Il nome del rododendro
05 Novembre 2010
Non sapeva perché, ma quell’edificio emanava una specie di aura di fascino antico e avvolgente come una nube d’oppio.
L’alto portale era attorniato da colonne con fauni sui capitelli, una pesante porta di noce chiudeva l’ingresso e ogni passo veniva amplificato dalle antiche pietre in cui erano immortalate orribili facce allegoriche che digrignavano i loro denti aguzzi e mangiati dall’umido. Corbera trovava il freddo delle navate molto piacevole e d’estate specialmente era un piacere starci.
I mosaici decoravano il pavimento con la grazia e la fantasia di un balletto, i torciglioni addolcivano gli archi seriosi e i matronei toglievano luce alla parte sottostante favorendo l’aria irreale data dalla coesistenza della luce e dell’ombra. Sembrava di essere nel quadro di Magritte L’impero delle luci.
I gradini che conducevano alla cripta erano ripidi e scivolosi. Sui sarcofagi pesanti erano scolpiti i nomi dei secolari defunti che potevano essere contemplati anche sedendosi sulle panchette addossate al muro. Sul lato di fronte alla minuscola breccia d’ingresso, varie cancellate punivano con la segregazione leggiadri altari per l’adorazione di singoli santi. Sui lati corti, invece, riposavano, dentro apposite nicchie scavate nella pietra, i vari abati che avevano fatto la storia della chiesetta con ampliamenti, ammodernamenti, abbellimenti, e così via. Tutti questi elementi contribuivano all’uggiosità e all’etereità del posto, in bilico tra materia e sogno, fra presente e passato.
Era un giorno come tanti e Corbera aveva voglia di vedere la chiesa, si era messo in macchina e l’aveva raggiunta in pochi minuti. Vi era entrato e aveva pensato allegro "Finalmente un giorno senza morti ammazzati". Si era seduto su una panca e aveva iniziato a impregnarsi dell’atmosfera magica.
La campana principiò a suonare, il professore stava guardando il quadrante dell’orologio per vedere che ora era: le dodici in punto. Il suono contribuiva al nirvana. Dopo i canonici dodici ritocchi ne seguirono molti altri. Corbera aveva l’impressione che il campanaro non la volesse più finire.
Mentre pensava questo, un grido né maschile né femminile si levò. Un prete, correndo, aveva visto Corbera e, tirandolo per un braccio, lo condusse davanti a una corda di campana da cui penzolava Tommaso Fresa, il campanaro, che pure dopo morto continuava nel suo lavoro.
***
"Quando si sapranno i risultati dell’autopsia?" chiese il professore al commissario.
"Fra un paio di giorni circa. Sei tu che lo ha visto per primo?".
"Sì".
"Hai detto che si era sentito un grido".
"Sì, ma non saprei dire se di uomo o di donna".
"Che grido ti sembrava?".
"Mah! Forse di orrore… di paura… o anche di sorpresa. Ma purtroppo è molto soggettivo, bisognerebbe badare alle sfumature. Hai già informazioni sul campanaro?".
"Qualche anno fa fu arrestato per droga. Si pensava appartenesse a una banda di narcotrafficanti e spacciatori. Se all’epoca avesse spifferato tutto, metà della nostra beneamata classe dirigente sarebbe a giocare a scopa con la crema dei delinquenti della provincia".
Al commissario squillò il cellulare, rispose e dopo poco gli si dipinse sul volto un’aria stizzita. Il professore gli chiese come mai e lui rispose:
"Lo ‘Stupratore che starnutisce’ ha colpito ancora. Ha cercato di aggredire una ragazza circa sei ore fa, la ragazza era stata stordita e nascosta e solo ora si è svegliata ed è corsa in commissariato".
"Chi è lo ‘Stupratore che starnutisce’?".
"Non lo conosci?! È un maniaco che colpisce in città da qualche mese. Ogni qual volta colpisce, starnutisce in modo così rumoroso che le persone in un raggio di duecento metri lo sentono e accorrono in aiuto: nessuno dei suoi attentati ha avuto successo. Ho allertato tutti i miei uomini".
"Come mai, visto che non ha ancora fatto vittime?".
"Metti il caso che un giorno si compri uno spay per l’allergia…".
Il professore fissò il soffitto e poi, con aria di chi è abituato a ben altre stramberie, domandò:
"Hai interrogato tutti i presenti?".
"Sì, ma l’abate volevo interrogarlo insieme a te".
"Ma quanto sei carino!" commentò Corbera in falsetto.
***
Fu un’impresa trovare la cella dell’abate Fiobe, visto che c’erano decine di porte tutte uguali con una feritoia sul corridoio. Solo dopo alcuni minuti un confratello, evidentemente mosso a pietà, si sforzò di dire dov’era la porta che cercavano.
Bussarono e, quando un altro ecclesiastico gli aprì la porta, il professore e il commissario si stupirono della zaffata dolciastra che li sommerse. Si presentarono.
"Prego signori, entrate. Perdonatemi, ma la morte del povero Tommaso mi ha scosso enormemente".
"Lo conosceva bene?".
"Sì, professore. Dopo il suo fumoso passato si era redento e aveva intrapreso la sana vita del convento".
"Sa se aveva contratti con i suoi ‘colleghi’ della prigione?".
"Ogni tanto lo veniva a trovare un ragazzo, credo di una ventina d’anni, che gli faceva compagnia per un paio d’ore".
"Sa qual era la sua identità?".
"No, ma un paio di volte li ho visti mentre litigavano. Tommaso lo ha schiaffeggiato e lui è scappato".
"Sa perché?".
"Tommaso ha detto che era una pecorella senza ovile".
"Lo ha visto in faccia?".
L’abate ebbe un attimo di titubanza. Sembrava perplesso. Alla fine, come folgorato da una geniale intuizione, disse:
"Purtroppo non vedo molto bene… l’età".
"Capisco. Mi saprebbe dare una qualche caratteristica del ragazzo?".
"Sul polso…".
"Sul polso…?".
"Aveva un braccialetto d’oro regalatogli da Tommaso".
"Sa se Tommaso si confessava?".
"No, ma penso che fosse intimo amico di fra’ Serafino".
"Dove lo possiamo trovare?".
"In chiesa: suona l’organo".
"Grazie".
Una volta fuori dalla cella dell’abate, il commissario si sfogò:
"Non ti sembra il remake di Il nome della rosa?".
"Se vuoi la mia opinione, Falconeri, qui si nasconde un mistero più grande. Un campanaro s’impicca alle dodici in punto in modo da mascherare gli scampanii mortali con quelli dell’orario… e l’odore dolciastro nella cella dell’abate sai cosa era?".
"No".
"Neanch’io, ma mi ricordo di averla sentita in qualche altra occasione. Inoltre le sue dichiarazione sono stranamente incoerenti e l’atmosfera generale puzza di bruciato".
"Costa fatica essere un ecclesiastico: una vita di rinunce".
"Ma quando c’è la vocazione…".
"Sarà" replicò asciutto il commissario.
"Ha detto di non aver visto il volto del ragazzo a causa degli occhi poco affidabili".
"Quindi?".
"Hai notato cosa leggeva?".
"La Bibbia".
"Ma oltre la Bibbia, hai notato qualcos’altro?".
"No".
"Appunto questo è strano".
"Non ti seguo" fece un po’ stranito Falconeri.
"Hai visto per caso anche un paio di occhiali?".
"No".
"Ma allora coma fa a leggere se non vede?".
***
Fra’ Serafino era uno dei monaci più strambi che Corbera avesse mai visto. Molto reattivo e colto da improvvisi attacchi di nervosismo. Magro e del tutto calvo, aveva accolto i visitatori con enfasi. Cordialmente aveva domandato in cosa potesse essere utile.
"L’abate Fioba ci ha detto che lei era molto amico del defunto Tommaso, per questo vorremmo porle qualche domanda".
"Dite pure".
"Ci sa dire se il defunto intratteneva rapporti con qualche suo vecchio amico?".
"No, ogni tanto però lo veniva a trovare un ragazzo che si fermava a parlare con lui".
"Litigavano?".
"No. Io non li ho mai visti litigare, anzi, Tommaso aveva sempre il braccio sulla sua spalla".
"Potrebbe riconoscere il ragazzo?".
"No, non l’ho visto bene in faccia e per di più non ho una buona memoria. Ma posso dirle che era alto un metro e settantacinque centimetri, settanta chili, capelli lunghi e ossigenati, tatuaggi sulla spalla destra, bracciale d’oro e orecchino sull’orecchio destro".
"Complimenti".
"Sa, prima di essere chiamato da Dio ero un poliziotto, perciò sono abituato a fare le descrizioni".
***
"Quindi" pensava ad alta voce Falconeri "non litigavano, perché allora ci ha detto il contrario l’abate?".
"Fra’ Serafino non ci ha detto che non litigavano, ma solo che non li ha mai visti litigare. Forse non potendo mentire e non volendo dire ciò che sapeva, ha potuto solo dire cosa non aveva visto, mentendo per omissione. Forse li ha sentiti litigare e se non ce l’ha voluto dire significa che ha sentito qualcosa di compromettente. Comunque, andiamo con ordine. Un campanaro è morto. Era un ex spacciatore e aveva adottato uno stile di vita consono alla redenzione. Ma qualcosa, molto probabilmente, lo teneva legato alla sua vecchia vita. Però…".
Si era interrotto improvvisamente e guardava in avanti con una faccia un po’ strana. Aveva appena sfornato una teoria straordinariamente improbabile.
"Falconeri, interroga la ragazza che hanno ritrovato. Chiedile qualunque cosa che ci possa dare una mano a identificare lo stupratore. Io intanto interrogherò gli altri monaci".
Ma sono più di cento».
«Che Dio me la mandi buona».
E dopo questo laconico augurio, girò sui suoi tacchi e tornò nel convento.
***
Una serie di strane coincidenze aveva fatto insospettire il professore: il braccialetto d’oro del fantomatico amico del campanaro, l’odore dolciastro nella cella dell’abate, i rintocchi che venivano mascherati da quelli dell’orario, i litigi di cui era testimone l’abate e non frate Serafino, la misteriosa identità del ragazzo, il passato del campanaro, la dichiarazione che la vittima aveva fatto in presenza dell’abate definendo il ragazzo che lo andava a trovare come “una pecorella senza ovile”, il grido che il professore aveva sentito quando aveva ritrovato il corpo e l’agitazione del frate organista. Un miscuglio di elementi che intrigava oltremodo Corbera, un caso che indubbiamente racchiudeva in sé tutte le caratteristiche adatte per far parte dei pochi casi che il professore ricordava con intima soddisfazione personale.
Aveva ragione il commissario a definirlo il remake del Nome della rosa, e il professore stava iniziando a incubare una teoria che non solo lo faceva assomigliare, ma addirittura a farlo diventare come lui.
***
"Fatto?".
"Sì".
"Che ti ha detto la ragazza?".
"Alle sei di stamattina stava andando a lavorare e all’improvviso è stata tirata in un angolo. Qualcuno ha cercato di sbottonarle la camicetta, ma prima che potesse farlo ha fatto uno starnuto fragoroso e si è interrotto. Allora l’ha narcotizzata e perciò non ricorda altro".
"L’ha violentata?".
"No, per fortuna è solo fuggito. Mi ha detto di aver sentito un odore penetrante e gradevole. Questo non ci aiuta di molto".
"Ha notato qualche ninnolo, orecchini… bracciali…".
"No".
"Che lavoro fa?".
"La fornaia".
"Cerca qualche informazione sulla famiglia di Fresa. Vedi un po’ di trovare amanti, sorelle, fratelli, suoceri, zie, cugini… vedi se dicono qualcosa su questo ragazzo, cerca qualunque notizia su di lui, cerca qualche conferma sulle tendenze del campanaro e se qualcuno nel convento ha dei problemi di allergia con la farina".
"Cosa pensi di fare?".
"Vieni".
Il professore fece accostare a se il commissario e poi gli confidò cosa aveva in mente di fare.
***
Era già passato un giorno dall’omicidio. Il professore avvertiva delle avvisaglie di stanchezza ed era consapevole che avrebbe resistito non ancora per molto. Si diresse alla Jaguar e sfrecciò a tutta velocità verso il suo eremo.
Aveva capito il meccanismo della tragedia e le notizie che il commissario gli avrebbe comunicato avrebbero garantito la veridicità delle sue congetture. Il giorno dopo avrebbe provato la colpevolezza dell’assassino. Era un insospettabile quello che doveva incriminare e aveva avuto delle idee geniali per mascherare il suo delitto, ma avrebbe potuto lo stesso spedirlo al fresco.
***
Era una mattinata fredda. Novembre stava facendo avvertire i propri svantaggi, ma il professore era quasi insensibile al freddo, perciò si godeva la scenografia che quel mese proiettava fra gli uomini.
Mentre attendeva che il commissario si facesse vivo con le informazioni che gli aveva domandato, iniziò a dipingere. I soggetti che ritraeva erano comuni, ma spesso surrealisti, con una piccola alternanza con riproduzioni di famosi quadri astratti. Si divertiva a dipingere situazioni impossibili, come un pesce che vola con ali di uccello o una biciclette di ossa. Alcune erano francamente cervellotiche, ma a lui piacevano.
Verso le cinque il commissario si presentò.
***
"Benvenuti".
"Professore, perché mai ha convocato me e fratello Serafino in commissariato? Sa bene di poter venire in convento quando le sembra più opportuno".
"Purtroppo abate, questa volta è stato necessario convocarvi in via ufficiale. Come sapete, il povero Tommaso Fresa, aveva uno stile di vita ai limiti della legalità e spesso varcava questi limiti. Era uno spacciatore di droga e, se ai tempi del suo arresto avesse parlato, tutta l’alta borghesia di questa città – e forse pure nei dintorni – sarebbe finita a contare gli scarafaggi in prigione. Fortunatamente per loro, il campanaro non parlò e si fece cinque anni di carcere. Uscito si aspettava la giusta ricompensa al suo silenzio, ma nessuno era con lui. Entrò in convento sperando di trovare un po’ di tranquillità. E in effetti sembrò andare tutto bene, fino a quando non accadde qualcosa. Immagino che qualcuno lo abbia scoperto mentre nascondeva della droga nella sua stanza, magari quella stessa droga consegnatagli dalla sua complice. Immagino che sia stato l’abate a scoprirlo e che si sia fatto convincere dalla vittima a provare un po’ di quella roba. Forse all’inizio è stato titubante, ma poi ha ci ha provato gusto. Quando sono entrato nella sua stanza, abate Fioba, ho avvertito uno strano odore dolciastro che lì per lì non ho riconosciuto e che solo dopo ho capito essere oppio. Fresa carpì la sua occasione e fece diventare l’abate un oppiomane. La sua vita ora scorre tranquilla: l’abate gli da tutto il denaro che desidera e lui a sua volta lo spedisce alla sua complice. Un giorno, molto probabilmente mentre passeggia lungo il chiostro, vede un uomo che già conosce attraverso il colonnato. Lo individua e comprende che si tratta di un ex poliziotto. Sa che è un poliziotto corrotto, infatti – se ai tempi avesse deposto – avrebbe potuto farlo incriminare facilmente. Ha paura di quell’uomo e confida questo a quel ragazzo che avete visti passeggiare con lui".
I due ecclesiastici erano violacei, ma ammantati in un dignitoso silenzio.
"Ma torniamo al giorno del delitto. Quando ho sentito il grido, non sono andato da solo dal cadavere, ma mi ci ha portato un frate, per cui non sono stato il primo a vederlo bensì il terzo. Il primo è chi ha lanciato il grido, il secondo il frate che mi ha trascinato, infine io. Quando siamo entrati nella sua cella, abate, ho notato che non aveva degli occhiali con cui leggere. Come ci ha detto lei stesso, la sua vista non è eccellente, quindi suppongo che li abbia persi quando ha visto il cadavere. Non ha detto nulla, ma nella fuga ha perso le sue lenti. Il frate che mi ha portato davanti al corpo di Tommaso Fresa deve averli visti e raccolti. Avrà pensato che fosse lei l’assassino e li ha conservati. E chissà che, chi ha gridato, non fosse il ragazzo che veniva trovare Fresa, che avendo capito il pericolo è fuggito. Però, prima di proseguire, lasciate che vi chiarisca una cosa: il ragazzo che vedevate col campanaro, non era altri che la sua complice e moglie. Il braccialetto era un dono comprato con i soldi dell’oppio dell’abate e, circa la definizione dello stesso Tommaso, era una pecorella senza ovile: avrà voluto dire che, stando lui in convento, lei non aveva un a famiglia. Ora ditemi cosa vi sembra di questa piccola trama che ho pensato: l’assassino arriva alle spalle del campanaro mentre questi sta suonando la campana, così ottiene il beneficio di avere abbastanza tempo per scappare senza che nessuno s’insospettisca per i rintocchi, poiché lo scampanio non accenna a fermarsi l’abate va a vedere che succede, vede il corpo penzolare e, impaurito, fugge perdendosi gli occhiali dalle tasche. Subito dopo, la moglie – travestita da ragazzo – passa dal campanile perché è venuta a visitare suo marito. Lo vede, grida e, siccome sa che potrebbe essere la seconda vittima, fugge anche lei. Ma nella corsa verso l’uscita nota gli occhiali. Li riconosce e inizia a credere che sia l’abate l’assassino".
Il professore si fermò per bere un bicchiere d’acqua e, dopo un sospiro, riprese:
"Chiarita la posizione dell’abate nella faccenda, cioè vittima dello spaccio di Fresa e ritenuto a torto un assassino, veniamo a fra’ Serafino. Mentre le parlavo sono rimasto colpito dai suoi sussulti, allora immagino che anche lei sia una vittima di Fresa. cos’è? Morfinomane?".
Il frate non sembrava intenzionato a rispondere alla domanda.
"Inoltre l’aveva riconosciuta e costituiva per lei un elemento di disturbo. Per questo lo ha ucciso".
Sospese per un momento, per dare modo al frate di avere qualche reazione ed esaminarla. Passò un’auto e si fermò al rosso del semaforo proprio sotto la finestra. Deboli e chiare, rese più struggenti da quella lontananza impotente, s’intesero delle note di canzone, quelle di Sassi di Paoli. La scena, da tesa, diventò dolorosa. Il verde scattò, la macchina ripartì.
"Lei sapeva che il ragazzo che lo veniva a trovare era in realtà una donna: quando l’abbiamo interrogata, lei ha contraddetto quanto ci aveva detto prima l’abate. Secondo quest’ultimo avevano litigato, mentre lei ci ha detto che non li aveva mai sentiti. Questo ‘mai sentiti’ mi ha insospettito. Per un naturale meccanismo di difesa della nostra mente, quando dobbiamo nascondere qualcosa la neghiamo subito. Allora credo che lei li abbia proprio sentiti e che abbia sentito una voce di donna rispondere al campanaro che le confessava di essere terrorizzato dalla presenza di un ex poliziotto fra i frati del convento. D’altro canto, frate Serafino, non ho dubbi che lei sapesse che il lavoro di quella donna fosse la fornaia. E non ho dubbi che lei abbia iniziato a cercarla fra tutte le fornaie che vedeva per strada. Se l’avesse trovata avrebbe ucciso anche lei. Per questo sono sicuro che sia lei ‘lo Stupratore che starnutisce’ ".
"Complimenti per la sua fantasia, professore, ma come siamo messi a prove?". La variazione di registro del frate colpì il commissario e l’abate.
"Ciò che renderebbe riconoscibile lo Stupratore è l’allergia alla farina. Ho una cartella della visita medica che fece quando si arruolò in polizia: lei risulta allergico alla farina".
"Commissario, la teoria del professore è giusta in tutto. Mi arresti subito, ma prima mi faccia portare un bicchiere d’acqua".
Falconeri lo fece portare. Il frate lo prese fra le mani e inghiottì una pasticca colorata. Il professore e il commissario gli furono subito addosso. Corbera gli dette all’istante un colpo sulla nuca e gli fece sputare la pasticca.
Il commissario lo guardò stupito e Corbera:
"Il mio gatto ingoia la ghiaia".
***
"E anche questa storia è finita".
"Già, caro commissario".
Era passata una settimana da quando era stata risolta il caso del campanaro. Stavano godendosi il fresco sulla veranda della villa del professore.
"Strano come si commettano follie per nulla" esclamò quest’ultimo.
"Ci sono certi svitati in giro… Come per esempio quando comprasti quello stereo per far sentire la musica a tutte le piante del giardino e per poco non ti beccasti una denuncia per disturbo della quiete pubblica".
"Beh… insomma… non mi pare la stessa cosa…".
"Oppure come quella volta in cui volesti acquistare quel ristorante cinese per imparare la lingua".
"Non proprio…".
"Oppure come quella volta che…".
"Ho capito!".
"Calma, calma. Volevo solo ricordarti di quella volta in cui…".
"Zitto e goditi il panorama".
"Non ti si può dire una cosa che subito ti rode e scoppi".
Corbera non gli rispose.
"Che c’è?" gli chiese Falconeri preoccupato.
"Rodo dentro".
FINE