Il Pdl sta al fianco di Galan per tutelare il patrimonio culturale italiano

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Il Pdl sta al fianco di Galan per tutelare il patrimonio culturale italiano

Il Pdl sta al fianco di Galan per tutelare il patrimonio culturale italiano

17 Aprile 2011

Signor Presidente, colleghi Senatori, signor Ministro,

il programma che lei, ministro Galan, ha esposto cade in una fase del tutto peculiare sia per quanto riguarda la promozione della cultura sia per il dibattito che su questo tema si è svolto nel nostro Paese. Non ricordare tutto ciò sarebbe ipocrita, e alla fine priverebbe di tensione drammatica il compito che lei si appresta a svolgere.

Presidente, colleghi, la cultura di norma poggia sulle spalle del bilancio dello Stato. Essa è un elemento indispensabile nella vita sociale di una comunità nazionale e il ministro Galan ha assolutamente ragione nell’identificarla, in un’ottica di lungo periodo, come l’elemento che ha consentito al nostro Paese di potersi considerare una grande nazione. Nondimeno, l’impegno di cui nel breve periodo il bilancio dello Stato deve farsi carico è consistente. E quanto più il patrimonio culturale accumulato è imponente, tanto più il peso sulle casse dello Stato si fa gravoso.

Questo dato di realtà entra drammaticamente in contrasto con la situazione che si è determinata nell’economia mondiale. Il venir meno della corrispondenza tra economia virtuale ed economia reale ha imposto a tutti in Occidente politiche di rientro, ha impedito la previsione di politiche di crescita economica ma anche sociale e culturale finanziate in deficit, ha imposto rigori e tagli. E ovviamente a risentire della crisi internazionale sono stati soprattutto gli ambiti che maggiormente poggiano sulle finanze Statali.

La cultura, e in particolare alcuni ambiti dell’attività culturale, possono in tal senso essere considerati esempi paradigmatici. A poco serve, infatti, la retorica del bene culturale come bene economico che può fruttare, utilizzata ampiamente a destra come a sinistra. Non c’è dubbio, e lo diremo, che è necessario trovare altre strade e forme di finanziamento. Ma nell’immediato ciò non allevia la portata delle difficoltà imposte dai tagli, e i numeri che lei ci ha presentato, signor Ministro, chiariscono bene come questa pratica sia assolutamente bipartisan: vi si sono applicati, per mancanza di alternative, governi di sinistra e di centrodestra, con più o meno incidenza non tanto in virtù di una loro propensione, quanto per le contingenze della crisi economica mondiale che hanno dovuto affrontare.

Questa consapevolezza dovrebbe imporre a tutti umiltà, responsabilità, ricerca di nuove soluzioni compatibili con le difficoltà del presente. E invece – saremmo ipocriti se non lo dicessimo chiaramente – tutt’altra attitudine ha dimostrato l’opposizione nella vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro Sandro Bondi. La mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti, in particolare per quanto accaduto a Pompei, resterà una pagina triste della nostra storia parlamentare, un esempio di come la modernizzazione bipolare della politica italiana possa essere insidiata dalla logica del nemico da distruggere. Non è stato edificante dimenticare quanti altri attentati il tempo e l’incuria hanno provocato al patrimonio culturale italiano negli anni in cui alla guida del governo e in posizioni di varia responsabilità si trovavano esponenti del centrosinistra. Solo per rinfrescare la memoria, e a mero titolo di esempio, ricordiamo la Domus Aurea, la Cattedrale di Noto, le Mura Aureliane. Non ci pare che in quei casi dalle file del centrodestra sia mai venuta non dico una richiesta di dimissioni, ma neppure una colpevolizzazione dell’avversario.

E, lo diciamo con la stessa chiarezza, ci è sembrato il riflesso spocchioso di una egemonia antica e declinante quello che tanti intellettuali hanno mostrato nell’opporsi alla politica culturale del centrodestra richiamando l’articolo 9 della Costituzione con il quale la Repubblica è chiamata alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Quell’articolo, cari colleghi dell’opposizione, noi lo conosciamo. Ma se si considera la Costituzione un testo vivo che deve produrre effetti interagendo con il presente per non diventare un totem da venerare in attesa di effetti taumaturgici, il vero problema che si pone è comprendere il modo in cui oggi è possibile svolgere quel ruolo e quali scelte, anche dolorose, che quel compito oggi impone.

Signor Ministro, a tal proposito noi condividiamo la centralità assegnata al termine "patrimonio", dal quale la sua relazione ha preso avvio e sul quale è tornato in conclusione. Quel termine, infatti, pone il problema di quale concezione si abbia oggi dell’identità e richiama una sfida centrale nell’orizzonte della post-modernità. Perché negli ambiti più diversi del sapere, c’è chi ha di fatto teorizzato la possibilità di un’identità senza passato, che obliteri il problema dell’origine, della tradizione, del lento accumularsi di senso attraverso il tempo e le sue testimonianze fattive. Un’identità, insomma, tutta fondata sul contemporaneo e sulla pretesa che da esso possano nascere diritti in grado di generarne sempre altri alla ricerca di una libertà esente dalla responsabilità che nasce dalla storia, dalla tradizione, dal patrimonio di una comunità.

Benedetto Croce, da studioso impareggiabile del Medioevo e dell’età moderna, affermava che la storia è sempre storia contemporanea. Intendeva dire che la storia, anche la più antica, interagisce col presente: viene letta secondo le esigenze, i problemi, le sfide del mondo contemporaneo. Ed è per questo storia viva. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, lo stesso potremmo dire per la cultura: che è sempre cultura contemporanea o non è. Perché la vera cultura è quella che si fonda su un patrimonio, ne è consapevole, ne ha la responsabilità sapendo che da quelle radici solo possono nascere nuovi frutti.

Lo Stato ha il dovere primario di difendere questo patrimonio, quel che le generazioni passate ci hanno lasciato. Per tutto il resto abbiamo condiviso, signor Ministro, il suo richiamo alla sussidiarietà orizzontale: la grande assente della Costituzione del 1948. Per De Gasperi la sussidiarietà è il principio per il quale lo Stato deve "aiutare a fare" e si oppone, per questo, sia al "lasciar fare" teorizzato dal liberalismo classico sia allo Stato che fa in presa diretta, strumento della programmazione centralizzata dei regimi collettivisti. Ecco, in diversi ambiti della vita culturale lo Stato non potrà più fare in presa diretta: dovrà limitarsi ad aiutare a fare. E da ciò potrà derivare per il Paese una vita culturale meno ingessata, meno esposta alla categoria dell’egemonia, meno dominata da lobby irresponsabili che avvertono il proprio bene con più intensità di quanto avvertano il bene comune. Lo Stato deve andare in questa direzione non al fine di farsi minimo e nemmeno di diminuirsi. Al contrario: deve farlo per necessità, per scelta e perché chiamato ad emergenze più importanti.

Vogliamo sottolineare con forza l’impegno che il Ministro Galan ha preso per il centro storico dell’Aquila. Sappiamo che è un impegno gravoso e non scontato, ma abbiamo ancor più il dovere di leggere e interpretare il messaggio che ci viene da una città che ha resistito e vuole rialzarsi, che ha sconfitto le previsioni più catastrofiche sul suo possibile svuotamento ed ha perso solo 2mila studenti su 25mila nella sua istituzione culturale e sociale più importante, l’università.

Così come, signor Ministro, il proposito di sviluppare la sussidiarietà verticale, questa sì presente nella Costituzione e rafforzatasi per le riforme degli ultimi anni e in particolare per l’attività di questo governo, deve trovare un limite nella tutela di quell’inestimabile bene culturale che è il nostro paesaggio, che non può restare un bene museale ma che al contempo deve essere difeso da chi non ha il necessario distacco per apprezzarlo. Anche questo è compito di uno Stato, a maggior ragione se caratterizzato in senso federale.

Signor Presidente, in conclusione, siamo del tutto consapevoli che privilegiare innanzi tutto come Stato la tutela e la promozione di un patrimonio non è scelta di conservazione ma è scelta culturale rivoluzionaria. Perché proprio da quel patrimonio potranno nascere altre espressioni culturali, che per non essere espressione di elite irresponsabili e arroganti, debbono trovare non nello Stato ma nelle opportunità che la società sa offrire i principali strumenti per affermarsi, imporsi, sedimentarsi a loro volta.

In questa sfida il Ministro Galan ci troverà al suo fianco, e per questa sfida il gruppo del PdL gli rivolge i migliori auguri di buon lavoro. Grazie.