impotente, da parte di sinistra e destra, di una realtà imposta da circostanze esterne – che prende forma e forza un rinnovato progetto di sistema politico a base centrista.

Non a caso, l’unica tra le forze politiche attuali a sposare fin dall’inizio  senza riserve la soluzione del governo tecnico/presidenziale Monti è stata proprio l’Udc di Pierferdinando Casini, in coerenza e continuità con gli anni della "seconda Repubblica", indicandola come via d’uscita moderata dagli eccessi del bipolarismo personalizzato. Casini scorge, infatti, nella fase del governo di emergenza e "tregua" un’occasione unica per creare un’area politicamente egemone, e naturale candidata al governo, che sia estranea sia alla destra che alla sinistra così come si sono configurate nell’ultimo ventennio. I "tecnici" e la supremazia del presidente Napolitano sull’esecutivo sono, per il leader centrista, l’anticamera di quella che potrebbe essere stabilmente una nuova classe di governo "moderata": in cui il distacco tecnocratico e la rispettabilità dell’aplomb "istituzionale" si uniscano alla consumata esperienza di mediazione sociale delle vecchie generazioni democristiane. Ma su questo obiettivo tendono a convergere, con l’Udc, molti tra quei poteri organizzati di cui sopra, che hanno dato il loro avallo alla formazione del governo Monti. E che soprattutto pensano, per la fase politica successiva, ad un’ordinaria amministrazione caratterizzata da governi di larga coalizione non più tra i partiti tradizionali, ma direttamente tra rappresentanze dei maggiori blocchi sociali-economici-corporativi. 

Alla riuscita dell’operazione di Casini e delle forze sociali anti-bipolariste  sono però assolutamente necessarie due condizioni: che non si vada ad elezioni anticipate prima del 2013, e che nel frattempo si raggiunga una qualche intesa su una nuova legge elettorale di impianto maggiormente proporzionalistico, in modo da sancire ufficialmente la fine di ogni velleità bipolare. I referendum sul sistema elettorale avrebbero complicato  entrambi i fronti: o riorientando (se si fossero tenuti) il sistema politico verso il maggioritario, o costringendo le forze politiche ad esso contrarie a provocare l’interruzione della legislatura – e dell’esecutivo Monti – pur di evitarli.

Ora la sentenza della Corte costituzionale ha tolto le castagne dal fuoco a  questo progetto. Il traguardo del neo-centrismo "tecnico" sembra farsi dunque sempre più vicino, e le aspirazioni ad una democrazia dell’alternanza di modello occidentale fondata sulla sovranità popolare appaiono sempre più flebili.
Ciò, beninteso, sempre che il governo Monti resista agli alti e bassi delle tempeste economico-finanziarie internazionali, e duri effettivamente fino allo scadere naturale della legislatura.

Ed in ogni caso resta da chiedersi, da un lato, come reagiranno le forze sociali e politiche coinvolte nel progetto quando si renderanno conto – come, in parte, sta già accedendo – che l’esecutivo tecnico "del presidente" può attingere, in realtà, in molti campi proprio a quell’ampia autonomia decisionale che ai governi investiti dal consenso elettorale – per divisioni interne e contrasti istituzionali – è sempre stata negata. E, dall’altro, per quanto tempo l’eventuale nuova classe di governo egemone riuscirà a convincere gli elettori nel loro complesso che sia conveniente rinunciare alla possibilità di scelta e ricambio dei governanti assicurata in tutto l’Occidente dalla democrazia dell’alternanza.