Il “Pd’élite” alla ricerca della classe operaia perduta
27 Marzo 2018
Un voto di classe. “Un tempo esisteva un voto di classe” dice Andrea Orlando a Tommaso Ciriaco sulla Repubblica del 23 marzo. E oggi non esisterebbe più? Proprio il quotidiano di Largo Fochetti qualche pagina dopo l’intervista al Guardasigilli spiega con un articolo di Lavinia Rivara come: “Trovare la sinistra non è poi così difficile, la sua casa è ormai in zone molto illuminate, nei quartieri borghesi dei grandi centri urbani, dove la sera si può uscire e vive la classe dirigente”. Dalla Collina di Torino a via Montenapoleone a Milano, ai Parioli di Roma il Pd raccoglie ancora un voto di “classe”. Un’altra rispetto a quella di prima.
Come je rode ai republicones il non saper più come distribuire le carte all’antico e disperso popolo della sinistra. “Con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato è nato il Frankenstein grillo-leghista, frutto del bacio sacrilego tra Di Maio e Salvini. Difficile dire con quanto anticipo sia stato concepito. Sta di fatto che la strana creatura con due mosse spregiudicate ha marchiato a fuoco la nuova legislatura”. Così Massimo Giannini sulla Repubblica del 25 marzo. “Di Maio, che fu commesso alla stadio di Napoli, ieri alla Camera veniva riverito come uno statista dai commessi in livrea, dai suoi ex colleghi”. Così Francesco Merlo sempre sulla Repubblica del 25. Le firme più celebri del quotidiano diretto da Mario Calabresi, sono tutte un insulto: Frankestein, bacio sacrilego, marchiare a fuoco. Merlo ha toni razzisti contro chi non ha avuto un’onorata carriera come la sua. Gian Antonio Stella (che peraltro lanciando nello stesso periodo della Confindustria montezemoliana, nel 2007, la campagna contro la casta, politica naturalmente, è un po’ uno dei papà dei Cinquestelle) non solo non fa il razzista ma è addirittura simpatetico nei confronti di Roberto Fico, così sul Corriere della Sera del 25 marzo: “Costretto a fare un po’ di tutto: dal centralino al call center Vodafone al gestore di un piccolo B&B fino al redattore di una piccola casa di libri giuridici”. Comunque in generale ai corrieristi nun je rode come a quelli di Largo Fochetti abituati a fare e disfare orientamenti di un popolo di sinistra che oggi guarda più al Fatto.
La questioni delle armi negli Stati Uniti: va assunto un punto di vista razionale o un punto di vista alla Fonzie? “Mettere in discussione il potere di una delle lobby che da sempre condiziona la vita delle istituzioni americane”. Walter Veltroni sulla Repubblica del 27 marzo loda con la sua solita insopportabile retorica le recenti manifestazioni di giovani contro la diffusione delle armi negli Stati Uniti. Una persona anche di sinistra dovrebbe avere consapevolezza che la questione della libertà americana di girare armati non è solo un’invenzione della NRA (l’associazione di rappresentanza dei produttori di armi) ma è un diritto garantito dalla Costituzione. A noi europei certi rudi aspetti della società americana (pensate anche alla pena di morte o a certe concezioni del welfare) appaiono meno accettabili degli usi e costumi che le nostre società, anche perché cresciute storicamente tra mille violenze, hanno man mano acquisito. D’altra parte la vitalità degli Stati Uniti è stata garantita anche dalla sua libertà per certi versi un po’ selvaggia, ed è poi stata assai utile, peraltro, alla libertà del nostro Continente. Un europeo anche di sinistra, dunque, si interroga così su queste contraddizioni che contengono un elemento tragico cioè l’espressione di due “ragioni” che entrano in contrasto. Questo è il punto di vista di chi cerca di avere una comprensione razionale del mondo: poi c’è il punto di vista dei Fonzie.
Poche parole del magnifico Münchau per affondare la cervellotica tesi che il malessere italiano non esista e sia solo frutto di un’errata percezione della realtà. “What we see in Italy now is the predictable response to two decades of economic policy that failed to produce jobs for young people. Many of the victims of this policy are now the backbone of support for the two triumphant populist parties. No country, not even a paternalistic one such as Italy, can maintain a pro-European consensus in the presence of permanent economic calamity”. Wolfgang Münchau scrive sul Financial Times del 24 marzo che quel che si registra nell’Italia è l’inevitabile effetto di una politica economica che non è stata in grado di produrre lavoro per le giovani generazioni, ora divenute la spina dorsale della Lega e dei grillini. Neanche una società paternalistica, continua l’opinionista FT, come quella italiana avrebbe potuto conservare un’opinione pubblica filo-Unione Europea dopo queste tragedie economiche. Poche, formidabili parole rivolte a quei poveretti, ciechi o in malafede, che continuano a sostenere come il malessere della nostra società non sia fondato su basi realistiche ma sia solo percepito da un popolo di idioti che sta benissimo e non se ne accorge.