Il rinnovo dei contratti scalda il clima e spacca il sindacato

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Il rinnovo dei contratti scalda il clima e spacca il sindacato

25 Agosto 2009

Decentrate la contrattazione o saltano gli sgravi sul salario variabile: questo, in soldoni, il messaggio che Maurizio Sacconi ha rivolto ieri ai sindacati e ai rappresentanti degli imprenditori dalle pagine del Corriere della Sera, a poche settimane dall’apertura dei primi tavoli negoziali sul rinnovo dei contratti di importanti settori, quali metalmeccanici, chimici, alimentaristi. I primi su cui si valuterà l’efficacia dell’accordo quadro sul nuovo modello contrattuale, stipulata recentemente da Confindustria e dai maggiori sindacati italiani, Cgil esclusa. Come interpretare le dichiarazioni del ministro del Welfare?

Da un lato, Sacconi conferma che il Pdl non sembra avere intenzione alcuna di seguire la Lega Nord nella sua agostana battaglia sulle gabbie salariali – anacronistiche e sbagliate – scegliendo più ragionevolmente la strada dello scardinamento graduale del moloch della contrattazione nazionale, in favore delle intese aziendali e territoriali, in grado di legare più efficacemente i salari alla produttività.

Dall’altro lato, la “minaccia” di Sacconi sull’eventuale soppressione delle agevolazioni fiscali – nel caso in cui le parti sociali eludano l’intesa nella parte relativa alla contrattazione decentrata – ha costretto i leader sindacali ad intervenire sull’argomento prima dell’inizio delle trattative sui rinnovi. Il pericolo elusione non è da sottovalutare, come pure ha sottolineato qualche giorno fa Oscar Giannino su Chicago Blog. In particolare, per l’ex direttore di Libero Mercato, migliaia di aziende in difficoltà “potrebbero voler interpretare la contrattazione decentrata innanzitutto alla luce della clausola 16 apposta all’Intesa di gennaio”, vale a dire la misura straordinaria anti-crisi che consente contratti aziendali in deroga dai minimi nazionali di categoria, appunto per fronteggiare difficoltà produttive e occupazionali. Insomma, una soluzione forse utile ma di assoluta retroguardia.

Alle parole del ministro, mentre la Cgil continuava a sbraitare, Cisl e Uil hanno colto la palla al balzo e immediatamente rilanciato: siamo d’accordo ad un più robusto decentramento della contrattazione ma a condizione che il Governo azzeri la tassazione sul salario variabile. E’ una posizione comprensibile quella di Bonanni e Angeletti, interessati a massimizzare i benefici per i lavoratori. Ma quella dei due segretari confederali è una risposta che dovrebbe far riflettere Sacconi. Anzi, dovrebbe far svegliare lui e qualche altro membro del Governo da un’illusione: quella di poter fare riforme a costo zero o comunque a basso costo.

La detassazione dei premi di produttività in vigore dal 2008 è un’ottima misura adottata dal Governo Berlusconi, ma non si può pensare che la sua eventuale soppressione possa da sola rappresentare una credibile merce di scambio per l’effettivo decentramento della contrattazione collettiva. Né ci si può illudere sul fatto che l’intesa tra sindacati e Confindustria basti a determinare un cambiamento tanto profondo e sistemico delle relazioni industriali del sistema economico italiano.

Sarà pur vero quel che ha scritto a Ferragosto Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera, vale a dire che è illusorio credere nelle virtù taumaturgiche delle grandi riforme. Ma è difficile pensare che da esse si possa prescindere. Un effettivo decentramento dell’impianto contrattuale italiano passa – direttamente o indirettamente – dalla liberalizzazione del mercato del lavoro e da una modernizzazione del modello della rappresentanza sindacale. Così come il generale miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori dipendenti italiani passa dal rilancio dell’economia, e cioè dalle liberalizzazioni (a partire dai servizi pubblici locali e dalle libere professioni), dalla riduzione della pressione fiscale, dall’ammodernamento del sistema del welfare.

Nessuna di queste riforme è facile da attuare, politicamente e socialmente. E’ ora che il Governo decida se giocare alla sopravvivenza o provare a rilanciare le sorti del Paese.