Il posto fisso? Insulto all’intraprendenza

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Il posto fisso? Insulto all’intraprendenza

26 Ottobre 2009

 

Il posto fisso è il peggior lascito della cultura socialista e pseudo egualitaria che ha condizionato l’organizzazione sociale odierna a partire dagli anni seguenti la seconda guerra mondiale. E’ un insulto all’intelligenza e all’intraprendenza umana, la traduzione in prassi di una velleità ideologica d’avanguardia gramsciana.

Il posto fisso è l’emblema del declino della creatività, il trionfo dell’immobilità e dell’impoverimento culturale.

La globalizzazione, o meglio dire, lo sviluppo della società moderna, ha liberato istanze dirompenti di mobilità delle competenze e fluidità dei rapporti sociali che hanno pervaso tutte le istituzioni. Le organizzazioni moderne non si definiscono più tramite confini netti: traggono vitalità dalla propria capacità di aggregare e sviluppare competenze e talenti fin anche in apparente contraddizione tra di loro. Traggono vitalità dalla fluidità degli apporti dei singoli individui: dal loro ingresso così come dalla loro uscita. La tradizionale organizzazione del lavoro basata su  unità atomiche eterne e metodi replicabili sconta il suo naturale corso di obsolescenza, sotto i colpi dell’eccesso di produzione mondiale e la concorrenza dei paesi in via di sviluppo.

A nessuna azienda Europea interessa più creare un processo rigido  teso a realizzare un banale oggetto di consumo di massa che – da qualche parte in estremo oriente – una qualunque altra organizzazione può realizzare in tempi e costi inferiori. Nessuna azienda è più interessata ad inglobare delle competenze statiche e vincolarsi a pagarne per sempre la staticità.  Nessuna azienda è interessata a vincolarsi a delle risorse immobili, perché esse ne precludono l’evoluzione creativa.

L’azienda moderna si organizza per ammorbidire i suoi confini, per garantire un ambiente intellettualmente stimolante con il preciso obbiettivo di attrarre e mantenere in esso competenze multiformi, e lasciar che fuoriescano le competenze obsolete.

E’ vero, con il declino del contratto a tempo indeterminato, il lavoratore perde una certezza apparentemente importante nella gestione del suo rapporto di lavoro. Tuttavia, il venir meno di questo vincolo matrimoniale forzato, lo rimette in grado di utilizzare l’unica arma di cui è davvero dotato, la sua intelligenza e creatività.

Il tempo indeterminato fossilizza l’evoluzione delle competenze, è un volano di degenerazione per entrambe le parti: l’una che paga risorse congelate, l’altra che sconta un ambiente costruito sulla parcellizzazione dei processi lavorativi e sulla conseguente inibizione della crescita professionale. Il lavoratore non può crescere, perché mentre il mondo cambia lui è impegnato a replicare se stesso attraverso un metodo, l’azienda non può evolversi perché le risorse interne sono ibernate.

Il tempo indeterminato, avendo perso sostenibilità economica e sociale, è un concetto reazionario, che si sforza di non vedere che non esiste crescita perpetua senza contaminazione delle competenze e senza mobilità sociale.

L’aphartaid antropologico che ha caratterizzato le aziende e la società civile deve essere combattuto stabilendo rapporti di lavoro fluidi, garantiti solamente dall’accrescimento reciproco e dalla capacità dell’azienda di incentivare l’intelligenza. Le aziende non hanno più bisogno di prestatori d’opera, ma di “artisti”, che secondo una definizione classica, sono coloro che “ prefigurano il mondo che oggi non c’è”.  Emerge così la persona a tutto tondo, il professionista che porta nel suo bagaglio esperienze multiformi e intrecci di nozioni irripetibili, ed è questa intelligenza individuale che l’azienda deve coniugare in una sinapsi collettiva e orientare verso un obbiettivo comune.

La continuità politica tra lavoratori e aziende prefigura la fine del lavoro: la progettualità professionale non sarà più fatta da insiemi chiusi da lucchetti contrattuali perenni, ma da condivisione di esperienze particolari coniugate in disegni comunità.

La mobilità professionale e l’accrescimento culturale a tempo indeterminato saranno i mezzi che riporteranno equilibrio tra lavoratori e organizzazioni, che contaminandosi reciprocamente, potranno essere il motore della crescita economica.