Il popolo vuole Bertolaso ma i capi popolo di sinistra lo vogliono cacciare

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Il popolo vuole Bertolaso ma i capi popolo di sinistra lo vogliono cacciare

23 Febbraio 2010

Ora è chiaro che lo scorporo della società per azioni dal decreto sulla protezione civile era solo un pretesto, per iniziare una campagna martellante di origine giudiziaria contro Bertolaso e il Servizio della protezione civile basata sulla presunta loro corruzione.

Ciò per colpire questo servizio pubblico essenziale che onora l’Italia nel mondo e che ora si vuole infangare, perché, come ha detto Silvio Berlusconi, non si riesce a tollerare che in Italia si faccia qualcosa di buono, se lo fa il centro destra. E anche per gettare una grande nebbia sulla corruzione degli amministratori delle giunte comunali di  sinistra  di grandi città, alla vigilia delle elezioni regionali. Confondere le carte in tavola è una vecchia tattica dei comunisti.

Quella contro la Protezione civile di Bertolaso è una campagna che la sinistra svolge in modo quasi suicida. Infatti l’opinione pubblica è  frastornata dalle intercettazioni telefoniche che vengono diffuse dai media allo scopo di dimostrare questa corruzione  ma ci capisce poco. Nel frattempo le montagne e le colline stanno smottando sotto la pioggia torrenziale. E, un po’ dovunque, si invoca l’aiuto della Protezione civile e di Bertolaso, confidando nella loro  proverbiale efficienza e celerità.

Uno scenario grottesco, in cui da un lato ci sono i vari Di Pietro che vorrebbero cacciare Bertolaso, con a fianco Bersani che  non sa che cosa dire  e aggrotta le ciglia, dall’altro lato ci sono le popolazioni dei luoghi alluvionati e franati che invocano l’intervento di Bertolaso, con la fiducia e il fervore con cui si invoca Sant’Antonio.

Il popolo vuole Bertolaso, i capi popolo della sinistra lo vogliono mandare via.

E su tutto svetta un articolo su Repubblica in forma di lettera di Eugenio Scalfari,  in cui il giornalista-filosofo, principe dei giornalisti di sinistra ammonisce Bertolaso per il fango che ha nelle scarpe, a causa delle sue frequentazioni. Certo, Guido Bertolaso ha le scarpe infangate. Gli è accaduto a San Fratello, in Sicilia, ove è franata una parte della montagna, su cui è insediata l’antica e nobile cittadina in cui nel 1922 si era verificata un’altra grande frana, che aveva divorato quasi metà della città d’ allora. Ed altro fango, si è appiccicato alle scarpe di Bertolaso quando, subito dopo essersi accomiatato dal governatore Lombardo incontrato a San Fratello, è giunto a Maierato, nella zona di Vibo Valentia. Un paese colpito da un’altra frana che ha inghiottito strade e case. Era da cinque giorni che i 2.300 sfollati attendevano la visita del capo della Protezione civile. La frana di Maierato sembra avere interrotto il suo movimento. E "San Bertolaso", dopo le analisi tranquillizzanti, organizza gli “interventi urgenti”. Già, perché in questi casi occorre agire con urgenza. Lo hanno scritto a quelli che hanno lamentato il suo ritardo di cinque giorni, nell’arrivare a Maierato. Ma lui non è Sant’Antonio, che poteva essere contemporaneamente in due luoghi. Né può inviare, a sostituirlo, il suo vice Balducci, che è in carcere, con l’accusa di corruzione.

In  relazione al rischio di corruzione che era emerso si era affermato che non bisogna adottare procedure più snelle delle attuali per accelerare gli interventi della Protezione civile. L’emergenza, hanno detto,  non può giustificare la carenza di garanzie. Si è anche insinuato che le nuove norme sulla protezione civile, che sono state cassate in parlamento dopo la notizie degli avvisi di possibile reato a dirigenti e imprenditori, erano state predisposte da Guido Bertolaso allo scopo di sfuggire meglio ai controlli. Ora invece ci si duole se lui arriva “cinque giorni dopo lo smottamento ”.

Ora, inoltre, ci si lamenta  che nella città dell’Aquila ci siano moltissimi metri cubi di macerie non ancora rimosse a causa delle rigide procedure. Per protestare, alcuni anziani hanno messo su una rete metallica le chiavi delle case dell’Aquila (in cui i non possono rientrare per ragioni di sicurezza). Protestano  contro le procedure lente.

Guido Bertolaso deve essersi preso un brutto freddo, andando a San Fratello che è in cima a una collina di 640 metri, nei monti Nebrodi. E dell’altro brutto freddo deve essersi preso a Manierato. E’ solo 250 metri sul livello del mare, pochissimo per la Calabria, ma è impregnato di umido, perché si trova fra un lago e un fiume. Tuttavia, se il freddo e l’umido gli danno fastidio alla schiena o alla nuca, segua il mio consiglio di non recarsi da una massaggiatrice e neppure da un massaggiatore. Si potrebbe insinuare che il capo della Protezione civile si fa fare massaggi erotici. E questo, dato il suo ruolo, a quanto sembra, è diventato un quasi reato. E ciò anche se paga di tasca sua i massaggi, in quanto i capi, quando la gente soffre, devono essere puri come gigli. Mentre la sinistra suicida se la prende con Bertolaso, che ha le scarpe infangate, non dagli intrighi ma dalle frane, il Tribunale di Roma accusa quello di Firenze di non avergli comunicato che stava svolgendo indagini sul caso in questione e lo rimprovera di averle danneggiate, con condotte che hanno impedito di raccogliere ulteriori eventuali prove.

In effetti in queste indagini giudiziarie, è comparso un imputato insolito, cioè Achille Toro  Procuratore aggiunto della Repubblica del tribunale di Roma, sino a qualche giorno fa responsabile delle indagini sulle corruzioni riguardanti i lavori per i grandi eventi affidati alla Protezione civile. Le accuse a Toro non sono provate. Ed egli, che si è dimesso dalla magistratura, si difenderà come è giusto che sia. Frattanto, per altro, bisogna prendere nota che Toro aveva un ruolo di primo piano nell’organizzazione sindacale dei magistrati, come capo di Unicost, la corrente maggioritaria della magistratura. Egli, per altro, si era dimesso da tale incarico quando nel 2006, in relazione all’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta, di cui si stava occupando, aveva informato il giudice Francesco Castellano, amico del numero uno di Unipol Giovanni Consorte, che il Banco di Bilbao aveva presentato un esposto contro Unipol e che Consorte era stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma. La vicenda, deferita al Tribunale di Firenze, era poi stata archiviata.

La sua carriera, nonostante tale incidente di percorso, non aveva subito un danno apprezzabile dato che egli, poco dopo, era stato messo in aspettativa dal Consiglio superiore della magistratura per diventare capo di gabinetto del Ministro dei trasporti Alessandro Bianchi nell’ultimo governo Prodi.

Non mi è chiaro, a questo punto, perché Pier Ferdinando Casini affermi che sarebbe un grosso guaio se si perdesse fiducia nella magistratura. E non mi è chiaro perché sostenga che commette un grave errore chi esprime dubbi sulla indipendenza dei magistrati. La mancanza di fiducia nella magistratura, per altro, è un dato di fatto. E’ una delle ragioni per cui l’Italia ha solo il 48 esimo posto su 130 stati considerati, nella graduatoria degli indici competitività, per il 2009-2010. redatta dal World Economic Forum di Ginevra. Nel Rapporto si legge che la percezione della mancanza di indipendenza dell’ordine giudiziario accresce i costi degli affari in Italia e mina la fiducia degli investitori. Dato ciò, per lo specifico argomento in questione, l’Italia ha il 97 posto sui 130 stati oggetto del Rapporto.

Ma è l’atteggiamento (spesso ipocrita) di venerazione con cui si accolgono i comportamenti dei magistrati che genera in alcuni di loro un senso di impunità che porta a commettere “atti di debolezza”. Si è sostenuto che le debolezze in cui sarebbe incorso Angelo Balducci, vice di Bertolaso, siano derivate da un eccessivo senso di impunità.

Concludo argomentando che ai fini di una azione efficace contro la corruzione nelle pubbliche amministrazioni occorre che cessi l’abitudine di lasciare che ogni procura della Repubblica agisca da sé. Occorre, in questo settore come nell’anti mafia, un magistrato che coordini le indagini a livello nazionale e che le porti avanti con serena prudenza. Ciò  per far risalire l’indice di fiducia da quota 97 in cui si trova.

Frattanto, Guido Bertolaso, che stanco di fare il San Sebastiano avrebbe potuto dimettersi, continua a correre da una frana all’altra, per portare il soccorso della  sua protezione Civile. Lo seguita a fare con l’efficacia che  ha trovato da quando Berlusconi si è reinsediato a Palazzo Chigi. Se ci fosse una graduatoria internazionale anche per questi settore, l’ apparato che lui guida sarebbe ai primi posti. Ed è proprio questo che dà fastidio.