Il partito di Bergoglio e le divisioni nella Chiesa
20 Gennaio 2019
Nel 1945 un liberale cattolico che nell’anteguerra aveva scritto per le riviste gobettiane, Novello Papafava, diede alle stampe un aureo libretto dal titolo: Partito cattolico, partiti cattolici o cattolici nei partiti? Da quel momento in poi, come è noto, il quesito si è posto tante volte e l’iniziativa assunta in queste settimane dall’associazionismo cattolico di sinistra, con l’evidente sostegno di una parte delle gerarchie ecclesiastiche, lo rende un’altra volta attuale: l’ennesima.
A rileggere quelle pagine, poche ma dense, a tanti anni di distanza, si comprende benissimo perché il partito unico dei cattolici, per esistere, aveva bisogno che scoppiasse la Guerra Fredda, aveva bisogno di conquistare l’egemonia dell’anticomunismo, aveva bisogno di trasformarsi in un’area vasta (più che in un partito) nella quale trovassero forme e modalità di convivenza molte persone, idee, princìpi, tra loro assai diversi. All’interno di quel mondo così variegato, a posteriori, possono essere individuate due correnti prevalenti: quella più spiccatamente sociale, dossettiana, e quella più sensibile ai temi della libertà, degasperiana. Due modi diversi di intendere la centralità della persona.
A me sembra che, in forma secolare e se si vuole raffazzonata, queste due tendenze si siano riproposte in quel tempo della storia repubblicana che si è inaugurato nel 1994. Ucciso politicamente Bettino Craxi, la sinistra è stata occupata politicamente dai dossettiani, mentre il degasperismo ha sconfitto gli esordi ultraliberali di Forza Italia e ha finito per diventare egemone nel centrodestra.
Tutto ciò è durato fino al 2013 ed è terminato con la fine del bipolarismo imperfetto e l’avvento dell’antipolitica e del sovranismo, oggi forse sovrarappresentati. Da allora in poi serve un’altra lettura. Se oggi papa Bergoglio dovesse davvero ispirare la rinascita di un centro dossettiano (incline a un approccio più social-sociologico che antropologico-naturale), minoritario fra gli elettori cattolici, sono convinto che stimolerebbe l’organizzazione di un’altra parte dei cattolici in altre organizzazioni e altri partiti. E la cosa dovrebbe non lasciare insensibili gli stessi degasperiani. Qualora vi fossero, mi sembra giunto il momento di battere un colpo…
Da parte mia, resto “ruiniano” di stretta osservanza: si approfondiscano insieme, magari in un contraddittorio serrato, le ragioni culturali sul significato del Cattolicesimo nel terzo millennio, e si lasci, invece, che i cattolici si esprimano liberamente in politica. In questo modo, tra l’altro, si darebbe una mano a salvaguardare l’unità della Chiesa, evitando che la politica diventi un elemento di ulteriore divisione, visto che già qualcuno ce n’è. E non mi sembra che ne servano altri.
Tratto da HuffingtonPost