Il pacchetto del Pd costa 50 miliardi ma Veltroni non sa dove prendere i soldi
28 Febbraio 2008
Si sa i programmi elettorali non vanno presi troppo sul serio. Normalmente si tratta di un elenco di buone intenzioni delle quali, come è noto, è lastricato l’inferno. Il miglior programma elettorale di un partito o di un candidato premier, l’unico che possa avere una qualche attendibilità, è il bilancio di quello che ha prodotto nella precedente legislatura. Ma è forse proprio per questa ragione che il Partito democratico sta mettendo tanta enfasi sul proprio programma. L’obiettivo è semplicemente quello di far dimenticare il più in fretta possibile il disastroso bilancio dei due anni di Governo Prodi. In questo del resto vi è una continuità con la mentalità leninista – rivoluzionaria dalla quale Veltroni proviene: l’unico modo per far trangugiare alle masse proletarie le sofferenze del socialismo realizzato e magnificare la prospettiva del sol dell’avvenire!
Però, per un vincolo di coerenza logica, se un programma viene presentato è giusto esaminarlo e vivisezionarlo se non altro per capire quali sono i valori e le priorità che vengono proposte al vaglio elettorale. Nel programma del PD una larga parte è dedicata ai temi dell’economia e delle finanze pubbliche. E una rapida lettura del testo conferma il profondo stato confusionale nel quale versa il vertice del partito. Il ma-anchismo non è solo una riuscita battuta di Crozza ma è ormai la cifra politica del veltronismo.
Il tema delle tasse si sa è il tallone di Achille del fronte progressista. Vincenzo Visco ha avuto il buon gusto di farsi da parte senza troppe storie ed ora la priorità è quella di far dimenticare il fiscalismo estremo del Governo in carica. Innumerevoli sono pertanto le proposte di riduzione le quali si affastellano nel programma senza alcun criterio ordinatore e senza alcuna logica. Possiamo trovare ad esempio l’aumento detrazioni IRPEF per tutti ma anche la stessa riduzione da subito per i lavoratori dipendenti, l’imposta negativa, ma anche il credito di imposta per le lavoratrici, la detassazione salario di produttività ma anche la semplificazione fiscale piccoli imprenditori, la dote fiscale per i figli ma anche le agevolazioni fiscali per la crescita dimensionale delle imprese, la detraibilità affitto ma anche la tassazione ad aliquota fissa dei canoni di locazione, l’omogeneizzazione della tassazione dei fondi comuni di investimento nazionali ma anche gli incentivi fiscali per il lavoro delle donne, gli incentivi fiscali per i servizi alla famiglia ma anche la riduzione del cuneo fiscale per i bassi salari. E comunque per non scontentare neanche quel piccolo gruppetto di impenitenti liberali di sinistra viene anche citata la riduzione delle aliquote che dovrebbe essere la vera strategia di riduzione della pressione fiscale con caratteri di generalità ed astrattezza, l’unica strategia che può avere un effetto shock in termini di crescita economica e quindi di crescita dello stesso gettito fiscale, come insegna l’esperienza reaganiana.
Ma naturalmente in coerenza con la vocazione statal-assistenziale della sinistra numerosissimi sono anche gli interventi sul versante della spesa: dagli asili nido agli investimenti infrastrutturali, dall’aumento dell’indennità di accompagnamento ai buoni servizio per i non autosufficienti, dagli investimenti in edilizia residenziale pubblica alla costruzione di stadi, dagli investimenti nell’energia pulita al diritto alla banda larga, per citare solo alcuni esempi.
A questo punto ci si aspetterebbe indicazioni altrettanto precise sulle scelte per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie per far fronte a questa miriade di impegni. Certo indicare dettagliatamente i tagli che si intende operare può essere politicamente costoso, ma un programma di governo che voglia essere un po’ di più di un semplice slogan elettorale qualcosa su questo versante deve pur dire. Il programma invece si limita a porre genericamente l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica di 2,5 punti percentuali di PIL nel triennio 2009 -2011 (0,5% nel 2009, 1% nel 2010 e 2011). Complessivamente si tratta di tagli di spesa per un ammontare complessivo di 32 miliardi. Considerato l’andamento della legislatura in corso sarebbe già un bel traguardo se si considera che fra il 2006 ed il 2008 la spesa corrente primaria (cioè al netto della spesa per interessi) è passata da circa 590 miliardi di euro ad oltre 640 miliardi.
Anche volendo sorvolare sul grado di precisione del programma si pongono però due angosciose domande. Naturalmente è impossibile effettuare una quantificazione precisa degli interventi contenuti nel programma. Orientativamente si può ritenere che il pacchetto complessivamente determini oneri almeno compresi fra i 40 ed i 60 miliardi di euro. Occorre inoltre considerare come, a causa della politica di peggioramento degli andamenti tendenziali nel biennio 2007 – 2008 attuata dal Governo Prodi nonostante i reiterati “tesoretti” dei quali ha potuto beneficiare, per rispettare gli impegni europei nel triennio 2009 -2011 dovrà essere attuata una manovra correttiva cumulata pari a 2,1% del PIL (27 mld. circa) e che tale cifra deve essere integrata dai nuovi impegni a cui si dovrà far fronte (in primis il contratto del pubblico impiego per il quale nella finanziaria 2008 non è stato previsto alcuno stanziamento, per il quale è presumibile un onere complessivo pari a circa 7-10 mld.). Pertanto le risorse che complessivamente dovrebbero essere recuperate nel triennio oscillano fra 75 e 95 mld. I tagli proposti sono quindi assolutamente insufficienti a compensare le nuove spese o le minori tasse proposte.
Ma vi è un altro nodo critico. Il programma come già detto non fornisce alcuna indicazione sui tagli alla spesa pubblica che dovrebbero consentire i di risparmiare 32 mld. Consideriamo che oltre i due terzi della spesa corrente primaria sono destinati al pubblico impiego ed alle pensioni. Consideriamo anche che la quota restante della spesa pubblica è stata abbondantemente taglieggiata negli ultimi anni, al punto che ormai alcune amministrazioni nella seconda metà dell’anno rischiano di non avere più fondi per acquistare la benzina per le macchine, e che quindi ulteriori tagli in questa direzione sono assolutamente improbabili, almeno nel breve periodo. Dobbiamo ricavarne la conclusione che il Partito democratico ha finalmente deciso di intraprendere la strada di una vera riforma del sistema pensionistico e di una politica rigorosa sul pubblico impiego (ormai fortilizio dello strapotere sindacale)? Questa sì sarebbe una bella notizia! Questa sarebbe una vera rupture! Purtroppo il ma- anchismo di Veltroni ci induce un qualche scetticismo.