Il premio ad Ahtisaari è un po’ meno antiamericano del solito

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Il premio ad Ahtisaari è un po’ meno antiamericano del solito

10 Ottobre 2008

Tra russi e cinesi, alla fine il Nobel per la Pace è andato a un finlandese. Si era parlato dei dissidenti cinesi Hu Jia,  Gao Zhisheng, Wei Jingsheng e Rebiya Kadeer: ma Pechino aveva minacciato le peggiori rappresaglie. Si era fatto il nome della russa Lidia Ioussoupova, denunciatrice dei crimini di guerra in Cecenia: ma anche Putin aveva fatto la faccia feroce. In Italia si era proposta ĺngrid Betancourt, che sarebbe stato un segnale anche per gli altri ostaggi in mano alle Farc in Colombia: ma nel suo stesso Paese la leader verde, dopo la fiammata seguita alla sua liberazione, è tornata agli scarsi livelli di popolarità abituali, anche per la sua pur perfettamente comprensibile cautela a tornare in patria. Da qualcuno era pure arrivata la proposta del monaco buddhista vietnamita Thich Quang Do, che avrebbe significato invece un muro contro muro col governo di Hanoi. Per non parlare del primo ministro dello Zimbabwe Morgan Tsvangirai, di cui non è ancora chiaro come andrà a finire l’ardito esperimento di convivenza con Robert Mugabe.

A torto o a ragione, il Parlamento di Oslo ha voluto evitare ogni tipo di scontro. Ma d’altra parte, dopo il Nobel del 2001 a Kofi Annan e all’Onu e quello del 2005 all’Aiea e a El Baradei non si poteva neanche continuare a scansare le scelte dando premi sfacciati alla burocrazia onusiana: meno che mai a Fao o Programma alimentare mondiale, come era stato ventilato, dopo le polemiche seguite all’ultimo vertice di Roma dell’agenzia per l’alimentazione e il cibo. E meno che mai si poteva continuare a insignire ex-presidenti e vicepresidenti Usa trombati e critici dell’attuale Amministrazione, stile Carter o Al Gore: furbesca mossa di anti-americanismo filo-americano che alla fine invece di accontentare tutti scontenta a 350 gradi. Qualcuno dunque prevedeva che il Comitato del Nobel per far quadrare il cerchio si sarebbe orientato sul fronte delle cosiddette “guerre dimenticate africane”: che sono in realtà dimenticate proprio perché nella maggior parte dei casi non rientrano negli schemi di contrapposizione ideologica correnti, e su cui dunque in Occidente si può pontificare senza far arrabbiare nessuno.

Date le premesse, la scelta dell’ex-presidente finlandese Martti Ahtisaari può essere considerata anche di alto profilo. Non solo il 71enne esponente della socialdemocrazia finnica si è speso infatti in Africa, pilotando negli anni ’80 l’indipendenza della Namibia in un modo esemplare che ha poi dato il coraggio ai leader bianchi sudafricani di porre termine all’apartheid. Tra questo successo e la più recente mediazione asiatica del 2005 tra governo indonesiano e ribelli dell’Aceh, senza dimenticare anche un suo intervento nel processo di pace nord-irlandese, c’è stata anche la sua opera in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo. In particolare, furono lui e il primo ministro russo Chernomyrdin nel 1999 a convincere Milosevic a sgomberare la regione, ponendo fine ai bombardamenti della Nato. E dopo il 2005 è stato di nuovo mediatore nei negoziati sul futuro del  Kosovo. Non c’è dubbio che il segnale sia voluto, nel momento in cui la questione del Kosovo è tornata a agitare l’agenda internazionale. 

Attivo negli anni ’70 nella diplomazia finlandese come ambasciatore in vari Paesi africani, Ahtisaari però per l’Onu ha poi lavorato a lungo:  tra 1977 e 1981 come Alto Commissario per la Namibia; poi, dopo una parentesi da sottosegretario alla cooperazione allo sviluppo nel governo finlandese del 1984-86, di nuovo tra 1987 e 1991 da sottosegretario Onu per l’amministrazione e il managment; nel 1989 come inviato speciale per la Namibia; nel 1992-93 come presidente del gruppo di lavoro sulla Bosnia-Erzegovina alla Conferenza Internazionale per la ex-Jugoslavia. Dunque, in modo più soft una lisciatina alla burocrazia onusiana la si è comunque data. Va comunque riconosciuto che, a onta della fama che avevano i finlandesi durante la Guerra Fredda, si tratta di un personaggio tutt’altro “finlandizzato”, a proposito di schieramento con l’Occidente.

Eletto presidente della Finlandia per il periodo 1994-2000, la scelta di questo personaggio così caratterizzato in campo internazionale fu anche un modo con cui l’opinione pubblica cercò di ricollocare il Paese, dopo la crisi seguita al venir meno dei suoi tradizionali partner economici del blocco comunista. E fu Ahtisaari a sostenere con forza l’ingresso nell’Unione Europea, contro le perplessità dello stesso premier, il centrista Esko Aho. In più, Ahtisaari prese anche una posizione forte a proposito dell’intervento Usa in Iraq: “quando già so che Saddam Hussein ha ucciso almeno un milione di iracheni, che bisogno ho di sapere se le armi di distruzione di massa ci sono o no?”.  Insomma, il Comitato di Oslo ha mandato anche un discreto segnale di riavvicinamento a Washington. Certo, molto discreto. Finite di elencare le sue doti, la domanda ai lettori viene comunque spontanea: quanto di loro avevano mai sentito nominare il signor Martti Ahtisaari prima di oggi?