Il mistero della nave affondata tiene con il fiato sospeso la Corea del Sud

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Il mistero della nave affondata tiene con il fiato sospeso la Corea del Sud

29 Marzo 2010

Venerdì scorso la nave militare sudcoreana Cheonan, di stazza superiore alle 1.200 tonnellate, è affondata nei pressi dell’isola di Baengnyeong, nel Mar Giallo, nella zona del confine marittimo de facto esistente  tra le due Coree. Dei 104 membri dell’equipaggio, 46 risultano ancora dispersi. Seoul ha escluso ufficialmente un coinvolgimento di Pyongyang nella vicenda. Tuttavia, quest’incidente non può che accrescere le tensioni ed indebolire la precaria stabilità della penisola.

Per la Corea del Sud, la preoccupazione immediata appare la ricerca dei dispersi. Il Presidente Lee Myung-bak ieri ha dichiarato che: “Le indagini dovranno essere condotte in modo esauriente e i loro risultati dovranno essere resi pubblici, così da non lasciare nessun sospetto circa le dinamiche dell’incidente”. Lee ha poi sottolineato che “la cosa più importante in questo momento è salvare i dispersi”. La Marina militare ha spedito una nave da 3.000 tonnellate per le ricerche, oltre a due dragamine.  Gli Stati Uniti, presenti in Corea del Sud con un contingente di 25.000 soldati, hanno annunciato la spedizione di una nave a sostegno delle ricerche. I soccorritori ritengono comunque molto improbabile riuscire a trarre in salvo dei sopravvissuti a più di 48 ore dall’esplosione,  soprattutto a causa delle fredde temperature del Mar Giallo.

Il capitano della Cheonan, tratto in salvo, ha ricostruito così l’incidente: “Ho percepito il suono di una esplosione e la nave piegarsi a destra. Abbiamo perso potenza e l’accesso alle telecomunicazioni”.  Alle riunioni ministeriali di emergenza che si sono succedute  nelle ultime ore a Seoul si è cercato di dare una risposta all’incidente. Tre sono le possibili cause all’origine dell’esplosione. La prima riguarda un attacco esterno, portato da un siluro nordcoreano. Tenendo presente che sia la Presidenza che il Ministero della Difesa precisano che non vi sono indicazioni per determinare un coinvolgimento deliberato di Pyongyang, le probabilità potrebbero essere notevoli, soprattutto tenendo presente l’intensità delle schermaglie avvenute tra le due marine militari nella stessa zona; l’ultimo scontro risale al gennaio scorso, allorché la Corea del Nord sparò 30 colpi di artiglieria ai quali la Corea del Sud rispose con 100 colpi di avvertimento. Tuttavia, il sistema di rilevazione radar della Cheonan avrebbe avvertito dell’imminente pericolo. La seconda ipotesi avanzata richiama alla presenza di mine acustiche nordcoreane. In questo caso, ufficiali della Marina sudcoreana ammettono che si tratta di un’arma finora mai usata da Pyongyang. La terza possibilità rileva un’esplosione interna, provocata da un guasto oppure da un errore umano.

Un episodio di questo tipo aumenta enormemente le preoccupazioni a livello regionale per una  escalation militare, dovuta in modo particolare alla fragilità del regime. Le notizie che giungono dagli esuli nordcoreani emigrati in Cina e dai servizi segreti americani raccontano di una lotta di potere intestina per la successone a Kim Jong il, ritenuto in precarie condizioni di salute. Negli ultimi vent’anni, l’apparto dittatoriale nordcoreano ha sempre proiettato i momenti di instabilità interna verso l’esterno. Seoul, dal canto suo,  sembra intenzionata ad evitare un conflitto aperto. Ciò anzitutto per ragioni strategiche. Sebbene l’esercito sudcoreano sia tecnicamente superiore, Pyongyang potrebbe rivalersi su Seoul, distante solo 30 kilometri dalla zona militarizzata e popolata da un sudcoreano su quattro. In secondo luogo,  uno scontro militare comporterebbe il problema dei rifugiati e della ricostruzione: si tratterebbe di costi enormi a carico principalmente della Corea del Sud. Infine, nessuna delle potenze regionali (Cina, Giappone e Stati Uniti), per motivi diversi, intravede un interesse nello scoppio delle ostilità.