Il Pdl ponga le basi per la ricostruzione di una nuova area popolare e riformista

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il Pdl ponga le basi per la ricostruzione di una nuova area popolare e riformista

14 Maggio 2012

I recenti risultati elettorali presentano delle dinamiche complesse ancora in via di decifrazione come sempre succede nel caso delle elezioni locali quando si intersecano motivi di rilievo nazionale e questioni legate allo specifico delle situazioni. Il risultato è uno strano gioco di specchi dove il successo è frutto della forza della buona amministrazione, mentre la sconfitta è sempre figlia degli errori dei padri. Mi riferisco a chi, nel Pdl, attribuisce la disfatta, fino al disfacimento, alle attuali posizioni nazionali del partito di Berlusconi, al suo appoggio al governo Monti che sta conducendo una dura e criticabile politica economica e fiscale, esatto opposto di quello che si aspetterebbe l’elettorato moderato centrista. E quindi, per riconquistare consenso, non si tratterebbe altro che di prendere le distanze o addirittura abbandonare al suo destino il presidente del Consiglio e i suoi tecnici.

Credo che purtroppo le cose non siano così semplici e che molteplici fattori partecipino alla crisi profonda, di cui non si vede l’uscita, del Popolo della libertà. Per essere sintetici, il Pdl sta attraversando una triplice crisi: una crisi di leadership rappresentata dal tramonto di Berlusconi, una crisi determinata dalla mancanza di progetto, di visione, di lettura di cosa rappresentino i fenomeni globali e infine una crisi profonda dello stesso partito come dimostra la sua (in)capacità di selezionare la classe dirigente in grado di amministrare comuni e regioni d’Italia.

Innanzitutto questo partito paga il fallimento del suo governo, in modo particolare della sua politica economica che ha riproposto atti liberisti, senza attuarli, in uno scenario mondiale completamente nuovo e profondamente cambiato rispetto a quello della Thatcher o di Reagan, si veda per limitarsi ai fenomeni più macroscopici, la scomparsa del ‘terzo mondo’, il crollo demografico dei paesi europei e specialmente dell’Italia, la finanziarizzazione dell’economia e infine la stessa natura della sovranità nazionale con la nascita dell’euro e dei vicoli che ne derivano. Per non parlare dei freni a riforme autenticamente liberali imposti dal solito blocco conservatore – il cosiddetto partito della spesa pubblica – fortissimo nella società italiana e ben presente anche nel centro-destra.

Un secondo motivo, però, va ricercato nella natura stessa del Pdl, nella sua teorizzata e difesa anomalia di essere il partito del Presidente, partito carismatico populista di massa, dove la classe dirigente viene scelta dall’alto, più per la sua vicinanza al sole che per meriti conquistati sul campo. Con la conseguenza che la macchina del partito, la scelta dei candidati, non è stata mai una teca trasparente ma luogo di ‘arcana imperii’ sottratta alla discussione pubblica e agli occhi degli iscritti e dei cittadini elettori, con la conseguenza di proporre personaggi slegati e lontani, quasi inaccessibili, dal territorio, incapaci di fare delle sintesi politiche ragionevoli tra interessi particolari e valori generali.

Naturale e ovvio che la parabola discendente della stella di Berlusconi si portasse dietro il problema della successione e della leadership; non era invece scontato che con il venir meno della forza del Cav. a entrare in crisi fosse lo stesso partito come pernio di un’area moderata e riformista. Questo è un punto estremamente importante perché non deriva in nessun modo dagli altri limiti. Anche la sinistra non ha nessuna capacità di offerta politica all’altezza dei tempi, ma sicuramente il Pd – qui in Toscana ha un rapporto, senza mitizzarlo – l’astensione enorme di questa tornata dovrebbe dire qualcosa -, diverso e migliore con le città ed i comuni, insomma più vicino alla gente.

Ma un buon amministratore, un buon sindaco adesso, in un’epoca de-ideologizzata, può vincere non grazie ai partiti, ma nonostante l’ipoteca fallimentare del partito, come dimostra il caso del leghista Tosi a Verona. Perciò, la sconfitta del Pdl sul piano locale non si misura sul fallimento nazionale, i pessimi risultati non sono solo colpa di Roma, di Berlusconi, di Alfano o di chissà chi. Se da semplice osservatore, e da sempre elettore del Pdl, posso dare un consiglio ai dirigenti locali, non aspettate indicazioni da Roma, aprite subito le finestre, iniziate una discussione pubblica la più ampia possibile con chiunque, cittadino elettore iscritto, su quali basi sia possibile ricostruire una nuova area popolare e riformista e sul perché in Toscana il Pdl non rappresenti, dopo quasi un ventennio di governo nazionale, nessuna alternativa credibile al centro-sinistra.