Il laicismo grillino contro il Crocifisso
01 Ottobre 2019
di Aldo Vitale
«Cristo abbracciò la Croce. E oserò io negare la sua immagine, quella della sua Croce? Profitterei della Vittima osando disprezzare l’altare?»: così il celebre poeta John Donne si interrogava nell’incipit del suo poema dedicato alla croce.
I versi di Donne risultano quanto mai adatti al caso in questione, cioè quello che, con una certa monotona ciclicità, si ripresenta quasi biennalmente all’attenzione del dibattito politico-culturale italiano, ovvero la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche e da quelle giudiziarie.
L’ultima iniziativa in tal senso è stata di recente sponsorizzata dal neo-ministro dell’Istruzione Fioramonti, esponente del Movimento 5 stelle, che, dai microfoni di Radio Rai 1, ha proposto la rimozione del crocifisso da sostituire con una cartina geografica, poiché, a suo dire, in nome dei principi di laicità e di uguaglianza le scuole italiane non dovrebbero rappresentare una sola cultura.
Su una simile proposta, che andrebbe presa sul serio in quanto proveniente da un Ministro della Repubblica, si possono effettuare almeno tre considerazioni critiche.
In primo luogo: il Ministro Fioramonti sembra equivocare il concetto di laicità intendendola nel senso comune e non in quello reale ed originario.
La laicità, infatti, non significa né astiosa antireligiosità, né banale indifferenza verso le religioni.
La laicità, del resto, proprio per come si è storicamente e concettualmente affermata è nata nell’alveo della cristianità in genere e di quella cattolica in particolare, derivando il suo uso semantico attuale dall’uso del termine che per primo fece proprio Papa Clemente Romano, terzo successore di Pietro, per indicare non già coloro che non appartengono a nessuna chiesa, ma coloro che sono “nella” chiesa, ma non “della” chiesa, cioè quanti non sono chierici, senza per questo essere atei o non cristiani.
Il principio di laicità, allora, non soltanto può dirsi tipicamente cristiano, ma specificamente di matrice ecclesiale.
Il crocifisso, dunque, in quanto simbolo del Cristianesimo non è una negazione della laicità, ma una sua compiuta affermazione e suprema manifestazione.
In secondo luogo: il Ministro Fioramonti sembra non tener conto neanche della reale radice storica ed etica del principio di uguaglianza che proprio grazie al Cristianesimo, di cui il crocifisso è simbolo, ha avuto modo di svilupparsi in quella profonda accezione da tutti oggi avvertita quale elemento fondamentale del vivere sociale e giuridico di uno Stato democratico, come del resto ammette un esponente di spicco della cultura risorgimentale quale è stato Giuseppe Mazzini per il quale, infatti, nella Dichiarazione dei diritti dell’89 sono stati riassunti «i risultati dell’Epoca cristiana, ponendo fuor d’ogni dubbio e innalzando a dogma politico, la libertà conquistata nella sfera dell’idea del mondo greco-romano, l’eguaglianza conquistata dal mondo cristiano e la fratellanza, ch’è conseguenza immediata dei due termini».
Il crocifisso, non a caso, rappresenta l’uguaglianza del Dio incarnato nella persona del Figlio che si fa uguale alle sue stesse creature e di tutte le creature tra loro in quanto figlie di un unico Padre creatore.
Il crocifisso, dunque, in quanto simbolo del Cristianesimo non è una negazione del principio di uguaglianza, ma una sua somma epifania e massima espressione.
In terzo luogo: sembra del tutto fuorviata e fuorviante l’idea del Ministro Fioramonti per cui il crocifisso non esprimerebbe tutte le culture e per almeno tre ragioni.
L’universalità del cristianesimo supera tutte le differenze culturali così che il simbolo cristiano per definizione, il crocifisso, non può essere ritenuto parte di una sola cultura senza ammettere l’implicito pregiudizio anti-cristiano che una simile impostazione necessariamente presuppone.
La cultura italiana, piaccia o meno, è profondamente cristiana e non sarebbe l’esclusione del crocifisso dai luoghi pubblici a garantire la de-cristianizzazione della cultura italiana; la rimozione del crocifisso, quindi, non sarebbe sufficiente a garantire le minoranze non cristiane in modo effettivo, se non accompagnata da una simile “epurazione” da doversi compiere anche nell’ambito della storia, della letteratura e dell’arte. E sembra grottesco che una simile prospettiva possa essere avanzata proprio dal Ministro dell’Istruzione che o non crede realmente a ciò che predica, non trovando il coraggio di portare fino in fondo il proprio ragionamento, o, più paradossalmente, trovando il coraggio di portarlo fino in fondo lascia ipotizzare il rischio di una prossima manomissione e menomazione dei programmi scolastici di storia, letteratura e arte.
Infine, risulta quanto mai ingenua l’idea di dover rimuovere il crocifisso per motivazioni “quantitative”, cioè per rispetto delle minoranze non cristiane che frequentano le scuole italiane e ciò per almeno due ragioni: 1) perché sarebbe paradossale ammettere che il sentimento religioso di una maggioranza debba subire una deminutio per rispettare il sentimento religioso di una minoranza; 2) perché se in un prossimo futuro la maggioranza degli italiani dovesse professarsi, per esempio, islamica sarebbe utopistico applicare una simile logica al rovescio data la comprovata intolleranza delle autorità islamiche nei confronti dei simboli cristiani.
Il crocifisso, dunque, in quanto simbolo del Cristianesimo non è una negazione della universalità della cultura, ma una sua perfetta concretizzazione ed eccelsa estrinsecazione.
Alla luce di tutto ciò, la proposta del Ministro Fioramonti appare del tutto priva di senso e sorretta soltanto da un cieco e banale laicismo – sublimazione ideologica della vera idea di laicità – tanto che, oltre ogni ulteriore considerazione, ad essa possono opporsi le sapienti riflessioni di una donna laica e progressista come Natalia Ginzburg che, evidenziando l’importante lezione umana che il crocifisso silenziosamente impartisce nelle aule scolastiche, dalle colonne de “L’Unità” del 22 marzo 1988 così scriveva:«Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E’ muto e silenzioso. C’è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte dei muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino».