Il Pdl ritroverà slancio solo se sancirà il primato della politica sul governo delle banche

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Il Pdl ritroverà slancio solo se sancirà il primato della politica sul governo delle banche

23 Febbraio 2012

“Lentamente muore…” scriveva Neruda, e il PDL di oggi – dell’ipoteca politica e culturale di Monti sui partiti – è diventato l’interprete più coerente di quei versi. Muore lentamente quello che era l’allegro baraccone berlusconiano, ucciso da vertici che partoriscono solo inni pietosi; da scenari kafkiani come quelli di Palermo (dove in vista delle amministrative il PDL viene commissariato dal Terzo Polo, che di fatto impone ad Alfano il suo candidato… nella città di Alfano); da un approccio mai costruttivamente critico verso il governo dei tecnici (senza vestire i panni della Lega, dell’opposizione nevrastenica e strumentale); da un attendismo forzato che  porta a non dichiarare morto quel PDL ritenuto dai suoi stessi dirigenti, in tutti i consessi privati, in fase avanzata di putrefazione.

Ci sarebbe modo di rivitalizzare questo Popolo della Libertà (a patto che si inizi a rivoltarlo nella forma – a partire da quel nome che grida vendetta – e nella sostanza), ma la smisurata attrattiva determinata dalla “Cosa tecnica” induce chi ha le chiavi di Via dell’Umiltà ad aspettare la formalizzazione del fallimento passando dalle amministrative, per portare le paste a casa Monti (o Passerà o Casini…) e chiedere confortevole ospitalità. Molti forzisti hanno già le valigie pronte, e non è remota l’ipotesi che qualche ex An di prima fascia preferisca morire di potere piuttosto che di identità. Se si scegliesse questa seconda strada fin d’ora – quella dell’identità non settaria – non aspettando il tracollo delle elezioni locali, il PDL tornerebbe a sancire il primato della politica sul governo delle banche, rilanciando la propria azione con proposte destinate a incontrare larghissimo favore popolare.

Perché, a questo proposito, non si inchioda l’esecutivo sulla richiesta di incalzare le banche affinché tornino a riaprire i rubinetti del credito a favore di famiglie e imprese? Perché il partito resta silente sulla vendita di Fonsai a Unipol? Perché non denuncia l’intima follia di quel decreto “svuotacarceri” che umilia poliziotti e detenuti? Perché non promuove una manifestazione di solidarietà a sostegno del popolo greco, per denunciare lo scempio di sovranità che sta subendo Atene (al netto delle evidenti responsabilità della classe dirigente ellenica)? Ognuna di queste questioni trova risposta nella certezza che siano tutte domande retoriche.

Chi non alza un dito lo fa perché ritiene sconveniente battersi in nome della mera rappresentanza di elettori – definiamoli sbrigativamente “di destra” – che reclamano nettezza e coerenza, considerando ben più capitalizzabile nell’immediato futuro il posizionamento fra i “non-politici” (doppiamente influenti rispetto ai “politici puri”) che domineranno la scena. Adesso non si vuole proprio fare questo “Partito liberal-nazionale”, per tentare di arrivare al momento della (scontata) liquefazione del PDL con strutture organizzative e ricette spendibili? Allora ci si augura che questo soggetto nasca per sottrazione, lasciando partire le moltitudini che abbandoneranno il PDL per sposare “il partito dei migliori”, e costruendo sulle ceneri del berlusconismo un contenitore di Centro-Destra che tenga dentro ex An con un forte profilo identitario ed ex forzisti intenzionati a spirare da liberali e non da moderatissimi lustrascarpe della finanza. Un partito, in definitiva, che difenda la possibilità di iniziare a fare politica bussando a una sezione di partito; non già alla porta blindata di una banca.