Il nucleare conviene più del solare. Ecco perché
13 Settembre 2010
Ci sono belinate a effetto che suscitano un clamore proporzionato all’infondatezza delle tesi sottostanti. È il caso della ricerca condotta dalla filorinnovabilista North Carolina Waste Awareness Network, i cui esiti sono stati declamati dalle colonne del New York Times e, in Italia, dal Corriere della Sera. Secondo questo studio, l’energia solare è già meno costosa dell’energia nucleare. Tutti gli errori metodologici e l’insensatezza delle conclusioni cui sono giunti sono stati ben descritti da Carlo Stagnaro e Daren Bakst in un paper pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni.
In primo luogo nel calcolo del costo medio dell’energia nucleare si considerano anche gli oneri di trasmissione, mentre per l’energia solare questi non vengono compresi. Forse una scelta dettata dall’erronea convinzione che la microgenerazione da fonte rinnovabile non necessiti di una rete elettrica efficiente ben magliata. Finché si pretenderà di avere il frigorifero che funziona anche di notte o quando è nuvoloso, l’allacciamento alla rete sarà comunque necessario. Il calcolo è poi viziato da una sovrastima di tre punti percentuali del fattore di utilizzo della potenza installata, ossia il rendimento dei pannelli.
Ma l’errore più grossolano (e decisivo) sta nello scontare dal costo dell’energia solare i sussidi pubblici. Il costo pari a 15,9 centesimi al KWh calcolato dalla NC WARN non tiene conto degli oneri che in America gli stati e il governo federale sostengono attraverso la fiscalità generale. Strano a dirsi, gli aiuti pubblici concessi per la realizzazione dei reattori non sono invece considerati nel calcolo del costo medio dell’energia nucleare. Secondo la metodologia applicata dalla NC WARN, se il settore fotovoltaico godesse di finanziamenti pubblici in conto capitale pari al 100% dell’investimento, l’energia prodotta risulterebbe convenientissima, anzi, gratuita. Lo stesso, naturalmente, dicasi per ogni altra fonte che fosse ipersussidiata. Poco importa se il suo utilizzo comporta un carico tributario insostenibile per i contribuenti.
Senza volersi spingere in perigliose e dettagliate stime sui costi di produzione, vale forse la pena soffermarsi sulle spese che già oggi gravano sugli italiani per l’acquisto di energia da fonte solare e nucleare. In Italia il nuovo conto energia approvato a fine giugno provvede a correggere al ribasso (-20% circa) le tariffe incentivanti per il fotovoltaico, adeguandole così all’occorsa riduzione dei costi di installazione (pari a circa il 20-30% in tre anni). Con le nuove tariffe, un KWh di energia solare può costare al consumatore da 24 fino a 44 centesimi di euro.
In Italia la potenza di energia elettrica installata è superiore al fabbisogno. Pochi sanno che l’Italia è in over-capacity. Il problema è che l’energia è prodotta da impianti poco efficienti e pertanto conviene importare l’energia prodotta per lo più da fonte nucleare in Francia, il cui prezzo è quindi inferiore ai 6 centesimi di euro al KWh dell’energia scambiata nel nostro mercato elettrico. Il costo dell’energia nucleare in Francia, paese che deve all’atomo tre quarti della produzione energetica nazionale e da cui importiamo il 5% del nostro fabbisogno elettrico, è stimato attorno ai 4-5 centesimi al KWh.
In sintesi, l’energia solare costa al consumatore italiano almeno quattro volte (se non nove volte) l’energia prodotta da fonti tradizionali o l’energia nucleare importata dall’estero. Questi i dati per il presente e il prossimo futuro. Le prospettive di lungo periodo, invece, devono tener conto di altre variabili. Si può prevedere la prosecuzione del trend declinante dei costi di installazione degli impianti fotovoltaici ed è auspicabile, ma tutt’altro che certo, che un giorno l’energia solare sia davvero competitiva e non abbisogni di incentivi a carico dei consumatori o del contribuente. Si tratta però di uno scenario che stenta a trovare approdi nei prossimi due o tre decenni.
Quanto al nucleare, i conti, così come accade per le altre fonti, dipendono da variabili come il costo delle materie prime. Attenzione a non cadere nell’errore maltusiano di dar per scontata una rapida crescita dei loro prezzi relativi. Nel 1980 l’economista Julian Simon vinse una scommessa prevedendo una riduzione di lì a 10 anni dei prezzi relativi delle materie prime. I progressi della tecnologia possono migliorare le prestazioni e l’efficienza tanto dei pannelli fotovoltaici, quanto delle produzioni di energia da fonte nucleare o tradizionale.
L’andamento dei prezzi di risorse come gli idrocarburi o le fonti fissili (uranio e plutonio) non è di facile previsione. Di sicuro, un’economia che dipende esclusivamente da una fonte energetica è più esposta al rischio e vulnerabile. Un mix equilibrato consente di meglio aggiustare il tiro e mitigare gli effetti di eventuali fluttuazioni dei prezzi.
Altri fattori capaci di incidere sulla convenienza futura nel caso concreto dell’Italia (convenienza in astratto attualmente fuor di dubbio) sono di ordine extratecnico. L’incertezza del quadro normativo, l’instabilità della politica energetica, i ritardi che si registrano nella sua attuazione, i tempi biblici di autorizzazione e la sindrome localistica del Nimby sono variabili squisitamente e maledettamente politiche. Sta ai decisori politici limitarne gli impatti, potenzialmente idonei ad inficiare i vantaggi tecnici e i benefici per i consumatori che il nucleare promette.