Il Papa in Inghilterra non porta avanti grandi discorsi ma grandi progetti

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Il Papa in Inghilterra non porta avanti grandi discorsi ma grandi progetti

19 Settembre 2010

Finora tutto è stato piuttosto normale. Normale il fuoco di fila della stampa nel periodo precedente la visita del Papa, normali i siti “Pope – Nope” e le manifestazioni contro la visita che sarebbe costata troppo e inutilmente allo Stato inglese. Normale anche che durante la visita stessa gli applausi abbiano sperato i fischi, con i media che concedono al Papa più spazio di quanto solitamente non facciano con Downing Street. I timori per la sicurezza del Papa, che molti avevano manifestato, si sono finora dimostrati infondati, a parte i sei nordafricani arrestati perché sospettati di aver tramato qualcosa di non ben chiarito. Normale, quindi, questa visita in Inghilterra: normale la cordiale accoglienza della Regina Elisabetta, i rispettosi incontri con il primate Anglicano, l’attenzione dimostrata alla Westmister Hall da Blair, Gordon Brown e dalla signora Tatcher. Normale anche l’iperattenzione dei media per la questione pedofilia, costantemente sulle prime pagine dei giornali, tema principale e spesso esclusivo del loro interesse per questo viaggio. Normali anche i discorsi del Papa?

C’era chi attendeva con ansia questo viaggio, per vedere cosa avrebbe detto il Papa a questa Inghilterra, caso emblematico di società indifferente ormai al fatto religioso e perfino ostile al cristianesimo. E’ una società iper-secolarizzata che non riconosce più alla religione un ruolo pubblico, un paese però dove decine di Corti islamiche adoperano il diritto coranico. L’Inghilterra è anche il paese dove maggiormente si sono smantellate le leggi a protezione della vita dell’embrione e del feto e a protezione della famiglia. Cosa avrebbe detto il Papa, ci si chiedeva, a questa società post-religiosa e post-cristiana?

L’attesa riguardava anche il rapporto con gli anglicani dopo l’operazione di ritorno a Roma di varie comunità appartenenti alla comunione anglicana e la programmata beatificazione del Cardinale Newman.

Insomma, una certa attesa, una viva curiosità, una aspettativa di novità c’erano ed anche abbastanza diffuse. Il viaggio era stato preannunciato da tempo e la grancassa mediatica era iniziata alla grande. Ed invece, a tre quarti del viaggio, sembra prevalere la normalità. Normalità anche nei discorsi del Papa, a parte, se vogliamo, l’esplicito riferimento a Tommaso Moro proprio nella Sala di Westminster dove venne condannato per essersi contrapposto a Carlo VIII, il re che – altro aspetto al pepe – diede vita allo scisma anglicano.  L’elogio della coscienza di Thomas More fatta valere contro il re ha coinciso di fatto con l’elogio della coscienza che si era opposta a colui che si sarebbe separato da Roma. Ma a parte questo tema caldo e potenzialmente polemico, per il resto Benedetto XVI ha detto quello che doveva dire, né più né meno, con chiarezza ed onestà, senza gridare e senza cercate di toccare nervi scoperti.

Alla regina Elisabetta ha ricordato che la Gran Bretagna ha avuto dei sovrani santi come Edoardo il Confessore e Margherita di Scozia, assieme a tante altre figure importanti per aver lottato contro la schiavitù come William Wilberforce e David Livingstone, o a favore dei poveri e dei malati come Florence  Nightingale. Il cristianesimo, insomma, ha plasmato la lingua e la cultura di queste terre e ha dato la forza – così ha detto il papa – a quanti si opposero al nazismo. La conclusione è ancora una volta molto ratzingeriana: «l’esclusione di Dio, della religione e della virtù dalla vita pubblica conduce in ultima analisi ad una visione monca dell’uomo e della società, e pertanto a una visione riduttiva della persona e del suo destino».

Anche il discorso alla Westminster Hall, pur nella sua grandezza, si è attenuto a dire quanto bisognava dire. La storia dell’Inghilterra, patria dello Stato di diritto, della democrazia e del pluralismo ha incrociato profonde istanze cristiane, come la dignità della persona e l’uguaglianza tra gli uomini. Il problema di Tommaso Moro, però, rimane vivo ancora oggi: fino a dove può estendersi il potere politico? La tesi del Papa – una tesi non nuova, certamente, ma normale nel suo pontificato – è che la ragione e la fede dovrebbero collaborare per far comprendere alla politica i suoi limiti, sicché comprenda che il fondamento della politica è fuori della politica stessa, in un ordine di valori oggettivo e trascendente:  «il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà». E’ qui che il Papa coglie in contraddizione la società inglese: la società del pluralismo e della tolleranza oggi vieta la celebrazione del Natale e la manifestazione dei simboli religiosi, si fa quindi intollerante.

Un viaggio normale, dei discorsi normali fatti in un clima di normalità. Nessuna Regensburg in questo viaggio in Inghilterra, nessun colpo di scena, nessuna “resa dei conti”. L’impressione è che non si sia voluto andare oltre quanto era normale fare, per non suscitare inutili contrapposizioni, per non compromettere delicati percorsi in atto ed anche per la consapevolezza che la rievangelizzazione dell’Occidente, e per prima dell’Inghilterra, è cosa lunga e complessa, da portare avanti giorno per giorno, da seminare e far sedimentare. Più che i discorsi infiammanti sono utili la pastorale ordinaria, l’evangelizzazione, l’annuncio. Tutte cose che si fanno in sordina e non sotto i riflettori dei media.