Il nuovo piano pandemico e lo spettro dell’eugenetica
19 Gennaio 2021
di Aldo Vitale
L’ultimo piano anti-pandemico ufficialmente approvato risale al 10 febbraio 2006, così che, ben dopo un anno dall’inizio della pandemia da covid-19 si è deciso di confezionarne uno nuovo, le cui bozze stanno già creando non pochi problemi.
Un passaggio in particolare, del documento lungo ben 140 pagine con cui si predispongono le misure per una eventuale nuova emergenza pandemica, suscita perplessità di carattere sia etico che giuridico, cioè il passaggio in cui si legge che «quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio».
Posto che l’articolo 32 della Costituzione non effettua alcuna distinzione in tal senso assicurando in modo inequivoco la tutela del diritto alla salute di tutti, cioè sia di chi può trarne maggior beneficio, sia di chi, invece, purtroppo, può trarne beneficio minimo, occorre effettuare alcune riflessioni sul punto di una bozza che si spera possa essere modificata in rispetto della Costituzione, della persona e dello Stato di diritto.
In primo luogo: non si comprende perché il sistema sanitario debba garantire, in caso di scarse risorse, proprio coloro che potrebbero avere maggiori benefici, piuttosto che coloro che potrebbero averne di meno, posto che sono proprio questi ultimi i più fragili e, dunque, i più bisognosi di assistenza sanitaria.
In secondo luogo: non si comprende chi effettivamente potrebbe essere ricompreso in tale categoria così genericamente e maldestramente indicata. Si tratterebbe inoltre di un criterio stabilito ex ante, o ex post soltanto dopo un accertamento clinico del singolo soggetto?
Se non si trattasse di un riferimento al quadro clinico, infatti, in tale categoria potrebbero essere ricompresi gli anziani, i disabili, i malati cronici, i malati terminali, i soggetti con patologie rare e tutti coloro che versano già in condizioni precarie di salute e che vedrebbero sacrificato il proprio diritto alla salute e alla vita costituzionalmente tutelati, per di più senza neanche il loro consenso, e il tutto nell’epoca dell’affermazione del principio di autodeterminazione come principio supremo dell’ordinamento.
In terzo luogo: una tale tipologia di selezione è evidentemente una selezione eugenetica che mira a scartare i più fragili nonostante i divieti di simili prassi sanciti in varie normative internazionali fra cui si richiamano in proposito l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 11 della Convenzione di Oviedo, e l’art. 14 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Alla luce di tutto ciò emerge con evidente chiarezza il paradosso di base secondo cui il diritto alle cure sarebbe garantito, dalla bozza del nuovo piano anti-pandemico, soltanto per coloro che godono di buona salute, con sacrificio “ex lege” di tutti gli altri che non godono del medesimo privilegio.
Si comprende agilmente che una simile impostazione non può che essere radicalmente respinta in quanto contraria a tutti i principi giuridici (principio personalistico, principio di uguaglianza formale e sostanziale, principio di autodeterminazione, principio di solidarietà, principio di sussidiarietà ecc) cristallizzati dalla Costituzione e dalla natura stessa dello Stato di diritto, sperando in una solerte modifica del suddetto piano anti-pandemico che rischia di risolversi, nella sua essenza, in un piano grottescamente anti-umano.