Il Papa accoglie gli anglicani a braccia aperte ma nel segno della tradizione
23 Ottobre 2009
Aperto alla diversità o posizionato in difesa, ecumenico o pronto ad accrescere le fila del cattolicesimo, utilizzatore degli strumenti del nuovo codice di diritto canonico o conservatore: anche questa volta una decisione del papa come quella di accogliere gli anglicani nella Chiesa cattolica consentendo loro di mantenere liturgia e matrimonio dei preti è stata diversamente interpretata. Basta, per esempio, leggere la tavola rotonda a quattro voci che il New York Times ha dedicato all’argomento il 20 ottobre, per vedere la pluralità delle argomentazione a favore e contro.
Prima di tutto precisiamo i termini. Gli anglicani – vescovi, sacerdoti (un migliaio secondo il vescovo anglicano Peter Akinola), fedeli – che lo vorranno potranno entrare a far parte della Chiesa cattolica, con un atto di sottomissione al papa. Utilizzando il canone 372 del codice di diritto canonico, che prevede la possibilità di istituire “chiese particolari personali”, gli anglicani saranno inseriti in una “Chiesa cattolica di rito anglicano” ed avranno un loro vescovo cattolico che li pone direttamente in rapporto con il papa ma non con gli altri vescovi cattolici. I cattolici-anglicani (non anglicani-cattolici) potranno continuare a celebrare con la loro liturgia e a pregare con il loro Prayer Book, quello riformato in senso protestante da Edoardo VI e da Elisabetta nel secondo Cinquecento, ma successivamente ulteriormente riformato e ricondotto alle origini. I vescovi e i preti sposati potranno rimanerlo, ma i vescovi sposati devono rinunciare all’episcopato. Per i seminaristi si deciderà “caso per caso”. Quindi: presti sposati sì, vescovi sposati no. Vale ricordare che per la Chiesa cattolica il celibato dei preti è una norma disciplinare, che ammette eccezioni e non ha valore dogmatico. Nelle comunità cattoliche di rito greco dell’Europa orientale i preti sono sposati. L’annuncio della soluzione canonica è stato dato simultaneamente da Roma e da Canterbury, segno che è il frutto di un lungo dialogo e non si configura come aggressione missionaria o proselitismo. Ambedue le parti lo hanno presentato come frutto del dialogo ecumenico, che si sono impegnate a continuare.
Da un punto di vista sociologico la cosa può essere interpretata, come suggerisce Accattoli sul Corriere, come tentativo di normare le zone di frontiera tra le religioni, le aree ibride che in futuro sarebbero destinate ad aumentare. Man mano che le identità si sciolgono e l’ibrido aumenta, anche le religioni conosceranno situazioni di innesto reciproco, con un aumento delle aree intermedie e dei nodi di connessione. Il modello anglicano potrebbe quindi essere utilizzato in futuro anche con i protestanti. Però, ad esaminare bene la questione, il papa non ha rinunciato a nessuna identità e non ha fatto nessuno sconto su questioni di fondo. I nuovi fedeli sono cattolici a pieno titolo e non a mezzo servizio. Il suo atteggiamento è stato mosso dallo stesso sentimento che lo ha guidato a favorire la riconciliazione con la Fraternità san Pio X e che lui stesso ha espresso nella famosa Lettera ai vescovi di tutto il mondo a difesa delle sue decisioni: di fronte all’urgenza di rendere Dio presente nel mondo si poteva abbandonare una comunità così numerosa di fedeli, sacerdoti e vescovi. Lo stesso ragionamento si potrebbe fare ora per questo nuovo passo.
Nella Chiesa le motivazioni sociologiche hanno il loro peso, dato che la Chiesa è pur sempre nella storia, tuttavia non sono mai decisive, come pure quelle politiche. M. Cathleen Kaveny, della Notre Dame University, ha osservato sul NYT che il papa si è dimostrato conservatore in quanto ha accolto l’area di anglicani che non accettavano l’ordinazione delle donne e i matrimoni omosessuali però ha utilizzato un canone del codice di diritto canonico rinnovato dopo il Concilio. La Chiesa cattolica non conosce i termini conservatore e progressista, distinzione cara a molti intellettuali e cardinali ma non alla Chiesa in quanto tale, perché ha semplicemente una tradizione da trasmettere integra. Il papa non ha voluto essere conservatore e la Chiesa anglicana non ha voluto essere progressista: più semplicemente il primo è fedele alla tradizione e la seconda no. Gli anglicani che ora fanno il grande passo intendono ricollegarsi con la tradizione. Anche il Concilio fa parte della tradizione.
Come sostiene Colleen Carroll Campbell, dell’Ethics and Public Policy Center, non è corretto accusare il papa di aver agito in dispregio dello spirito ecumenico. Anche Massimo Introvigne su Zenit ha fatto notare che la decisione è stata presa in accordo con Canterbury e del resto era ormai da molto tempo che questi gruppi di anglicani esprimevano il loro disagio al limite dello scisma e che chiedevano di entrare nella Chiesa cattolica. I passaggi alla spicciolata di preti anglicani dentro la Chiesa cattolica avvengono ormai da tempo e molti anglicani oggi rivelano ai giornali di aver pregato a lungo perché si verificasse questa possibilità. Si può dire che il papa non sia andato a cercarli ma li abbia accolti a braccia aperte, inventando positivamente lo strumento giuridico per poterlo fare. Proprio per questo si deve anche dire che il risultato non è un minimo comune denominatore tra anglicanesimo e cattolicesimo, un accordo ad ogni costo al ribasso, un nuovo qualunquismo religioso o, addirittura, un relativismo. Non nasce una cosa spuria, un patchwork religioso. Al contrario, l’iniziativa del papa può essere intesa come l’indicazione di possibili percorsi per un vero ecumenismo, che non può mai rinunciare alla tradizione ma, semmai, recuperarla.