Il paradosso dell’estetista diplomata in un mondo dell’istruzione alla rovescia
19 Settembre 2012
Mi hanno colpito molto, qualche giorno fa, la parole di una giovane estetista. Una brava professionista alle prese con l’apertura del suo nuovo centro. Discutendo con un ingegnere, che, per la verità, con aria di sufficienza , la infarciva di termini tecnici per giustificare il ritardo di una qualche autorizzazione, lei, risentita ha precisato che capiva benissimo ciò che le stava dicendo, perché era sì un’estetista, ma un’estetista diplomata. Quelle parole mi hanno fatto davvero riflettere. Perché questa esigenza di precisare che lei era un’estetista “che aveva studiato”?
Perché, purtroppo, siamo ancora intrappolati in un pericoloso quanto antistorico pregiudizio. E cioè che ancora esistono saperi si serie A e saperi di serie B. E, di regola, l’estetista, come l’idraulico, il falegname o il tecnico in generale, rappresentano per l’opinione diffusa, lavori poco prestigiosi. E comunque non certo auspicabili. Ecco, proprio in questo modo, presumendo di volere il meglio per i nostri figli, non facciamo altro che esporli ad un rischio: quello di avere difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Un mondo profondamente cambiato, con esigenze diverse, con una “domanda”diversa. Dall’altra parte, invece, un’offerta che non si rinnova e fatica ad accettare il cambiamento.
La prova? E’ appena iniziato il nuovo anno scolastico e ancora una volta in Abruzzo, la maggioranza dei ragazzi usciti dalle medie ha scelto un liceo. Gli istituti tecnici sono stati scelti solo dal 16%; gli istituti professionali dal 32%. Dati che sono stati sottolineati da Mauro Tedeschini, e che hanno rappresentato lo spunto del suo editoriale di qualche giorno fa su il Centro (“O resti a zappare o te ne puoi emigrare”), che ho letto con attenzione ed ho molto apprezzato.
Niente di più vero: se imposta, la scelta del liceo, rischia il più delle volte di indirizzare i ragazzi verso percorsi formativi sbagliati. Questo non significa certo demonizzare gli studi umanistici. Se quella, certo, è l’inclinazione, il talento personale. Significa però “riabilitare” i saperi tecnici, liberandoci da convinzioni che probabilmente hanno prodotto più danni che vantaggi al nostro sistema economico.
Tedeschini infatti riporta l’esempio della Germania. Un paese tutt’altro che arretrato, tutt’altro che poco attento alla cultura. Eppure in Germania, la ricca ed efficiente Germania, quelle Tecniche sono considerate scuole prestigiose, vicine alle esigenze delle aziende ed in grado di formare tecnici preparati e ambiti.
Il problema allora è forse un altro. Bisognerebbe ripensare il sistema scolastico: qualificare l’insegnamento degli Istituti tecnici e soprattutto “collegarlo” con le imprese locali. E’ paradossale che in un momento di crisi occupazionale giovanile ci siano aziende che faticano a trovare personale. Mentre, dall’altro lato, si assiste impotenti ad una inarrestabile fuga di cervelli. E’evidente che siamo di fronte al fallimento di un sistema. E che questo accada in Abruzzo, come specchio dell’Italia è inaccettabile. Che fine farà il famoso “made in Italy”? Le nostre eccellenze nel campo della produzione artigianale? Che si tratti di un sarto, di uno chef, di un calzolaio, non è sempre stato questo il nostro valore aggiunto?
Spesso, i diplomi tecnici professionali sboccano in impieghi più stabili e anche meglio remunerati rispetto ai diplomi liceali che, specie se si fermano ad una laurea triennale, rischiano di non apre alcuna seria prospettiva di lavoro.
Oggi forse il mondo dell’istruzione sta andando alla rovescia. La società è cambiata ma ci si ostina a non prenderne atto. E la responsabilità è di tutti: di noi genitori, degli insegnanti, della scuola. Perché non provare a raddrizzarlo?