Il notaio tra funzione e professione

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Il notaio tra funzione e professione

21 Novembre 2021

Una delle maggiori difficoltà nell’approccio degli operatori al Notariato consiste nella natura controintuitiva del termine “Notaio”. La nozione definitoria del Notaio non risulta infatti monodimensionale come quella di altri professionisti: bensì “ambivalente” intesa l’ambivalenza sia nel suo dato fattuale che nel suo significato sociologico ben indagato da Bauman (Modernità ed ambivalenza).

Per strutturare una nozione definitoria del “Notaio” non si può che partire dall’articolo 1 della Legge 16 febbraio 1913 n. 89 (Ordinamento del Notariato e degli Archivi Notarili) il quale testualmente recita “i Notari sono Pubblici Ufficiali Istituiti…”. Il dato letterale scolpisce con chiarezza la strutturalità della qualifica e della funzione: i Notai sono Ufficiali Pubblici….Il dato letterale indica per la verità un altro elemento di strutturalità tra qualifica e funzione: ed è l’utilizzo del termine “Istituiti”.

L’utilizzo di detto termine segna in maniera irrevocabile la diversità ontologica del Notaio dagli altri professionisti in quanto lo struttura e lo conforma in funzione della statualità. In funzione ma non parte della amministrazione dello Stato in rapporto di dipendenza e con strutturazione gerarchica in quanto nell’esercizio delle funzioni anche ” libero professionista”.

Come lucidamente sostiene Giuseppe Celeste (Riflessioni sull’imparzialità del Notaio) nel caso in esame “la funzione amministrativa è demandata, dunque, ad un soggetto che non è titolare di alcun complesso organizzativo; esiste pur sempre un ufficio in senso oggettivo, inteso cioè come determinazione della podestà nelle quali il suo esercizio si concreta, ma non vi è una struttura materiale servente, con la conseguenza che la podestà pubblica non può essere riferita ad un’istituzione organizzata nell’ambito dei pubblici poteri, ma soltanto al suo titolare.

Da qui l’ambivalenza della figura professionale del Notaio: istituito e regolamentato nel numero e nelle funzioni dallo Stato ma soggetto economico di diritto privato nell’esplicazione concreta dell’attività. E il Notaio può definirsi ufficio della Repubblica, purché con tale espressione si voglia designare solo la podestà  attribuitagli, che viene da questo esercitata in nome proprio. In tal modo si attua il necessario raccordo tra la sua posizione pubblicistica e l’esercizio dell’attività in regime di libera professione.

I lavori preparatori alle Legge del 1913 illustrano bene quali fossero le finalità che lo Stato si prefiggeva con la regolamentazione unitaria e statuale delle precedenti figure Notarili preunitarie: applicazione tendenzialmente coerente di impianti civilistici e successori da valere in uno Stato caratterizzato da forti disomogeneità culturali ed economiche; attribuzione di Pubblica fede alla volontà privatistica per il filtro di adeguamento notarile; regolamentazione dei costi delle prestazioni attraverso tariffari di approvazione statuale.

Questa sintesi di funzione pubblica e di libera professione il Notariato ha sapientemente interpretato fin quando la tendenziale ambivalenza si è mantenuta all’interno di un sistema in cui la norma ed il diritto (e quindi la politica) si sono trovati con l’economia in rapporto di mezzo (l’economia) e di fine (la norma e quindi la politica).

Come hanno bene evidenziato Natalino Irti ed Emanuele Severino (Dialogo su diritto e tecnica) che, sul punto, è bene riportare letteralmente, “la politica, il Jus proprium civitatis” sarebbe in grado di stabilire il regime dell’economia e di orientare e/o arginare gli sviluppi della tecnica”.

Nel momento in cui l’economia o meglio la tecnica economica con un sostanziale processo di ipostasi si è affrancata da mezzo a fine l’ambivalenza della nozione definitoria non ha più trovato una sua sintesi aprendo invece una devastante dialettica.

Il tentativo (per altro riuscito) della tecnica economica di liberarsi di fini e di regole imposti dal diritto ( e quindi dalla politica) per porsi quale unico fine l’eliminazione di ogni fine e regola normativamente imposte che possano rappresentare un limite al prevalere dell’economia quale fine ultimo (ed a cui regole e norme sono subordinati) non poteva non comportare una tensione di sistema nell’essenza stessa del Notariato.

Tensione di sistema (bene indagata da Irti – Severino) che viene imputata a due ordini di ragioni: uno comune ad ogni tipo di ideologia; l’altro, proprio del sistema democratico. La prima ragione consiste “nelle territorialità dei logoi, contrapposta alla spazialità di economia e tecnica”. Non è un caso che i Trattati europei mirino a formare uno spazio senza frontiere interne: si badi, non un territorio più ampio ed esteso ( il quale  sarebbe sempre un  nuovo territorio), ma uno spazio, cioè una sede degli scambi, che trascende i territori dei singoli Stati. Non un grande luogo, ma un ambito de-localizzato e, perciò, de-storicizzato.

Avviene così che l’individuo, in quanto parte dell’accordo di scambio, non sia più cittadino, membro di una determinata e storica civitas, ma assume la semplice e nuda posizione di venditore o di compratore. Ora, la territorialità è tra i caratteri fisionomici del diritto moderno. I codici civili sono leggi del territorio. Questo significa che le ideologie politiche, come  portatrici di progetti normativi, appartengono alla territorialità degli Stati, mentre il capitalismo e la tecnica si dilatano nella spazialità planetaria.

Il divario determina un’intima scissione: tra l’individuo quale membro della civitas politico-giuridica e l’individuo quale membro dello spazio  economico. Il diritto perde capacità regolatrice; esso non può dare misura a ciò che  sta oltre le sue proprie frontiere. La seconda ragione di indebolimento, propria del sistema  democratico, deriva dal suo rispondere alla stessa logica dell’economia di mercato.

La democrazia – scrive Emanuele Severino in una delle lezioni bocconiane, raccolte sotto il titolo di Crisi della tradizione occidentale – è una metodologia che amministra il consenso politico. Del pari, l’economia di mercato è una metodologia  che amministra il consenso economico. Metodologia, in ambedue i casi, poiché democrazia politica ed economica di mercato designano insiemi di procedure, meccanismi calcolanti le qualità di consenso.

Severino in particolare in due libri di grande rilievo –  Il declino del capitalismo e Il destino della tecnica – sostiene che  la tecnica si va trasformando da strumento in scopo del capitalismo, il quale è un capitalismo solo in apparenza, mentre in realtà è tecnocrazia, e cioè l’agire che si propone come scopo l’incremento indefinito della capacità di realizzare  scopi, oltrepassando così la volontà “ideologica” di realizzare un certo mondo invece di un altro.

Da parte loro i gruppi politici – e il diritto – per i quali l’uso o la minaccia della coercizione fisica sono indispensabili, hanno bisogno dei mezzi prodotti dalla tecnica: e così la democrazia  è costretta  a subordinare il proprio scopo alla tecnica: ossia  ad assumere come scopo il funzionamento ottimale  della tecnica, e dunque, a non essere più democrazia (giacché  un qualsiasi agire è ciò  che esso è in forza dello scopo a cui esso è ordinato).

In breve, lo sviluppo indefinito della tecnica – da strumento che era – diviene scopo e del capitalismo e della democrazia politica. L’approdo conclusivo è nel governo dei tecnici (affine alla posizione già enunciata da Ugo Spirito in Critica della democrazia).

Questa tensione di sistema tra diritto (e quindi politica) ed economia trova nel Notariato il suo esempio emblematico. La sostanziale ambivalenza del termine Notaio ovvero la possibilità di assegnare esso sia alla categoria del diritto che alla categoria dell’economia ne opera una torsione concettuale nell’alternanza tra sistema regolante (diritto o economia) o sistema regolato (diritto o economia).

In questo particolare momento storico la debolezza del sistema democratico rappresentativo e la sua sostituzione (sia pure con i caratteri delle temporaneità e della eccezionalità) con un sistema di governo dominata  dal tecnicismo (e cioè dalla presunta competenza specialistica) comporta la sottoposizione ai due processi che Bauman nell’opera citata definisce di  taylorizzazione e fordizzazione.

L’effetto combinato dei due processi di taylorizzazione e fordizzazione è la creazione di una sovrastruttura  decisionale specializzata  al di sopra del livello dell’effettiva esecuzione dei compiti, associata all’esclusione degli esecutori da tutte le decisioni in cui è richiesta una competenza. Da qui l’insofferenza della tecnocrazia (e di quella parte della politica ancella dell’economia) verso le professioni in genere (in quanto portatrici di un sapere specialistico connotato da forte autorità sociale) e del Notariato in particolare.

Del Notariato e del Notaio in particolare in quanto quest’ultimo presenta nella sua ambivalenza gli stessi principi che l’economia deve abbattere nella politica:
– territorialità come carattere fisionomico;
– punto di differenziazione tra regola e regolato: ossia tra diritto, da un lato, e capitalismo ed economia dall’altro.

Infatti come bene ha chiarito Giuseppe Celeste (Riflessioni sull’imparzialità del Notaio) la figura del Notaio è posta a tutela dei diritti del cittadino ed in particolare del diritto del contraente più debole e del diritto dei terzi a non essere giudicati dall’attività delle parti.

Accanto alla tutela dei diritti dei singoli, secondo Celeste, al Notaio è demandata anche la cura di interessi superiori connessi al rispetto della legalità e della certezza del diritto, alla sicurezza ed efficacia della contrattazione  e all’eguaglianza delle parti.

Ora il prevalere dell’economia che fa della a-territorialità e della de-responsabilizzazione giuridica sul piano locale (piano locale su cui operano i soggetti passivi: lavoratori e consumatori) non riesce a rendere assimilabile il Notariato ed il Notaio alle proprie categorie (o per lo meno con molta più difficoltà rispetto ad altre professioni).