Il «Modello Napoli» è fallito sotto i colpi di Gomorra e cumuli di rifiuti

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Il «Modello Napoli» è fallito sotto i colpi di Gomorra e cumuli di rifiuti

04 Ottobre 2009

 

Uno spettro si è aggirato per la cultura e la politica meridionale negli anni Novanta del Novecento: il “meridianismo”. Possiamo definire così, nel complesso, la tendenza a considerare esaurita la questione meridionale, nell’orizzonte di una progressiva autonomizzazione economica e politica delle diverse aree del Sud Italia.

Tale tesi veniva elaborata originariamente nei circoli intellettuali della sinistra ex- o tardo-marxista riuniti dalla casa editrice Donzelli e dalla rivista “Meridiana”, sotto la suggestione di nuove correnti storiografiche, economiche e sociologiche che sostenevano la pluralità dei modelli di sviluppo, e di un clima favorevole a trasformazioni istituzionali in senso federalistico. Essa traeva, poi, ulteriore forza dalle riforme elettorali, che a partire dal 1993-1995 propiziarono la formazione di una nuova classe politica locale di amministratori locali legittimati dall’elezione diretta.

In generale, l’idea del “Mezzogiorno senza meridionalismo” si fondava sull’assunto che il Sud italiano dovesse essere accomunato, più che allo Stato nazionale e all’Europa, ai “Sud del mondo”. Nelle sue punte più radicali, essa prendeva addirittura la forma filosofica del “pensiero meridiano”, teorizzato da Franco Cassano come alternativa culturale al razionalismo euro-occidentale, o quella di un rifiuto della categoria stessa di sviluppo economico, ad opera dello storico Piero Bevilacqua.

Non stupisce che tra i nuovi leaders politici meridionali, prevalentemente di sinistra, e quegli ambienti culturali si creasse una consonanza. Ma il più abile tra essi – il sindaco di Napoli, poi governatore della Campania, Antonio Bassolino – andò oltre. Egli teorizzò e praticò un’imponente strategia di politica culturale che, utilizzando tutti i finanziamenti pubblici italiani ed europei disponibili, avrebbe dovuto fungere da propulsore dello sviluppo economico locale, attraendo flussi turistici ed “eventi” di richiamo nazionale ed internazionale. In tal modo, egli raccolse intorno a sé un nutrito ceto di intellettuali, artisti, professionisti che costituì il nucleo propagatore di una vera e propria ideologia della riscoperta delle radici, dell’identità, della tradizione culturale, di una originalità creativa non omologata ai modelli nazionali o esteri dominanti. Un ceto che affondava in gran parte le sue radici nella cultura politica post-sessantottina, allontanatasi sensibilmente dal meridionalismo di stampo nazionale-europeo per esaltare la cultura subalterna della “plebe” napoletana e campana, indicata come depositaria di valori originari resistenti all’”omologazione” borghese.

Sfortunatamente a questo quadro mancavano alcuni tasselli non propriamente trascurabili, benché non tutti riconducibili alla responsabilità dei poteri locali: la costruzione di un autonomo tessuto industriale e imprenditoriale (salvo rare eccezioni), un apprezzabile livello dei servizi pubblici e della burocrazia, la riconquista del territorio occupato dalla criminalità organizzata e, non meno, dalla microcriminalità diffusa.

La via culturale allo sviluppo si ridusse dunque ben presto, per Napoli e la Campania, ad una mera operazione di immagine, attraverso la quale iniziative anche di alto livello venivano dispensate con una logica “promozionale” e come premio agli intellettuali “fedeli”. E, parallelamente, il vasto movimento di risveglio identitario che si era creato intorno al “Rinascimento” napoletano andò ripiegando sulla sua originaria natura populista, riducendosi ad un coacervo di stereotipi, ad un corto circuito tra velleitarismi snob-elitari ed esaltazione acritica delle “radici”. Il tutto condito da una tonalità di fondo esplicitamente cortigiana, a difesa e legittimazione irriducibile del “Principe” dalle cui pubbliche elargizioni quegli intellettuali dipendevano.

L’ideologia di Napoli capitale del Mediterraneo e dei Sud del mondo diveniva sempre più debole, sempre più declinata in senso vittimistico e rivendicativo. Essa sarebbe stata infine spazzata via dall’inconsistenza di ogni preteso risveglio economico, ma soprattutto dal ciclone suscitato dal libro Gomorra di Roberto Saviano (che testimoniava in maniera sconvolgente il sempre crescente potere dei clan camorristici) e dalla spaventosa emergenza dei rifiuti tra 2007 e 2008.