Il Ponte delle meraviglie. Facciamone un simbolo della ripresa italiana!
29 Aprile 2020
di Carlo Mascio
L’Italia è ancora sott’acqua. Ferma, immobile. La speranza di riavere un po’ di libertà – e magari anche liquidità- si è schiantata ancora una volta domenica sera, con il discorso fumoso dell’avvocato del popolo – non si sa bene ancora di quale Paese. La confusione e l’incertezza, invece che essere dissipate, hanno riportato tutti nello sconforto. Serviva un segno. E quando l’altra sera Giovanni Toti, il presidente della Regione Liguria, ha pubblicato sulla sua bacheca Facebook il ponte di Genova, praticamente ultimato e illuminato con il tricolore, sui social è stato un tripudio di condivisioni. Non c’era bacheca o profilo che non avesse un riferimento al nuovo Ponte Morandi. Una luce nel buio, come l’ha definita qualcuno. In effetti, è un segno fortissimo di questi tempi. Come la pioggia nel deserto.
È questa la Fase 2 che tutti attendevano. E non solo come diretta conseguenza della Fase 1. È una Fase 2 che l’Italia attende da molto tempo. Genova può essere il simbolo di una nuova partenza.
Un ponte costruito in 20 mesi significa che non occorrono per forza decenni (quando va bene…) per realizzare opere pubbliche. Un ponte di 1067 metri costruito in 20 mesi, dimostra che, quando si vuole, la burocrazia può essere velocizzata e permette di agire in maniera spedita, senza incertezze insormontabili. Come? Nel caso specifico si è fatto uso del sistema derogatorio: deroghe finalizzate non certo ad aggirare norme (quelle in materia di antimafia, ad esempio, non sono state mica derogate!), bensì aventi come obiettivo quello di ridurre al minimo i tempi necessari per portare a termine i vari passaggi. Se si pensa che oggi per realizzare un’opera pubblica occorrono circa 60 passaggi, ciascuno dei quali con intervalli di tempo assai diversi, per controlli, subcontrolli, controlli dei controlli, si comprende bene perché, alcune volte, il progetto si perda tra le scartoffie dei vari uffici competenti.
Nel caso del Ponte di Genova, le pratiche sono state snellite grazie ai poteri conferiti al commissario straordinario, il sindaco Marco Bucci, e anche perché il progetto è stato di fatto è stato “regalato” da Renzo Piano. Sicché alcuni passaggi sono venuti meno di per sé, come quelli legati alla fattibilità dell’opera, dato che questa di fatto già esisteva. Altri ridotti all’essenziale, con le deroghe applicate al codice degli appalti. Ecco perché Genova, nonostante le dovute peculiarità del caso, può rappresentare un modello, semplicemente perché ha messo in luce un’aspetto: ridurre la burocrazia per realizzare un’opera pubblica è possibile! Il tutto, ovviamente, nel rispetto delle norme. Ed è questa la scommessa più importante vinta dal Sindaco Bucci e dal Presidente Toti, seconda solo, ovviamente, alla necessità di ridare a Genova il suo Ponte e rendere un po’ di giustizia alle 43 vittime di quel tragico 14 agosto del 2018.
Ma non è tutto. Un ponte terminato in lockdown dimostra che il lavoro, se fatto in massima sicurezza, è possibile, anche al tempo del Covid19. E ieri, forse, anche l’avvocato del popolo, presente a Genova per l’innalzamento dell’ultimo impalcato del ponte, se ne sarà accorto.
Insomma, Genova è l’immagine della voglia di ripartire. È la dimostrazione che l’Italia, quando vuole, sa realizzare i propri sogni. Molti hanno parlato di “miracolo”. E non si tratta di un errore: i miracoli accadono solo se ci si crede, se non ci si lascia scoraggiare. Di questo ha bisogno l’Italia oggi. È bastato un ponte per riaccendere la speranza. E nell’epoca del “distanziamento sociale”, questo è il segno più forte.