Il punto debole di Expò 2015 sta proprio nella plancia di comando

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Il punto debole di Expò 2015 sta proprio nella plancia di comando

19 Ottobre 2009

 

Un vecchio amico con cui per anni e anni mi sono trovato in dissenso, Chicco Testa, ha scritto sul Riformista di qualche giorno fa un articolo che ho condiviso per filo e per segno. L’Expo 2015 che si sta organizzando a Milano non può diventare un monumento al Buon contadino – ha scritto Testa – la città non può pensare di esaurire il suo sforzo di esposizione e ricerca con un orticello globale.

Proprio gli obiettivi di fondo, quelli di trovare le risorse per nutrire il pianeta e di farlo qualificando costantemente l’ambiente, richiedono più attenzione alla scienza, alla tecnologia, all’innovazione piuttosto che indulgere nel rimpianto per un’agricoltura che non c’è più e che trova un irrealistico simbolo in quell’orticello che abbiamo visto disegnato sui giornali come espressione del progetto di Expo 2015.

Milano sicuramente ha bisogno di più verde, forse servirebbe anche qualche nuova via d’acqua, ma la strada per raggiungere questi obiettivi non è quello dei rimpianti, delle sciocchezze romanticheggianti come quella di Claudio Abbado che per venire a tenere un concerto alla Scala chiede di piantare migliaia di alberi.

Il capoluogo lombardo come ogni grande moderna capitale postindustriale deve porsi l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile grazie alla tecnologia non contro la tecnologia. E quando deve esprimere con simboli questa meta, deve dimostrare coerenza. Se si voleva esaltare una realtà ancora non postindustriale, allora era bene puntare su una città come Smirne che per l’ancora lento sviluppo dell’economia turca può interpretare un simile ruolo.

La città di Ambrogio anche quando accetta e si immerge nella sfida ecologista, non può che dare una risposta in cui una componente fondamentale (anche simbolicamente) è tecnologica, scientifica, modernizzante.

Perché si è invece scelta un’altra via? Il punto centrale che sta caratterizzando l’esposizione che si terrà tra cinque anni (il tempo ormai stringe drammaticamente) è la debolezza del comando chi dovrebbe guidare l’impresa.

Il sindaco Letizia Moratti dimostra una sensibile difficoltà nell’organizzare intorno a sé forze culturali adeguate a progettare il nuovo. Lucio Stanca e Diana Bracco, i vertici che dovrebbero gestire la So.ge cioè la società che farà l’Expo, appaiono ancora un po’ spaesati. Stefano Boeri il coordinatore del team di architetti internazionali, che ha studiato e definito l’ultimo progetto, è un buon urbanista ma un progettista con molti limiti che punta su soluzioni più semplici per dominarle. L’unico finora all’altezza dell’impegno è Roberto Formigoni che ha affrontato in modo deciso i vari nodi che contribuiscono alla riuscita della iniziativa, da quelli infrastrutturali a quelli della valutazione ambientale.

Il tempo è poco, troppe polemiche non servono. E’ urgente però focalizzare alcuni obiettivi per aiutare chi deve decidere a non sbagliare strada. Sapendo che con gli orticelli, qualche parchetto e un paio di via d’acqua non si porteranno mai alcune decine di milioni di persone a visitare Milano.