Il Medioevo non era buio come lo dipingono
12 Dicembre 2016
di Luca Negri
“Roba da medioevo”. Espressione che si usa per marchiare, con infamia, tutto ciò che puzza di reazione o disumanità. Così nel linguaggio giornalistico e quello da bar, spesso si assomigliano, anche una lapidazione islamica diventa “roba medioevale”. Eppure nell’Europa dell’età di mezzo non si lapidavano le donne, nemmeno gli uomini; nessun essere umano subiva quel tipo di pena capitale, nessun cristiano. Appunto, un’epoca così profondamente cristiana, evitava ciò che Cristo aveva sconsigliato.
Certo, ci ricordano l’avventore del bar e il giornalista memori dei libri di storia delle medie, c’erano i roghi, l’Inquisizione, gli strumenti di tortura che mettono i brividi in tanti musei. C’era il male, dunque: bella scoperta. Nella storia intera dell’umanità, e probabilmente anche prima, il male si è accomodato ovunque, in ogni stagione. Il secolo scorso ha visto raffinatezze d’infamia sconosciute a quelli precedenti, eppure non si sente ancora dire “roba novecentesca” quando si parla di lager, gulag e bombardamenti atomici.
Inoltre la ricerca storica degli ultimi decenni, meno faziosa di quella di scuola illuminista e marxista, ha restituito un’immagine del medioevo più complessa, sfaccettata e in estrema sintesi meno negativa. Il Sacro Romano Impero, nonostante il nome stesso possa incutere timore a un sincero democratico, non era un mostro totalitario ma garantiva notevoli libertà civili e federali. I servi della gleba, anche loro penalizzati dal nome poco onorevole, non erano schiavi ma lavoratori che spesso potevano gestire i tempi del mestiere con più autonomia di un odierno impiegato.
Fra parentesi, ai tempi di vassalli e valvassori la schiavitù era stata abolita, condannata dalla Chiesa; pareva un crimine contro Dio considerare una sua creatura alla stregua di una cosa. L’economia schiavista riprese alla grande con l’epoca moderna, cosiddetta riformata, grazie agli stati assoluti e al mercato capitalista. Una seria studiosa del periodo, Régine Pernoud, oltre a criticare l’uso del termine “medioevo” già ideologico e peggiorativo, ha dimostrato che le donne non erano mica tanto sottomesse, anzi spesso occupavano ruoli chiave nel mondo della politica e della cultura.
Che il medioevo sia stato tante cose, soprattutto un inesauribile serbatoio di suggestioni culturali, religiose e politiche dal quale estraiamo ancora a volontà, lo spiega bene il professor Tommaso Di Carpegna Falconieri in un saggio ben scritto e documentato: Medioevo militante (Einaudi). Scopiamo così tante età di mezzo; spesso più immaginarie che storicamente attendibili, partorite dalle fervide menti e dai cuori generosi del romanticismo ottocentesco. Chi crede che l’attrazione o la nostalgia per l’epoca possa collocarsi politicamente solo a destra (la monarchia, la Tradizione, il cavaliere crociato, la società gerarchica) scopre che esiste un medioevo di sinistra fatto di anarchia giullaresca e libertà comunali. Inoltre, qualcosa di magico e fatato aleggiava per forza su quei secoli, se la loro civiltà fa sfondo alle fiabe e ai romanzi fantasy.
Fu poi l’epoca d’oro della cristianità, dominio incontrastato della Chiesa sul piano culturale. Infatti molti cattolici tradizionalisti si abbandonano all’utopia reazionaria e vorrebbero tornare indietro, restaurare la teocrazia. Cosa impossibile, sconsigliabile per la Chiesa stessa, dato che equivarrebbe a consegnarla al passato invece di proiettarla nel futuro pur mantenendola ancorata all’eterno. Semmai, come consigliò Augusto Del Noce, occorre interiorizzare il Sacro Impero e cercare di attuarne le positività nell’epoca del liberalismo democratico e della civiltà massmediatica. Così fece papa Wojtyla, meritandosi un bel complimento da parte dell’insigne storico dell’età di mezzo Jacques Le Goff: “Giovanni Paolo II è il medioevo più la televisione”.
Di Carpegna Falconieri concentra però il suo saggio sulle tracce di medioevo ancora presenti nella nostra contemporaneità, belle o brutte che siano: dal neo-templarismo demente e degenerato di Breivik ai giuramenti leghisti di Pontida, dalle rievocazioni storiche in tanti borghi italici ai giochi di ruolo ambientati fra castelli e foreste celtiche.
Dunque, il medioevo è ancora nostri contemporaneo, non se né mai completamente andato. È un peccato che il libro non citi nemmeno in nota il filosofo russo Nikolaj Berdjaev che nei primi anni ’20 firmò un saggio di non trascurabile fascino e potente spirito profetico: “Nuovo medioevo” annunciava la fine della modernità ed il ritorno ad una nuova età di mezzo dove le questioni religiose e spirituali avrebbero mosso il mondo e i popoli molto più delle idee laiche ereditate dall’umanesimo. Allora è meglio tenersi pronti, indossare l’armatura o mettersi in marcia a piedi verso un santuario come un pio e tenace pellegrino.
[Il meglio dell’Occidentale, pubblicato nel dicembre 2011]