Il Papa deve supplire alla Ue debole e insincera
29 Novembre 2006
Intervista a Marcello Pera
«È una visita importante, in cui un’Europa debole e insincera ha lasciato solo il Papa, investendolo di fatto di un ruolo politico che lo stesso Ratzinger esplicitamente rifiuta in virtù di una laicità correttamente intesa, contrapposta al laicismo oggi imperante, cioè l’esclusione ideologica del ruolo pubblico della religione. Si tratta di un tragico paradosso del Vecchio Continente: non ha leader coraggiosi che affrontino le sfide epocali di oggi, non dice quello che pensa, tacitamente spera che il Pontefice si faccia carico dei suoi problemi politici e istituzionali, eppure non perde occasione di accusarlo di ingerenza e, quando è attaccato, di abbandonarlo». Non è ottimista Marcello Pera e non perde occasione di sferzare quella parte di Occidente che «tenta di giustificare lo Stato liberale e la democrazia su nient’altro che la ragion laica, prescindendo da qualunque fondamento esterno morale o religioso». L’ha detto pochi giorni fa a New York, lo ribadisce sulla scorta degli interventi papali in Turchia.
Nei due discorsi rivolti all’autorità religiosa e all’autorità civile, il Papa in sostanza dice che la laicità interpretata come autonomia delle due sfere è un dato acquisito e non più in discussione ma che ugualmente, senza i valori che la fede (la quale si concretizza nella religione) promuove, la stessa democrazia si svuota e divora le sue fondamenta; il laicismo fa smarrire «il significato e lo scopo della vita». Perciò la religione, per il bene stesso della società, deve avere la libertà di «far udire la sua voce perché venga onorata la dignità dell’uomo». Come muoversi su quello che sembra un crinale molto stretto tra laicità e laicismo?
Si tratta di un confine semplice e difficile al contempo. Anche la più elementare democrazia procedurale, ciò che appare più neutro e condiviso, si basa sull’uguaglianza dei cittadini, dotati degli stessi diritti, in quanto persone con la stessa dignità. Si tratta di un principio forte, senza il quale cade il sistema liberale e democratico. Il punto per me importante e coinvolgente è che la predicazione di Ratzinger si riferisce prima alla società che alla politica. La sua è un’azione educativa, culturale, pastorale per portare il messaggio religioso nella coscienza civile secolarizzata. Il Papa non si rivolge principalmente come Chiesa allo Stato, bensì come pastore ai singoli individui. E non chiede alcuna conversione religiosa, ma che si recuperi la dimensione dei valori fondamentali, attingibili anche con la ragione, e non solo per fede. A quel punto, ciascuno porterà tali istanze pure nell’arena politica. Non c’è quindi una rivendicazione di potere, ma un appello universale a riscoprire i principi e a farli valere. Esiste una ragione condivisa che permette di superare la contrapposizione tra credenti e non credenti.
Ieri Benedetto XVI ha enfatizzato la «necessità vitale del dialogo interreligioso, da cui dipende in larga misura il nostro futuro», esprimendo «rispetto e stima» per l’islam, ma ribadendo che nessuna giustificazione può essere data al ricorso alla violenza…
Personalmente ritengo che il dialogo interreligioso non sia praticabile, in quanto credere che una fede sia “verità” esclude un confronto con altre “verità”, a meno di cadere nel sincretismo o nel meticciato spirituale. È possibile, invece, il dialogo inter-culturale, dove basta l’appello alla sola ragione umana, che è uguale per tutti. Terreno tipico di questo dialogo sono i diritti umani fondamentali. Qui è essenziale che nessuno dia un’interpretazione della propria religione che preveda l’uso di strumenti di coercizione, perché questo è incompatibile con tali diritti.
Con l’islam, allora, il dialogo come dovrebbe svilupparsi?
Se proprio dobbiamo portarlo al livello della religione, occorre seguire la lezione di Ratisbona. Bisogna chiedere se anche nel mondo musulmano vi è spazio per il Dio-logos, come accade nel cristianesimo. E abbiamo necessità di risposte chiare, senza ambiguità. Condividiamo la stessa nozione di dignità dell’uomo? Quella che prevede, per intendersi, uguaglianza, parità dei sessi, libertà e democrazia. I cristiani nella loro storia hanno anch’essi peccato e si sono interrogati su tali questioni. Adesso deve farlo l’islam. Il successo del dialogo passa di qui.
Come giudica l’apertura della Santa Sede all’ingresso della Turchia nell’Unione europea?
Va sottolineato come in precedenza le cautele del cardinale Ratzinger e della Santa Sede si accompagnassero al favore dei vertici Ue. Mi pare che oggi il Papa, proprio per non assumere un ruolo politico, desideri non interferire con l’autonomia della sfera istituzionale europea. Non è compito suo decidere, lo deve fare l’Europa. Personalmente, continuo a rimanere contrario all’idea di una Turchia europea. Ottanta milioni di cittadini di fede islamica creerebbero un problema non solo politico, ma di identità, benché si tenda ipocritamente a nasconderlo dietro cavilli di varia natura. Rischiamo di cambiare la natura dell’Europa per come è nata. Il riferimento alle radici cristiane è necessario per l’identità dell’Unione. E poi due popoli possono essere amici anche senza unificazione. Ci possono essere altre formule per rendere più stretti i rapporti con Ankara.
Ma nessuno si fa carico di trovare formule nuove.
Si parla per allusioni, non sinceramente. La mia impressione è che la politica sia tanto più debole quanto più si laicizza e che la Chiesa (e il Pontefice) sia di fatto rimasta l’unica agenzia che affronta il compito di difendere i valori e sostenere il dialogo tra le civiltà. Lo ripeto. Benedetto XVI è lasciato solo nel compito di tenere alti i principi fondanti dell’Occidente. Per questo la sua visita in Turchia è interpretata, dalle stesse autorità di Ankara, come un “esame europeo”. A me pare un’interpretazione impropria.
Lei ha parlato altre volte di due “Occidenti”. Facciamo un esperimento di (rispettosa) fantapolitica: se il Papa risiedesse negli Stati Uniti, la situazione sarebbe diversa?
Penso di sì. Il Pontefice, oltre che capo della Chiesa cattolica, sarebbe un leader morale ma i suoi pronunciamenti non verrebbero interpretati come interferenza politica. A Washington, Stato e Chiesa sono rigidamente separati, non esiste nemmeno l’idea di un Concordato, eppure la religione permea la politica, è un elemento costante del discorso pubblico. Il laicismo europeo non ci porterà lontano. È urgente che gli appelli di Benedetto XVI siano presi molto più sul serio e che si riscopra quella tradizione che sostiene le nostre democrazie.
da Avvenire