Il martirio di Samuel Paty e l’Occidente relativista che distrugge le sue libertà

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Il martirio di Samuel Paty e l’Occidente relativista che distrugge le sue libertà

Il martirio di Samuel Paty e l’Occidente relativista che distrugge le sue libertà

19 Ottobre 2020

Cosa si può dire che non sia stato già detto sul tema della minaccia integralista islamica in Occidente, dopo l’efferato assassinio del professore di storia francese Samuel Paty, “colpevole” di aver mostrato le vignette satiriche su Maometto ai suoi allievi in una discussione a scuola sulla libertà di espressione?

Primo. Questo orrendo episodio rappresenta la tarda (ma purtroppo, c’è da temere, non l’ultima) manifestazione di un conflitto che l’Occidente, o almeno l’Europa, ha sostanzialmente già perso molto tempo fa. Quando in nome della “religione diversitaria”, del multiculturalismo relativista, ha consentito che al proprio interno si insediassero stabilmente sempre più numerose comunità al cui interno valgono princìpi incompatibili con la concezione dell’uomo, della libertà, dell’uguaglianza sedimentata nella storia occidentale. Anzi: le sue classi politiche e intellettuali hanno decretato che i princìpi fondanti, le radici dell’Occidente (incluse quelle religiose ebraico-cristiane) si possono, o addirittura si devono criticare, mentre invece i princìpi identitari di quelle comunità – ed in particolare l’islam in tutte le sue accezioni – vanno considerati al di sopra di ogni critica, intoccabili.

Le élite attuali euro-occidentali hanno, insomma, deciso la auto-relativizzazione della nostra civiltà. Samuel Huntington ci ha ricordato che le civiltà non sono entità permeabili, che esse resistono intorno al nocciolo duro della propria identità, e che l’occidentalizzazione del mondo era un’aspettativa in contraddizione con la storia. Ma qui siamo di fronte ad una civiltà che si rende di propria iniziativa permeabile, attraverso un meccanismo autodistruttivo di tipo ideologico, aprendo la strada ad una “colonizzazione” al contrario, alla sua “libanizzazione”, ad una guerra civile al proprio interno, che pare sempre più inevitabile man mano che passa il tempo.

Secondo. Il forte richiamo a non separare religione e ragione e a rifutare ogni legame tra religione e violenza, lanciato da papa Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006, rappresentò in proposito l’estremo tentativo di invertire la rotta, di avvertire sia l’Occidente che le società islamiche dell’abisso al quale si stava andando incontro. La reazione di rigetto che quel richiamo provocò nel mondo islamico, l’autocensura che l’Occidente “ufficiale” da allora si è imposta su questi punti, segnano un punto di svolta negativo dal quale difficilmente si riuscirà a tornare indietro. Si può ora scendere in piazza quanto si vuole, riesumare le cerimonie di gessetti e palloncini colorati, rispolverare gli hashtag #jesuis, e persino invocare severe repressioni dell’estremismo jihadista ed esplusioni dei suoi capi dalla Francia o da altri stati europei. Ma se non si ritorna a rivendicare senza autocensure né auto da fé l’identità cristiana intesa, secondo la definizione ratzingeriana, come “religione del logos”, e l’umanesimo da esso sorto come fondamento per ogni difesa della dignità umana, nessun dialogo da pari a pari è possibile con altre civiltà, nessun “ponte” si può costruire, nessun argine a difesa delle democrazie liberali può essere innalzato.

Terzo. Quelle democrazie nel giro di vent’anni hanno visto deperire in modo particolarmente drammatico uno tra i loro pirncìpi essenziali: la libertà di espressione. Prima con l’autocensura nei confronti dell’islamismo. Poi con l’egemonia dell’ideologia politcamente corretta, che delegittima e criminalizza chiunque osi negare la realtà fittizia dei “nuovi diritti” da essa costruita (se ne sta vedendo in Italia da ultimo una potente manifestazione nell’illiberale disegno di legge Zan). Infine, con l’avvento dei regimi “sanitocratici” in seguito alla pandemia di Covid, che hanno segnato in molti paesi occidentali una svolta autoritaria nella politica e nei media, e che cercano di bollare come “negazionisti” tutti quelli che si oppongono ad uno stato di emergenza praticamente indefinita che sta strangolando le società. Il libero dibattito, il pluralismo, il confronto tra opinioni che nel passato ha rappresentato uno dei punti di forza decisivi dell’Occidente, sembra ormai del tutto snaturato, facendo emergere sempre più l’ombra di dittature incipienti: “autoctone” o “d’importazione” che siano.

Una deriva rovinosa su cui sarebbe necessario riflettere, prima che sia troppo tardi.