Il movimento di Vendola è solo un esempio della frammentazione italiana

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Il movimento di Vendola è solo un esempio della frammentazione italiana

27 Gennaio 2009

“Non un partito ma un partire”. Giochi di parola a parte, che ricordano peraltro quelli di opposti lidi politici tipo “marciare non marcire”, è durata lo spazio di un week-end "Rifondazione per la Sinistra": il nuovo movimento di Nichi Vendola, col difetto di produrre una sigla che ricordava forse troppo quella di una nota emittente radiofonica. Poiché però il "Movimento per la Sinistra" nato al suo posto è a sua volta una sigla politica, a questo punto sono ben 13 i gruppi e movimenti nati negli ultimi 18 anni dalle ripetute scissioni che hanno cercato di mantenere viva la tradizione comunista italiana.

A partire da quella stessa di Rifondazione Comunista, staccatasi nel 1991 da un Pci ormai in procinto di trasformarsi in Pds. Nel 1994 l’elezione alla segreteria di Fausto Bertinotti portò infatti alla prima scissione di "Iniziativa Comunista", poi finita sotto inchiesta a proposito del delitto D’Antona. Nel 1995 il rifiuto di Rifondazione di votare in favore del governo Dini portò alla scissione dei "Comunisti Unitari": che in gran parte venivano dal vecchio "Pdup per il Comunismo", confluito nel Pci nel 1984; che nel 1998 avrebbero preso parte alla fondazione dei Ds; che nel 2007 in polemica contro il Partito Democratico sarebbero poi transitati in maggioranza nella nuova Sinistra Democratica; ma che nel 2008 avrebbero infine quasi tutti accettato proprio il Pd.

Nel 1996 quando Rifondazione Comunista vota la fiducia al governo Prodi se ne va la deputatessa Mara Malavenda, che dà vita ai "Cobas per l’Autorganizzazione". Nel 1997 quando la fiducia al Prodi è confermata se ne va la "Confederazione Comunisti/e Autorganizzati", seguita l’anno dopo da "Azione Popolare". Quando però sempre nel 1998 Bertinotti decide di passare all’opposizione è il "Partito dei Comunisti Italiani" di Cossutta e Diliberto a nascere, per entrare a far parte del governo D’Alema. Tra i due si colloca nel 2000 la "Democrazia Popolare" (Sinistra Unita), che si stacca da Rifondazione per aderire nel 2004 al Pdci. Sia Rifondazione che il Pdci nel 2006 decidono però di prendere parte al governo Prodi II, provocando in Rifondazione le altre due scissioni di "Alternativa Comunista" e "Partito Comunista dei Lavoratori": entrambe trozkyste, ma divise da motivazioni che per gli esterni non possono non sembrare discretamente esoteriche. Pure di origine trozkysta è d’altronde Sinistra Critica: altra scissione di Rifondazione anti-governo Prodi, ma di fine 2007. Infine, i movimenti uno e due di Vendola. Ma d’altra parte, se si dovessero considerare tutti i movimenti della Seconda Repubblica che hanno il Pci nel proprio albero genealogico si salirebbe addirittura a 16, con Pds, Ds e Sinistra Democratica.

Ma non solo nel mondo comunista la politica “bipolare” ha prodotto in Italia l’esplosione del frammento. Di fronte ai 13 partiti comunisti, alcuni però ormai defunti, ci sono oggi almeno 15 partiti che si considerano in qualche modo eredi della Democrazia Cristiana, e che sono tutti vivi. Il principale, in questo momento, è la "Unione dei Democratici Cristiani e Democratici" di Centro di Pier Ferdinando Casini, che a sua volta nacque dalla fusione di ben tre differenti “eredi”: il "Centro Cristiano Democratico" sempre di Casini, i "Cristiano Democratici Uniti" di Rocco Buttiglione e la "Democrazia Europea" di Sergio D’Antoni. E alle ultime elezioni ha fatto blocco con altre due schegge: il Movimento Federativo Civico Popolare “Rosa Bianca” di Tabacci, Baccini e Pezzotta e il gruppo di "Liberal" di Ferdinando Adornato. Quest’ultimo, peraltro, che non reclama dalla vecchia Dc un’eredità diretta. Rivendica però quell’eredità la "Alleanza di Centro per la Libertà" di Francesco Pionati, nata a dicembre da una scissione dall’Udc con l’intento di rientrare nel centro-destra. E la "Federazione dei  Cristiano Popolari" di Mario Baccini, anch’essa interessata al centro-destra, ma staccatasi dalla Rosa Bianca. E "l’Italia Popolare – Movimento per l’Europa" di Gerardo Bianco, che stava a sua volta per aderire al patto tra Udc e Rosa Bianca, ma poi non l’ha fatto. E l’Udeur di Mastella, che non si è presentata alle ultime elezioni, ma esiste ancora. E i "Popolari Uniti", scissione dall’Udeur della Basilicata. E i "Popolari Democratici", altra scissione dall’Udeur. E la "Democrazia Cristiana" di Giuseppe Pizza. E la "Democrazia Cristiana per le Autonomie" di Gianfranco Rotondi. E il "Partito Democratico Cristiano" di Gianni Prandini.  La "Rifondazione democristiana" di Publio Fiori. E "Veneto per il Partito Popolare Europeo". E la "Unione per il Trentino" di Lorenzo Dellai. E i "Popolari Liberali di Carlo Giovanardi", uscito dall’Udc per aderire al Popolo della Libertà.

Ma la cifra potrebbe poi crescere a 16 col "Patto dei Liberaldemocratici" di Mariotto Segni, che malgrado il nome, viene poi dalla tradizione democristiana e non da quella liberale. E a 17 col "Movimento per l’Autonomia" di Raffaele Lombardo, che comunque è un ex-democristiano. E a 18 col Partito Democratico, attraverso quell’ala ex-democristiana del "Partito Popolare Italiano" che era confluito alla Margherita. E a 19 con quell’altro gruppo ex-dc dei "Cristiano Sociali", arrivato invece al Partito Democratico attraverso i Ds. A 20 con Forza Italia, che è un partito nuovo ma pieno di ex-dc e riconosciuto dal Partito Popolare Europeo. A 21 con l’Italia dei Valori, partito anch’esso nuovo ma pieno di ex-dc. E a 22 con gli ex-dc in An.

La stessa An, però, è pure parte di una diaspora della destra, che sia pure meno impazzita di quelle Dc e Pci arriva comunque almeno alle dieci sigle: la stessa An; "La Destra" di Francesco Storace; il "Movimento per l’Italia" di Daniela Santanchè; "Azione Sociale" di Alessandra Mussolini; il "Movimento Sociale Fiamma Tricolore" di Luca Romagnoli; il "Movimento Idea Sociale" di Pino Rauti; il "Fronte Sociale Nazionale" di Adriano Tilgher; "Forza Nuova" di Roberto Fiore; il "Nuovo Msi" di Gaetano Saya; "Fascismo e Libertà" di Carlo Gariglio. Quattro sono gli eredi ufficiali del Psi: il "Partito Socialista" di Riccardo Nencini; il "Nuovo Psi" di Stefano Caldoro; i "Socialisti Riformisti" di Donato Robilotta; i "Socialisti Italiani" di Saverio Zavettieri. Ma ci sono poi almeno quattro altri gruppi che sono finiti nel Partito Democratico: i laburisti di Spini e Ruffolo e i "Riformatori per l’Europa" di Benvenuto, attraverso i Ds; i "Socialisti Democratici per il Partito Democratico" di Manca e La ganga, attraverso la Margherita; la "Alleanza Riformista" di Signorile, Del Turco e Andò, che ha aderito direttamente al Pd. E si arriva a nove con la gran quantità di ex-Psi oggi in Forza Italia, da Chicchitto a Tremonti e Sacconi. Se poi ci mettiamo anche il ricostituito Psdi di Magistro e Tommassini e il "Partito dei Socialdemocratici" dell’appena scomparso Luigi Preti l’area socialista sta almeno a quota undici.

Tre sono pure le sigle nel solco del Pli: il ricostituito "Partito Liberale Italiano" di Stefano De Luca, la "Federazione dei Liberali" di Raffaello Morelli e la "Destra Liberale Italiana" di Gabriele Pagliuzzi. Quattro con i Liberal di Vittorio Sgarbi, che ha una storia a sé, ma del Pli ha fatto in tempo a essere parlamentare. Sei con i "Liberal Democratici" già di Lamberto Dini e i "Riformatori Liberali" di Benedetto Della Vedova, che comunque riprendono il nome. Otto con i due gruppi entrati nel Partito Democratico: la "Sinistra Liberale" di Gianfranco Passalacqua attraverso i Ds e la "Associazione per la Democrazia Liberale" di Valerio Zanone attraverso la Margherita. Nove con i liberali finiti in Forza Italia, da Giancarlo Galan a Antonio Martino a Giuseppe Vegas. E dieci con l’Italia dei Valori, che in effetti con la storia del Pli non c’entra quasi per niente, ma attraverso la propria collocazione al Parlamento Europeo ne ha in qualche modo assunto un’eredità.

Il "Partito Repubblicano Italiano", sia pure ridotto ai minimi termini, è l’unico dei partiti storici italiani che esiste ancora. Anch’esso deve però convivere con i "Repubblicani Democratici", federati all’Italia dei Valori, mentre il "Movimento dei Repubblicani Europei" di Luciana Sbarbati è confluito nel Partito Democratico, dove però c’era già una componente di ex-Pri arrivati tramite i Ds (la "Sinistra Repubblicana" di Bogi) e almeno due giunte attraverso la Margherita (la "Unione Democratica" di Maccanico e il gruppo di Bianco). Ma d’altra parte anche il coordinatore di Forza Italia Denos Verdini è un ex-Pri. Insomma, almeno sette.

Esistono ancora pure i radicali, anche se in teoria i Radicali Italiani sono cosa distinta dal Partito Radicale storico, trasformato ormai in soggetto transnazionale.  E se i concorrenti "Radicali di Sinistra" sono una sigla quasi esoterica, sono un soggetto presente in Parlamento col Popolo della Libertà, sia pure in misura minima, i già citati Riformatori Liberali: pure provenienti dalla stessa storia. E anche qui, ci sono poi altri ex-radicali in quantità, dal democratico Rutelli al ministro dei Rapporti col Parlamento di Forza Italia Elio Vito, all’ex-leader verde Pecoraro Scanio.