Il piano anti-tasse di Veltroni somiglia a un piano anti-Prodi
30 Agosto 2007
Walter Veltroni ha affidato alla Repubblica di oggi il suo piano in dieci mosse per domare il fisco italiano. Si tratta di un interessante e ambizioso programma che, pur destando qualche perplessità, è difficile non condividere nella sostanza. Anche a una lettura superficiale, però, sorgono due domande.
La prima: come può Veltroni, contemporaneamente, esporre questi obiettivi e sostenere convintamente il governo in carica? Non solo, infatti, l’esecutivo non si è mosso nella direzione indicata dal sindaco di Roma, ma finora ha assunto decisioni esattamente opposte. Per esempio, il futuro leader del Partito democratico invoca una riduzione della pressione fiscale addirittura di due punti di Pil (che ci riporterebbero al livello del prelievo dei primi anni Novanta), mentre con la finanziaria dell’anno scorso Romano Prodi ha disfatto una delle due o tre conquiste del quinquennio berlusconiano, e cioè il taglio delle aliquote. Veltroni chiede anche una “riqualificazione della spesa pubblica” con la “misurazione dei risultati, premio al merito, penalizzazione del disimpegno; ristrutturazioni e razionalizzazioni nella pubblica amministrazione; eliminazione delle tante duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni e uffici pubblici oggi esistenti”: proprio il contrario di quel che il governo ha fatto finora. Dalle elezioni del 2006, la spesa pubblica è aumentata, non diminuita, la riforma pensionistica è stata messa sotto attacco, e l’intero dibattito interno al centrosinistra ha visto i riformisti – che chiedevano quel che oggi propone Veltroni – in una posizione sostanzialmente marginale, mentre la discussione non era se, ma quanto la spesa pubblica e le imposte andassero fatti crescere.
La seconda questione è una conseguenza diretta della prima: il governo non ha fatto tutto ciò per mero sadismo, ma perché tenuto sotto scacco dalla sinistra massimalista, che può contare su circa un terzo dei parlamentari di maggioranza ed è determinante soprattutto al Senato, dove la sopravvivenza dell’esecutivo dipende dai mal di pancia biologici e politici dei senatori. Quanti, tra gli eletti e gli elettori di Rifondazione, dei Comunisti italiani, dei Verdi, della Sinistra democratica, e fors’anche delle costole meno dinamiche di Ds e Margherita si riconoscono in un programma fiscale che, senza essere rivoluzionario, volge comunque la prua decisamente a destra? E quindi: cos’ha in mente Veltroni per il dopo-Prodi? Forse il primo cittadino della Capitale sta giocando d’anticipo per non lasciarsi rubare – in primis da Enrico Letta – la carta della riforma fiscale; forse, dunque, dietro il fumo elettorale c’è poco arrosto. Ma se W. fa sul serio, allora le prossime elezioni potrebbero presentare uno scenario politico del tutto inedito, in cui il Pd si separa, dolorosamente e definitivamente, dalla sinistra massimalista. Sarebbe un grande passo avanti per la qualità della sua proposta politica, in quanto l’esperienza degli ultimi anni ha mostrato che coalizioni troppo eterogenee non riescono a esprimere una reale cultura di governo. Resta da capire dove realmente voglia andare a parare Veltroni, e con quale credibilità possa farlo.