Il Papa negli Usa parlerà ai cattolici in crisi d’identità

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Il Papa negli Usa parlerà ai cattolici in crisi d’identità

16 Aprile 2008

L’istruzione cattolica in America tende a secolarizzarsi. Benedetto XVI ne parlerà ai rettori dei college ma non tutti sembrano disposti ad ascoltarlo.

Alla fine del XIX secolo l’aumento esponenziale dell’immigrazione europea portò a una spettacolare diffusione delle “scuole parrocchiali” negli Stati Uniti (si chiamano così per distinguerle da quelle pubbliche). Gli istituti cattolici furono una fucina dove assimilare popoli provenienti da tradizioni culturali diverse, tedeschi, austriaci, italiani, polacchi, riuniti sotto l’egida della gerarchia irlandese. Dopo il Concilio Vaticano Secondo c’è stato un altro “risveglio” dell’istruzione cattolica a cui è seguito un lento declino. Secondo il Fordham Institute dal 1990 a oggi hanno chiuso più di 1.300 istituti, disperdendo almeno 300.000 studenti. Mettiamoci anche lo spostamento della popolazione dalle aree metropolitane in quelle suburbane, un cataclisma come l’Uragano Katrina (cento scuole in meno a New Orleans), i professori di New York ai ferri corti con l’Arcidiocesi perché il contratto è scaduto da settembre. Il preside della Fordham ha detto che “l’educazione cattolica è in crisi e questo mette in crisi anche l’educazione americana”.

Il colpo di grazia l’hanno dato gli ultimi strascichi dello scandalo sugli abusi sessuali scoppiato nel 2002. Lo scorso febbraio è stata condannata Suor Norma Giannini, l’ex direttrice di una scuola cattolica di Milwauke. Dovrà scontare undici anni, uno in prigione e dieci con la condizionale, per aver abusato di due ragazzini negli anni Sessanta. Dopo aver scoperto la verità, la prelatura locale tacque, limitandosi e rimuovere la donna dal suo incarico senza denunciarla alle autorità. Suor Norma ha chiesto scusa per i suoi errori ma pare abbia confessato alla psicologa dell’arcidiocesi che lo faceva perché pensava che i ragazzini si divertissero.

Non dobbiamo drammatizzare. Negli Stati Uniti ci sono ancora migliaia di scuole cattoliche che funzionano come si deve e che contribuiscono a tenere in piedi il sistema della istruzione. Secondo i dati del 2006-2007, il numero degli studenti supera i due milioni e trecentomila iscritti. In un rapporto pubblicato l’anno scorso da una agenzia del governo federale emerge che l’istruzione cattolica è fondamentale per gli studenti delle famiglie più povere e per quelli delle minoranze. Non è una novità ma un compito storico svolto dalla Chiesa Cattolica negli Stati Uniti – dalla Rivoluzione Industriale ai tempi della Grande Depressione e poi durante il nuovo urbanesimo di massa e le ristrutturazioni degli anni Ottanta e Novanta. Ne ha parlato con grande competenza tecnica il “Quarterly Journal of Economics”, in un articolo intitolato “Finishing High School and Starting College: Do Catholic Schools Make a Difference?”. I tassi di abbandono scolastico nelle scuole cattoliche sono più bassi rispetto a quelli della scuola pubblica e ad altre private, una grandissima parte degli studenti arriva dritto al diploma e prosegue il cammino verso la laurea.

Questi risultati vengono raggiunti in un sistema che affida il finanziamento dell’istruzione privata alle (larghe) spalle delle famiglie. Il Cardinale di Chicago ha tuonato contro la mancanza di finanziamenti pubblici ricordando all’amministrazione che un terzo degli studenti delle scuole cattoliche non sono figli di cattolici (come avviene nelle cosiddette “Voluntary Communities”). Se questo argine dovesse cedere sarebbe un grosso guaio per i politici americani. Le scuole cattoliche forniscono ancora un insostituibile servizio pubblico, rappresentano un bene comune. Laura Bush ha citato una frase del leggendario cardinale Hockey: “Noi non educhiamo i ragazzi perché sono cattolici, ma perché siamo cattolici”.

Mentre l’istruzione di base favorisce la solidarietà e l’inclusione, quella universitaria punta all’eccellenza e alla formazione della classe dirigente. Ma proprio all’università incontriamo un altro genere di problemi. Non si tratta più dei costi dell’istruzione e del funzionamento della didattica quanto piuttosto dei contenuti dell’insegnamento e del discorso sull’identità cattolica. Ha fatto discutere uno scontro a distanza tra George Weigel e il padre gesuita Stephen Privett, preside della università di San Francisco. Weigel – un eminente teologo che ha scritto una fondamentale biografia di Giovanni Paolo II – ha richiamato i Gesuiti all’obbedienza in materia di aborto e matrimoni omosessuali. Vale il caso di Padre Drinan che, negli anni settanta, aveva scritto in difesa della sentenza Roe v. Wade e poi ha fatto lobbyng pro-aborto spalleggiato dal Partito democratico.

Weigel predica un ritorno al cattolicesimo preconciliare e attacca i cattolici liberali, i presidi che hanno creduto di farsi manager dimenticando la dottrina della Chiesa. Se guardiamo le statistiche, Weigel non ha tutti i torti. La maggioranza degli studenti che entrano nei college cattolici tendono a perdere per strada la loro fede, smettono di pregare e trasgrediscono gli insegnamenti della morale cattolica. Uno studio del 2003 fornisce alcuni dati illuminanti. Prima del college il 55% degli studenti è pro-life, dopo il college diventano il 43%. Durante gli studi, l’appoggio alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali cresce dal 55% al 71% e il numero di coloro che ammettono di fare sesso fuori da relazioni stabili passa dal 30% al 49%. Paradossalmente si può parlare di un intero catalogo di attività anti-cattoliche all’interno dei college cattolici degli Stati Uniti.

La classe docente contribuisce a legittimare questa fronda. Il preside dell’Università di Notre Dame, il reverendo John Jenkins, ha criticato le gerarchie che vogliono impedirgli di organizzare programmi per studenti gay al campus. Jenkins ha 11.000 iscritti e Notre Dame è un microcosmo del cattolicesimo americano postconciliare. Il preside fa parte di quella generazione di preti che hanno sempre difeso la propria indipendenza dal Vaticano. Per rendere l’istruzione religiosa più “performativa” Jenkins propone “una vera autonomia e libertà accademica” di fronte a qualsiasi tipo di autorità, laica o clericale. La ragione sarebbe ancora una volta il crescente numero di studenti non-cattolici che frequentano Notre Dame, ma non è questo il punto.

Il preside ha fatto mettere in scena “I monologhi della Vagina”, l’irriverente performance lesbica di Eva Ensler. La sua decisione è stata condannata con forza dall’arcivescovato che ha definito i Monologhi “un affronto alla dignità umana”. Jenkins si è difeso dicendo che “l’università cattolica è un posto dove si confrontano questioni controverse e il nostro metodo di insegnamento potrebbe presentarle in modo simpatetico”. L’elemento di distinzione dell’istruzione cattolica rispetta al sistema educativo pubblico è l’opportunità di combinare “un alto livello di indagine e razionalità con la fede religiosa”, ma cosa c’entra questa indagine con la vagina di Eva? L’unica conseguenza della scelta di Jenkins è stata quella di continuare a ‘secolarizzare’ l’istruzione religiosa.

Non tutti gli studenti hanno gradito lo spettacolo e c’è parecchia agitazione verso gli atteggiamenti liberali del preside. La maggioranza degli studenti vive in dormitori separati in base al sesso e protesta contro l’aborto ogni volta che ce n’è bisogno. Sono latinos, figli di immigrati messicani e ispano americani. A Notre Dame il loro numero è raddoppiato negli ultimi dieci anni (uno studente su dieci è ispanico). Sono più conservatori dei loro compagni come dimostra il culto per la Vergine di Guadalupe che è diventata una delle feste più popolari del Campus. Il 30% degli studenti va a messa ogni settimana e il loro numero aumenta quando si sposano e hanno il primo figlio. Cosa dirà il Papa ai presidi e ai rettori riuniti alla Catholic University of America di Washington? Che non bisogna perdere l’originalità del messaggio cristiano. I giovani messicani lo sanno già, più dei loro professori.

La Cattolica di Washington è stata soprannominata la “Piccola Roma” o “Il Vaticano del West” ma non è certo un bastione del fondamentalismo. La libertà accademica è riconosciuta come una “condizione fondamentale per la ricerca e la produzione di informazioni”. Nel 1986 l’allora Cardinale Ratzinger impedì che il professor Charles Curran continuasse a insegnare teologia perché aveva “rotto” con il magistero della chiesa. Non era la prima volta in cui Curran veniva sollevato dal suo incarico. Uscito dal fervore progressista del Vaticano Secondo, il professore si era ribellato alle autorità ecclesiastiche sfidandole sul sesso prematrimoniale, la contraccezione, l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, fino alla fertilizzazione in vitro.

Benedetto XVI apprezza la libertà religiosa su cui è fondata la Costituzione americana. La rivoluzione dei Padri Fondatori non fu violentemente anticlericale come quella francese e gli americani hanno conservato una dimensione religiosa nella loro vita politica nazionale grazie ai principi della filosofia politica su cui è stato costruito il Paese. “Il sostrato della legge naturale”, come lo definisce Michael Novak, le verità ‘evidenti’ ispirate da Aristotele, Cicerone e dal “Trattato sul governo civile” di John Locke (1690). Il diritto alla vita che Benedetto XVI difende ogni domenica da San Pietro. Sono leggi innervate nella ‘ragione naturale’ e non solo in qualche fede particolare, diritti che appartengono all’umanità intera e non solo a qualche nazione, a qualche gruppo etnico o a qualche tribù. Ma tutto questo non significa spalancare i campus alle performance della Ensler.

Nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico all’Università Cattolica di Roma, il 25 novembre del 2005, Benedetto XVI si era chiesto: “Ritorniamo, pertanto, alla domanda: quale cultura?” e rifacendosi alla Ex corde Ecclesiae di Giovanni Paolo II aveva detto: “il fatto di essere ‘cattolica’ non mortifica in nulla l’Università, ma piuttosto la valorizza al massimo. Una comunità accademica cattolica si distingue per l’ispirazione cristiana dei singoli e della comunità stessa, per la luce di fede che illumina la riflessione, per la fedeltà al messaggio cristiano così come è presentato dalla Chiesa e per l’impegno istituzionale al servizio del popolo di Dio”.

Parole che si scontrano con il liberalismo di presidi come Jenkins. Il Papa ha di fronte a sé un mondo contraddittorio, in cui da una parte ci sono gli studenti che giocano a “Eternal Forces”, il videogame ispirato al bestseller apocalittico “Left Behind”, e dall’altra i Padri Domenicani che pubblicano “Magnificat”, un periodico tascabile con brevi e brillanti commenti sui testi sacri: i Padri della Chiesa, Dante e la Divina Commedia, pensatori più moderni come Karl Adam. Il teologo Philip Kenneson se l’è presa con la nuova religione high-tech e il marketing ecclesiastico: “Quando una chiesa giudica il suo successo da quante volte il sermone del suo pastore è stato scaricato da Internet, il cristianesimo diventa inevitabilmente un altro prodotto di consumo”. Forse pensava ai ragazzi che fanno “Godcasting” illudendosi di trattenere Dio sull’i-pod. Non ci sono soltanto il relativismo e il nichilismo ma anche la smaterializzazione della fede e del messaggio evangelico in una neutralizzante virtualità.

Nonostante tutto, Benedetto XVI sembra un Papa perfetto per l’era di Internet e dell’e-learning. È un uomo di parole e di idee. Se basta un download per confrontarsi con i suoi testi, leggerli e ponderarli, forse la rivoluzione informatica servirà anche allo sviluppo della educazione religiosa.