Il (non) peso elettorale della Cgil

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Il (non) peso elettorale della Cgil

16 Marzo 2018

Il peso elettorale della Cgil. Non c’è alcun voto contro la Cgil”, dice Susanna Camusso alla Repubblica del 9 marzo. Ecco un caso in cui la segretaria nazionale della Cgil ha perfettamente ragione. A chi mai verrebbe in mente di votare conto il vuoto? Quali sono le tesi cigielline che possono accendere passioni tali da suscitare opposizioni? Sarebbe, un po’, come votare contro Vincenzo Boccia.

La rivincita di Renzi come quella di Guarnacci/Tognazzi che punta su Gassman/Artemidori. Su questo terreno avverrà la mia rivincita”. Matteo Renzi spiega sulla Repubblica del 15 marzo che la sua rivincita partirà quando nel Pd spunterà la proposta di un’alleanza con i grillini. Il genietto di Rignano mi ricorda sempre più Ugo Tognazzi nel film “I mostri” di Dino Risi del 1963, quando allena e poi costringe a salire sul ring un disperato Vittorio Gassman, pugile ormai sderenato dall’attività sportiva precedente. Il colloquio finale, dopo che Gassman è stato massacrato di botte, è più o meno quello tra l’ex giovane promessa e il suo partito. Dice Enea Guarnacci/Tognazzi/Renzi : “Ma perché hai abbandonato?”. Risponde Artemio Altidori/Gassman/PD: “Lo so io perché: i cazzotti fanno male”.

Ma ci sono anche sinistre che fanno le sinistre, e se la cavano tutto sommato veramente bene. La crescita coincide con l’arrivo al potere di Antonio Costa, il leader del partito socialista, eletto al grido ‘basta con l’austerità’” scrive Stefano Vergine su L’Espresso del 10 marzo. C’è un Portogallo dove la sinistra non rottama nessuno e recupera anche i vecchi stalinisti del Pcp, dialoga con Bruxelles ma con la schiena dritta e lottando contro l’austerità. Un destino da Matteo Renzi (con contorno di Walter Veltroni), da Carlo Calenda, da Pietro Grasso (scelto peraltro da quella coppia improvvisamente stordita di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema) e da Beppe Grillo, non è ineludibile, anzi per mettere insieme un destino così bisogna metterci molto del proprio ingegno.   

Quando la Reichlin non fa la dentista, mi pare assai deboluccia nell’analisi politica. La ragione è che essi non sono in grado di trasmettere le ragioni perché la loro struttura organizzativa si è praticamente dissolta nel territorio. La mancanza di una presenza capillare, di un rapporto con i cittadini, che era stata la loro forza nella Prima Repubblica, li rende oggi incapaci di comunicare un messaggio” scrivono  Lucrezia Reichlin e Francesco Drago sul Corriere della Sera del 13 marzo. Non conosco Drago, ma leggo spesso la Reichlin che mi sembra una economista di grande capacità. Però anche per lei vale il consiglio keynesiano di considerare il proprio mestiere di studiosi dell’economia come quello di un dentista e non come quello di un guru politico. L’analisi reichlinian-dragonesca da cui ricaviamo questa citazione ha due insuperabili punti di debolezza: ritiene che il malessere della società italiana sia essenzialmente percepito e non reale. E, in secondo luogo, ritiene che questo difetto di “percezione” deriverebbe innanzi tutto dalla scarsa organizzazione delle forze politiche della Seconda Repubblica, incapaci di comunicare con la società. Per quel che riguarda il primo punto, basta considera l’analisi pubblicata in questi giorni da Bankitalia (così la cita Nicola Barone sul Sole 24 ore del 13 marzo): “Tra le famiglie appartenenti al 30% con reddito più basso è però cresciuta anche la quota di quelle che hanno dichiarato di aver fatto ricorso ai risparmi o di essersi indebitate per finanziare la propria spesa” per capire che vi è una seria sofferenza sociale non solo percepita (peraltro è bene tenere presente l’impressionante coincidenza tra il 30 % evocato da via Nazionale e il voto grillino). E in questo senso aiuta anche l’articolo a firma Claudia Voltattorni pubblicato sul Corriere della Sera del 14 marzo: “Se hanno un lavoro nella maggior parte dei casi è precario, o non è quello per cui hanno studiato, non presenta prospettive di miglioramento e non è retribuito adeguatamente. E, spesso, lavorare potrebbe non essere sufficiente, facendo correre il rischio di trovarsi sulla soglia della povertà. Spietata e allarmante la fotografia scattata da Censis e Confcooperative ai ‘millennials’ italiani, le nuove generazioni nate tra il 1984 e il 2000. Giovani tra i 18 e i 34 anni che ‘rischiano di alimentare entro il 2050 le file dei poveri’” per capire che oltre a quelli che hanno peggiorato le proprie condizioni di vita, c’è una fetta di società che è convinta (va a vedere che cosa percepisce la gente!) che le sue speranze per il futuro siano almeno molto incerte. Per passare al secondo tema posto dall’articolo, ritengo che la crisi dell’organizzazione capillare della politica in Italia non possa essere letta (al di là della caduta delle ideologie determinata dalla fine della Guerra civile europea) come essenzialmente organizzativa (prima ci si riuniva in sezione, oggi no) ma derivi da un modello di gestione della politica dall’alto (globalizzazione, Commissione europea, magistratura e così via) che svuota la partecipazione. La Reichlin e Dago lodano alcuni provvedimenti renziani che hanno attenuato il malessere sociale, il che in diverse occasioni è vero, ma sono scelte che nascono sempre dall’alto, teorizzando la morte dei corpi intermedi della società. Da qui la ragione per cui i frutti (i livelli di partecipazione) non cascano lontano dall’albero (lo svuotamento della partecipazione alle scelte istituzionali).