Il mio nome è Juno e vi racconto quali sono le cose importanti della vita

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Il mio nome è Juno e vi racconto quali sono le cose importanti della vita

22 Novembre 2009

L’aria, già carica di umidità, è impastata di monossido; quasi si sviene. Del resto è il 12 luglio e la canicola romana, sommandosi ai fumi degli scappamenti, piegherebbe chiunque. Juno poteva scegliere un punto meno appestato di via Nazionale (ore 13.15, traffico al picco) per incontrare Alvaro; ma lei pare che sappia classificare bene i problemi e respirare per mezz’ora veleno al tavolino di un simil fast-food effettivamente rientra nella categoria delle questioni che non hanno consistenza.

Non c’è omonimia: lei è proprio Juno che a sedici anni ha fatto un pargolo e l’ha dato in affidamento alla coppia che meglio lo sapesse amare. E’ la stessa che non ha voluto abortire guadagandosi gli applausi di Ferrara ai tempi della lista elettorale a tema, di quel pezzo di cattolici che ha la virtù di dire le stesse cose in chiesa e in mezzo alla gente, di un po’ di laici che non temono di essere arrostiti dall’inquisizione dei loro parenti sghembi di confessione laicista.

Se al tempo del film che Jason Reitman ha plasmato sulla sua storia le avessero chiesto chi fosse ‘sto Ferrara, forse avrebbe pensato alla storpiatura di un bolide di Maranello. Ma fino a due anni fa era ancora a migliaia di chilometri di distanza, nell’America che a lei ha regalato un sogno realizzabile ovunque. Eppure pensa che quella creatura sia proprio la concretizzazione del suo sogno americano, che a sentirla quasi non sarebbe stato fisiologicamente realizzabile da un’altra parte. E’ come se gli States, non il suo ragazzino, le avessero dato la ragione più importante per amare la sua casa.

Oggi Juno sa perfino chi è Giuliano Ferrara, che vorrebbe mangiarsi i gomiti per essere venuto a sapere dopo Alvaro che l’antiabortista del buonsenso (non della parrocchia integralista) fosse in Italia. “Junbruco”, come la chiamavano, è a Roma (città scelta piantando la penna sull’atlante) per lavorare, per impilare due denari e poter decidere del suo destino prossimo lontano da pranzi di famiglia e paternali; la mascotte del Fogliante adora i suoi, ma dopo il bimbo ha voluto dare a sé stessa una nuova prova di responsabilità realizzando che avrebbe potuto pensare alla forma del suo futuro solo molto lontano dagli affetti; pagando da sé un frangente di vita capitolina per godersi la bellezza della città eterna e insieme riflettere, contenta che il figlio sia tra le braccia di una coppia che lo spupazza di baci, ma al contempo, fatalmente, impegnata a fabbricare immagini in cui è lei a tenere per mano il pargolo che cresce.

Sa chi è il direttore del Foglio perché appena è sbarcata in Italia le hanno detto che Ferrara stravedeva per la sua saggezza “qualunquista”; lei, la piccola donna con un carisma che fa invidia, umilissima e trascinante, ha comprato una copia del giornale e si è fatta raccontare chi fosse il suo capo. Ma Juno resta una diciottenne e nonostante abbia idealmente eletto l’Elefantino a suo babbo italiano, non ha pensato per un attimo di sacrificare chitarra e sport per seguire i convegni degli antiabortisti o immergersi nelle paginate sul diritto naturale. Questo non signifa che Juno sia una sprovveduta, tutt’altro: lei è una madre in scala, ma ben sa collocare la sua scelta tra le categorie dell’esistenza e del pensiero. Tra quelle in cui archivia le sue decisioni non c’è “casualità” (a parte la scelta di traslocare a Roma) o “pentimento”.

Juno legge assai, di rock ma anche di cose che si intrecciano con la sua storia, su cui – in fondo – continua a chiedersi i motivi di tanto rumore.

Non legge trattati né prolusioni della CEI, ma la sua testa dotata di “luccicanza” è istintivamente attratta dai temi “pesanti” della vita e della morte, della gioia e della speranza. Forse è per questo che non ama questa politica, che vorrebbe dimenticasse un po’ le cronache sulle donnine e si occupasse di più di questioni centrali, di soldi ma anche e soprattutto di obiettivi che non si toccano. La sua sensibilità però – quella sì – si palpa, se è vero che, interrogata sulle sue priorità che non abbiano il profumo della moneta – parla di vita, sempre di vita.

Vorrebbe raddrizzare il legno storto della malattia non con la rimozione del malato, ma col sostegno nella sofferenza, con la promozione del volontariato per non lasciare soli gli anziani e aiutare i bimbi in corsia; con l’affiancamento delle mamme, soprattutto le più giovani come lei, per spiegare loro lungo un percorso (che sia un tracciato vero di sensibilizzazione e di amore, non un foglio con le avvertenze “notarili”) che una vita non si cancella con una pastiglia.

E’ grazie a queste cose grandi che Juno ha conosciuto Alvaro, Berardini sulla carta d’identità.
Di mezz’altezza, rassegnato alla stempiatura, barba geometrica, Berardini è il direttore di “Buonsenso”, mensile cattolico che parla quasi soltanto di biopolitica. E’ nato “rubando” al Foglio, ispirandosi smaccatamente all’approccio “buonumoristico” con cui Ferrara squarciò la cappa – politicamente correttissima – sul genocidio silenzioso.

“Buonsenso” muove i primi passi nel maggio 2008, a un mese dalle politiche, arrogandosi con presunzione costruttiva il diritto di continuare la crociata laica del Foglio. Lo avrebbe fatto con pochi mezzi, marchiandosi esplicitamente col timbro della rivista cattolica, puntando a conservare un tratto di “propaganda” mai paludata.

Morale: Berardini batte Ferrara sul tempo e dedica la copertina di settembre (dopo la pausa di agosto) a Junbruco. Titolo a caratteri cubitali: “Juno di dire la Verità”. All’interno un’intervista di tre pagine in cui Alvaro chiede alla mamma in scala di tutto il suo mondo. Anzitutto del bimbo (omaggio a una concretezza, cattolica e di “Buonsenso”, per cui mai si deve predicare di “fame nel globo terracqueo” se non si aiuta il disabile del terzo piano), quindi di volontariato, di Eluana, di fecondazione assistita, di RU-486. Juno risponde con una chiarezza disarmante dicendo (in inglese ovviamente, il suo italiano è ancora approssimativo) che una vita si vede con l’ecografo, non con il rosario; che non devono essere nuovi Mengele a selezionare vite “giuste” e “sbagliate” o a dare corpo alla “dittatura dei desideri”, che piega natura e ragionevolezza; che al principio la vita non può essere banalmente espulsa con una pastiglia, e alla fine (o alla presunta fine) non si può spegnere foss’anche un solo battito di ciglio a dare il senso della presenza, qui e ora.

Quest’ultimo riferimento Juno l’ha saccheggiato da un’intervista di Enzo Jannacci, “ateo laico molto imprudente”, che così si espresse immaginando di avere un figlio nelle condizioni di Eluana. Col medico prestato alla canzone Juno non condivide nulla, se non la libertà, radicale, da banalità e conformismi. Sorretto del “Buonsenso” è il filtro più efficace per preservare i polmoni dai fumi di via Nazionale. E del nichilismo. Grazie Junbruco.