Il Pd cerca di non rompere i ponti con il Nord ma Veltroni non incanta più

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Il Pd cerca di non rompere i ponti con il Nord ma Veltroni non incanta più

26 Gennaio 2009

Come spiega bene Sergio Chiamparino, alla fine il Partito democratico è stato costretto ad astenersi sul federalismo fiscale per non rompere i ponti con il Nord. Il sindaco di Torino non manca di esprimere osservazioni polemiche sul provvedimento cucinato al Senato ma non gli sfugge come l’opinione pubblica anche nella sua città e nella sua regione privilegi gli indirizzi di fondo federalistici sulle distinzioni rispetto ai particolari. Walter Veltroni è come al solito intento ad annaspare su tutte le questioni politiche, un giorno dice che il governo Berlusconi è un governo contro il Nord, un giorno contro il Sud. Però, per quanto stordito, il leader democratico ha dovuto trovare un compromesso sul federalismo fiscale non potendosi scordare di una questione “settentrionale” dentro la quale sempre più acutamente si avverte anche una questione emiliana, cioè la tendenza a un’espansione del voto leghista in una regione chiave – per voti e insediamento – del Pd.

Nella sua fase iniziale, di grande spolvero, Veltroni pensava di potere coprire con il suo carisma il rapporto con l’area più produttiva del Paese, l’Alta Italia. I suoi rapporti con il Corriere della Sera (base per il reclutamento di un esperto di pregio come Pietro Ichino), con gli intellettuali milanesi legati alla Repubblica (tipo Tito Boeri), con gli industriali nordisti più coinvolti nella avventura montezemoliana (da Massino Calearo a Matteo Colaninno) gli sembravano che fornissero la base sufficiente per contrastare la pur forte e persistente egemonia berlusconian-leghista. Con l’apporto di Enrico Morando e della giovane marmotta Maurizio Martina segretario del Pd della Lombardia, contando sul suo sistema di relazioni, Veltroni riteneva di poter snobbare il fassiniano Chiamparino, il dalemiano Claudio Burlando, il flessibile Filippo Penati, il diversamente snob Massimo Cacciari. Al fondo l’unica personalità del Nord veramente in sintonia con Veltroni era Marta Vincenzi (che aveva resistito e vinto sui dalemiani) sindaco di Genova. Anche agli emiliani (e affini come Sergio Cofferati) tipo Vasco Errani, troppo legato a Pierluigi Bersani, Veltroni preferiva i toscani Vannino Chiti, Claudio Martini e tutta l’articolata banda del Monte Dei Paschi.

Bene, ora lo stato di grazia è finito: il cotè anche nordista della Repubblica guarda a Renato Soru, la Stampa a Chiamparino, sul Corriere non pesano più in senso filoveltroniano, quegli interessi immobiliari (e finanziari) che consideravano molto – prima della vittoria di Gianni Alemanno – il leader del Pd in vista di un’oculata gestione del piano regolatore. La vita non è più rosa e bisogna sfangare per tenersi in contatto con le regioni dell’Alta Italia. Ma come? Si diceva che la formula tutta glamour dell’ex sindaco di Roma non funziona più. Chiamparino cerca di impostare una sua strategia settentrionalista, attento anche alle punte anticlericali tipo Mercedes Bresso (vedi la presa di posizione del sindaco di Torino sulla legge per un testamento biologico: se non si trova un accordo, non c’è più un partito). Ha molte carte a suo favore. E che l’erede della regione più “nazionalista d’Italia” punti al federalismo è una bella innovazione. La sua intesa con Sergio Marchionne e Corrado Passera gli dà importanti chance. La funzione di mediazione con i magistrati di un torinese come Luciano Violante apre altri spazi politici. Così il ruolo che un altro torinese l’ex sindacalista Cesare Damiano può giocare tra Cgil, Cisl e Uil.

Per costruire però un’efficiente lobby del Nord si tratta di mettere insieme realtà molto diverse. I milanesi e i lombardi sono ancora sotto gli effetti delle distruzioni che alla sinistra ha inflitto Mani pulite, colpendo il partito socialista e aree del partito comunista che rappresentavano il cuore riformista di una tradizione plurisecolare. La sinistra a Milano è terra di conquista in cui fanno incursioni i personaggi più vari: l’ultimo quella specie di marziano scelto da Salvatore Ligresti come candidato della sinistra a sindaco, che è stato l’ex prefetto Bruno Ferrante. Penati, senza dubbio il politico più sveglio del giro locale, non riesce ad allineare bene il partito alle sue posizioni. Decisiva poi per le affermazioni del centrosinistra in tanti comuni del Nord est è stata l’anima del cattolicesimo sociale che ha oggi il suo esponente più in vista nel non brillantissimo cardinale Dionigi Tettamanzi: sono cattolici più o meno di sinistra quelli che hanno vinto in zone impossibili come la città di Bergamo, di Sondrio, di Vicenza, di Udine. Esponenti politici però che prevalgono facilmente quando Forza Italia si avvoltola in una delle sue numerose contraddizioni ma che poi “le prendono” – come è successo a Verona – quando spunta un leghista come Flavio Tosi legato ai bisogni popolari. E comunque il problema del legame tra cattolici sociali e ceti urbani molto modernizzanti rappresentati da un politico come Chiamparino non è ancora risolto. Anzi tende a provocare situazioni come quella della provincia di Trento dove il cattolico sociale Lorenzo Dallai ha tenuto a differenziarsi dal Pd. La via del Pd per consolidarsi al Nord appare ancora molto lunga.