Il Pdl punta a rifondare lo Stato ed è per questo che la Lega è insofferente

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il Pdl punta a rifondare lo Stato ed è per questo che la Lega è insofferente

20 Aprile 2009

E’ uno strano momento. Da un canto, la prontezza con cui Berlusconi e il governo sono stati in grado di affrontare la situazione di emergenza creata dal terremoto in Abruzzo hanno rafforzato il ruolo e la figura del premier e reso ancora più percepibile la rinascita dello Stato; dall’altro, si iniziano a intravvedere all’orizzonte i mali che hanno insidiato i precedenti governi del centro-destra.

Ci troviamo dunque a un bivio. Da una parte c’è la grande opportunità di consolidare e dare forma istituzionale al cambiamento determinato dal voto dell’aprile 2008 e a quella rivoluzione nel processo decisionale che in via di fatto Berlusconi ha già realizzato a Napoli e all’Aquila; dall’altra c’è la vecchia insidia nascosta fra le pieghe delle "convivenze" e delle alleanze di governo.

Il PdL – lo abbiamo ripetuto fino allo spasimo – deve essere partito di laici e di cattolici e non può configurarsi come un partito ideologicamente unitario. Ma il principio della coabitazione fra culture e sensibilità diverse non dovrebbe mai essere spinto fino all’estremo, come talvolta succede, giungendo a destabilizzare un’omogeneità ideale di fondo (che è cosa diversa dal pluralismo culturale). Se ciò accadesse si rischierebbe la babele dei linguaggi e, per forza di cose, si concederebbe al residuo centrista dell’Udc una ragione d’esistere e, sul lungo periodo, un’alternativa alla necessità di trovare un nuovo accordo con il centro-destra.

Quanto alla Lega, tra PdL e Carroccio non mancano aspetti di condivisione di fondo, che derivano dal comune empirismo e dagli esempi di amministrazione virtuosa della tradizione comunale, soprattutto se declinata in lombardo-veneto. D’altra parte, però, l’orizzonte culturale della Lega è proiettato sulla dimensione del Comune; non valorizza lo Stato e, per questo, è naturalmente ostile al tentativo di rifondarlo e d’incarnarlo in una leadership.

Questa carenza della Lega rappresenta una sirena permanente per una sinistra in crisi, priva di capacità egemonica e di un progetto sociale. Da qui deriva il rischio che si possa verificare una saldatura non solo tattica tra Pd e Lega, sulla base della tendenza al particolarismo e dell’indebolimento della forza dello Stato centrale.

Per carità: si tratta solo di un rischio. Non va enfatizzato ma neppure sottovalutato. Esso si è mostrato in tutta la sua evidenza in occasione della discussione sul federalismo fiscale, basta leggere gli atti parlamentari di quei giorni per rendersene conto. Se ad  esso si dovesse sommare una riforma istituzionale "debole" (tipo "bozza Violante", magari ancora più edulcorata), eludendo il problema che Berlusconi pone in tutte le occasioni possibili – quello della fine di un regime d’assemblea nel quale il capo dell’esecutivo è pressoché privo di poteri -, la frittata sarebbe fatta.

Per questo, la discussione che si è sviluppata attorno alla data del referendum non va presa sotto gamba. La Lega ha avuto ragione a chiedere che la consultazione referendaria non riceva il traino automatico delle elezioni europee che gli garantirebbe il quorum: non si può imporre per legge il bipartitismo, per di più in una situazione nella quale tra il primo e il secondo partito vi sono almeno 15 punti di distanza e, per questo, il premio di maggioranza sarebbe assegnato a prescindere. Ed è quasi paradossale che a far notare tutto ciò debba essere il PdL, che di quel premio sarebbe il sicuro beneficiario!

D’altro canto, però, alla luce di questa ennesima prova di lealtà, il PdL dovrebbe sollecitare da parte della Lega un appoggio concreto alla revisione dei regolamenti parlamentari, dalla quale puo’ passare una parte consistente del rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, e un impegno effettivo per uscire dal regime assembleare e adeguare l’architettura formale delle istituzioni nazionali a un nuovo senso comune che si è ormai affermato.

Insomma, come Berlusconi ha indicato nella sua relazione al congresso fondativo del partito, va ripresa la bandiera della riforma dello Stato: serve contro le possibili insidie da parte degli alleati; serve per sconfiggere chi vorrebbe far scadere il lavoro di quindici anni a una vicenda eroica personale racchiudendolo in una parentesi, privando così il Pdl della conquista della continuità e Berlusconi del merito di aver salvato il Paese dalla frammentazione e di aver rifondato lo Stato.