Il personalismo liberale che tanto piaceva a Rosmini

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il personalismo liberale che tanto piaceva a Rosmini

30 Novembre 2008

Antonio Rosmini Serbati è senza dubbio una delle figure più alte del panorama filosofico e della spiritualità cattolica dell’ Italia moderna. Di lui ebbe a dire il papa Gregorio XVI nel documento ufficiale di approvazione dell’Istituto della Carità, la congregazione religiosa fondata dallo stesso Rosmini: “Uomo fornito di alto, eminente ingegno; adorno di egregie qualità d’animo, sommamente illustre per la scienza delle cose divine ed umane; chiaro per esimia pietà, religione, virtù, probità, prudenza e integrità; risplendente di meraviglioso amore e attaccamento alla religione cattolica e alla sede apostolica”. La sua beatificazione, solennemente proclamata a Novara il 18 novembre dell’anno scorso dal cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha apposto un suggello definitivo all’elevatezza della personalità di questo grande apostolo della fede cristiana protesa a illuminare i cuori e le menti degli uomini.

Nato a Rovereto, in una nobile e ricca famiglia, il 24 marzo del 1797, Rosmini diventò sacerdote nel l821, e nel 1823 fu lo stesso papa Pio VII a incoraggiarlo a continuare con impegno gli studi di filosofia per i quali mostrava una straordinaria inclinazione. Tale incoraggiamento verrà confermato qualche anno più tardi dal nuovo pontefice Pio VIII che ne approvò pure la volontà di dar vita a un Istituto religioso maschile. Nel frattempo, Rosmini aveva composto numerose opere che avevano destato l’ammirazione di uomini del calibro di Galluppi, Tommaseo, Gioberti e Manzoni, al quale fu legato da una sincera amicizia. Nel 1838 furono approvate da papa Gregorio XVI le costituzioni dell’Istituto della Carità, la nuova famiglia religiosa da lui voluta con ardore profondo. Qualche anno più tardi, nel 1841, il pensatore roveretano fu fatto oggetto di aspre critiche. Iniziò così una polemica che durerà molto a lungo (addirittura fin dopo la sua morte) e che condizionerà pesantemente una corretta e serena ricezione delle idee rosminiane.

Nel 1848, Pio IX voleva farlo cardinale e nominarlo Segretario di Stato, ma la cosa non si realizzò. Anzi, poco tempo dopo, il suo celebre scritto Delle cinque piaghe della Santa Chiesa venne condannato. In quest’opera, il filosofo trentino aveva individuato nella separazione del popolo cristiano dal clero, nell’interferenza del potere politico nella nomina dei vescovi e nella poca trasparenza circa l’amministrazione dei beni i mali più gravi che affliggevano la Chiesa cattolica. Rosmini si sottomise comunque al giudizio dell’autorità ecclesiastica e si ritirò a Stresa, ove continuò a impegnarsi assiduamente nello studio e nella preghiera fino al 1 luglio 1855, quando, nelle prime ore del giorno, morì, dopo aver ricevuto un’ultima visita del Manzoni, suo grande amico. A lui affidò, quasi come simbolico testamento spirituale e sintesi di tutto quello che la vita gli aveva insegnato, tre compiti: «adorare, tacere, godere», in un’ estrema offerta di amore verso tutti coloro che non gli erano stati benevoli.

Uomo dalla cultura amplissima e poliedrica, Rosmini scrisse molto, spaziando nei campi più diversi e occupandosi di logica, metafisica, etica, pedagogia, diritto, politica, teologia e ascetica. La prima e principale preoccupazione che muove Rosmini è di carattere apologetico. Egli è convinto che la filosofia moderna può recare gravi danni alla verità cattolica, soprattutto a motivo del fatto che essa è tutta impregnata di quel soggettivismo che non è possibile conciliare con la più genuina tradizione religiosa. Muovendosi su questa linea, egli individua nell’ idea dell’essere il fondamento e il presupposto di ogni conoscenza umana. Tale idea, a suo giudizio, è innata e non deriva dall’esperienza, essa è il lume stesso della ragione, connaturato all’uomo per volere di Dio. Rosmini definisce pertanto la conoscenza come una sintesi tra questa idea a priori, oggettiva perché ha in Dio il suo fondamento, e la materia, che deriva dai sensi. In tal modo, egli ritiene di aver trovato quell’elemento universale, comune a tutti gli uomini, che mette al riparo la conoscenza dal rischio del soggettivismo e permette di elaborare una filosofia non più invischiata nell’empirismo e nel sensismo, che avevano finito per condurla lontano dalla verità che ha il suo culmine nel cristianesimo. Su queste basi, Rosmini costruisce il suo edificio speculativo, sottolineando in modo particolare l’inalienabile valore della persona umana, detentrice di due fondamentali diritti, quello alla libertà e quello alla proprietà, che implicano il netto rifiuto di qualsiasi teoria politica che pone l’individuo in secondo piano rispetto allo Stato.

A proposito delle dottrine rosminiane, si è potuto opportunamente parlare di “personalismo liberale”, un significativo cenno del quale è contenuto nelle seguenti affermazioni presenti nella rosminiana Filosofia del diritto: “La proprietà esprime veramente quella stretta unione di una cosa con una persona … Questa specie di unione che si chiama proprietà cade sempre dunque tra la persona e la cosa e racchiude un dominio di quella sopra di questa. La proprietà è il principio della derivazione dei diritti e dei doveri giuridici. La proprietà costituisce una sfera intorno alla persona di cui la persona è il centro; nella qual sfera niun altro può entrare”.

Il pensatore roveretano fu pure, come si è detto, teologo e asceta, e nei suoi scritti è rintracciabile anche una profonda e suggestiva riflessione sul tema dell’amore che merita di essere conosciuta e che testimonia una sicura fedeltà all’ispirazione evangelica che, peraltro, anima tutto il sistema rosminiano. Per Rosmini l’amore di Dio e per Dio è il cuore della fede cristiana, e ad esso egli riconosce un primato assoluto: è dall’amore di Dio che scaturisce l’amore del prossimo ed è ancora l’amore a fungere da fondamento di tutta l’ etica. Sulla scorta del messaggio evangelico e della grande tradizione del pensiero di ispirazione cristiana, Rosmini identifica l’ amore con l’essere e ravvisa in esso la realtà sulla quale si fonda la persona umana. Secondo il filosofo di Rovereto, il Dio di Gesù Cristo è soprattutto un Dio amante che sceglie di rivelarsi all’ uomo proprio come amore: fede e carità, dunque, si uniscono intimamente sino a fondersi, così che, come Gesù ha testimoniato in modo perfetto, l’amore che da Dio proviene, a Dio ritorna. A questo proposito, Rosmini ripete spesso che l’amore ama l’amore, dando vita a un costante scambio di ruoli tra l’amante e l’amato, e suggerisce pure alcune modalità concrete secondo cui attuare tale amore caritativo. Tra queste, egli attribuisce un valore del tutto particolare alla carità intellettuale che si realizza mediante l’impegno della mente e attraverso lo stesso filosofare che prevede due momenti ugualmente importanti: la rinuncia e il rifiuto dell’errore e la proposta della verità, nella certezza che non v’è carità più bella di quella che svela la verità, di quella che fa un tutt’uno con la verità.

È la carità che ha per unico scopo Dio e che a Lui vuole indirizzare gli uomini. Non meraviglia che il Santo Padre Giovanni Paolo II, nel messaggio inviato al Rettore dell’ Università Cattolica nel marzo del 2000, abbia scritto le seguenti parole: «Nulla è tanto devastante nella cultura contemporanea quanto la diffusa convinzione che la possibilità di raggiungere la verità sia un’illusione della metafisica tradizionale. È allora più che mai necessaria un’azione a vantaggio della cultura, che potrebbe essere chiamata opera di carità intellettuale secondo una pregnante espressione del Rosmini».

Un tema che occupò in misura significativa la riflessione rosminiana, collegato anche alle sue vicissitudini personali, fu quello del sacrificio riassunto nel suo significato più autentico dal sacrificio eucaristico: le infermità, le ostilità, le vulnerabilità umane sono esperienze nobili, nelle quali può emergere in tutta la sua forza e purezza la potenza di Dio. A testimonianza di ciò, Rosmini volle che alle pareti delle camere dei suoi confratelli fosse collocato il crocifisso, ma, accanto a esso, pose sempre anche un’immagine di Maria Addolorata. Ciò riveste un grande significato: Maria è, dopo Gesù, nostro modello e nostra maestra. Il filosofo era rimasto molto colpito da come la Madonna aveva vissuto in modo perfetto le due note essenziali della condizione umana, ovvero la miseria e la grandezza. Inoltre, egli ravvisava nella Madre di Gesù la Madre di tutta l’umanità, sostenendo che per il cristiano esistono appunto due madri: una è la Chiesa, l’altra è la Madonna, sotto il cui manto tutti si possono rifugiare.

In un commento al Magnificat, Antonio Rosmini scrisse: «In questo cantico, il più semplice e il più sublime a un tempo, … è compendiata la storia della Chiesa, è raccolto il succo della sapienza evangelica … è magnificamente ringraziato c celebrato quel Dio che, eleggendo la sua umile e fedele ancella fra tutte le donne, … non aveva soltanto fatto cose grandi a Maria, ma per Maria altresì a tutto il seme di Adamo». Nel Decreto sull’ eroicità delle Virtù di Antonio Rosmini, promulgato il 26 giugno 2006 dalla Congregazione delle Cause dei Santi, si legge, tra l’altro: “Tutti concordano nel dire che il Servo di Dio ha esercitato costantemente e in grado eminente le virtù evangeliche. Percorse, infatti, la via stretta della santità e fu d’esempio al prossimo per la salidità della fede, la gioia della speranza e il fervore della carità … La fede illuminò e guidò tutta l’esistenza del Servo di Dio … Mise i suoi talenti al servizio della fede che propagò con l’esemplarità della vita e la sapienza della parola e degli scritti … Praticò in sommo grado la carità verso Dio e verso il prossimo … Secondo la sua classificazione delle forme di carità, viveva la carità temporale sovvenendo alle miserie materiali di chiunque ricorresse a lui; praticava la carità intellettuale sovvenendo alle debolezze di mente e di erudizione delle persone, correggendo l’ignoranza e insegnando la verità; e viveva massimamente la carità spirituale, persuadendo gli uomini che il loro fine è quello di essere moralmente giusti e santi, perché questo solo è il modo di conseguire la felicità”. In queste parole è sintetizzato il programma di vita adottato dal Beato Antonio Rosmini ed è pure indicato un modello di comportamento che appare perfettamente consono al Vangelo e dotato di una indubbia validità anche per il tempo presente.