Il ritorno dell’isolazionismo negli USA sarebbe molto pericoloso

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Il ritorno dell’isolazionismo negli USA sarebbe molto pericoloso

18 Settembre 2012

Concentrati giustamente sulla rivolta sanguinosa del mondo islamico dopo la diffusione dell’ormai celebre – e pessimo – film “L’innocenza dei Musulmani”, e sull’uccisione dell’ambasciatore americano a Bengasi, stampa e mass media in genere trascurano a mio avviso un fattore importantissimo dell’attuale crisi. Vale a dire l’atteggiamento che in futuro adotteranno gli Stati Uniti d’America non solo nei confronti dei Paesi islamici, ma anche del resto del mondo.

La questione è essenziale per molte ragioni. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, gli USA sono rimasti l’unica potenza veramente globale. Non lo è più la Russia, anche se è evidente che la politica di Putin punta a recuperare almeno parte del ruolo perduto. Non lo è ancora la Cina, afflitta – nonostante gli enormi progressi compiuti negli ultimi decenni – da problemi strutturali che derivano da un passato antichissimo. Né possono aspirare a una presenza globale i Paesi emergenti come India o Brasile.

Parlo anche – se non soprattutto – da un punto di vista militare. Soltanto gli Stati Uniti possiedono un apparato bellico in grado di essere dispiegato in tempi brevi in qualsiasi scacchiere del nostro pianeta, e più volte l’hanno dimostrato dopo la fine della guerra fredda. La loro forza militare è rimasta intatta, affiancata peraltro da servizi di intelligence che – a parte alcuni fallimenti – sono in grado di controllare cosa avviene nel mondo grazie a strumenti tecnologici che nessun altro possiede.

Potrebbe in teoria aspirare al ruolo di potenza globale una Unione Europea assai diversa da quella attuale, senza crisi economica e con un vero governo federale in grado di assumere decisioni. Come tutti sappiamo la realtà è ben altra. E non si tratta solo di questo. Sul piano militare Francia e Regno Unito conservano un certo potere, dispiegato nel conflitto libico. Ma è pur sempre sullo “scudo” americano che i Paesi europei fanno ancora affidamento in caso di pericolo.

Il Presidente Obama, subito dopo i fatti di Bengasi, si è affrettato a dire che “gli Stati Uniti non possono scegliere di ritirarsi dal mondo, noi siamo l’unica nazione indispensabile: Paesi di ogni parte del mondo ci riconoscono un ruolo guida”, e il Segretario di Stato Hillary Clinton ha ripetuto gli stessi concetti. Sbaglierebbe però chi ritenesse che tali dichiarazioni esauriscano la questione. In realtà lo scenario è più complesso perché, nella storia americana, è da sempre presente un consistente filone “isolazionalista”, che ha più volte avuto modo di manifestarsi nei secoli scorsi e trova, anche nel nostro, numerosi sostenitori.

Intanto notiamo che, negli Stati Uniti, dopo l’assalto al consolato USA di Bengasi e il barbaro assassinio dell’ambasciatore Stevens (alcuni dettagli raccapriccianti circolano in Internet, ma non sono ancora stati resi pubblici dall’amministrazione americana), ci sono state reazioni forti com’era logico attendersi. “Li abbiamo liberati, ci hanno traditi”, questo lo slogan che esprime al meglio lo stato d’animo dei cittadini negli Stati Uniti. Né vale rammentare loro che molti libici non si sentono affatto “liberati”. La guerra, come ho già detto in altra sede, è stata iniziata e portata a termine senza avere le idee chiare su chi fossero realmente i ribelli anti-Ghedafi. In sostanza, si sapeva bene chi era il defunto dittatore ma le informazioni circa i rivoltosi risultavano, a dir poco, scarse. Questo però non diminuisce affatto il senso di frustrazione del cittadino americano medio.

In seguito alcuni Stati arabi hanno addirittura rifiutato l’invio di marines a protezione delle sedi diplomatiche USA, cosa del tutto inconsueta. Lo ha fatto persino il nuovo Presidente egiziano Morsi, membro dei Fratelli Musulmani, che pur poté contare sul manifesto appoggio dell’attuale amministrazione americana per la sua ascesa al potere. Causando ovviamente polemiche da parte dell’esercito e delle forze laiche che si sentirono in entrambi i casi abbandonati al loro destino.

E’ tuttavia importante sottolineare che le percezioni del cittadino americano medio, negli Stati Uniti, hanno una grande importanza. Presidente e governo ne tengono sempre gran conto. Sono molti i cittadini USA che oggi si chiedono se “ne valeva la pena”. E parecchi anche gli intellettuali, come poi dirò.

Esiste da sempre, in America, un atteggiamento politico che privilegia la non partecipazione alle vicende internazionali, favorito da una situazione di relativo isolamento geografico e di quasi autosufficienza economica, e l’isolazionismo fu proprio la politica scelta dagli Stati Uniti in vari periodi della storia. Le sue origini teoriche risalgono al Farewell Address (Discorso d’addio) di George Washington il 17 settembre 1796. Il senso era che non si doveva rinunciare ai vantaggi di una posizione geografica privilegiata, né condividere il destino con quello dell’Europa: la pace e la prosperità della nuova nazione non si potevano compromettere partecipando alle dispute europee. L’indicazione di George Washington era quella di tenersi lontani da alleanze permanenti con altri Paesi del mondo.

La raccomandazione del non coinvolgimento fu in sostanza osservata fino all’intervento nella Prima guerra mondiale. Al termine di tale conflitto, tuttavia, le tendenze isolazioniste ripresero il sopravvento. Esse terminarono con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando il Presidente Roosevelt si impegnò in difesa delle democrazie occidentali. A partire dal 1945 gli Stati Uniti adottarono una politica estera basata sull’impegno internazionale, espressa in modo chiaro dalla “dottrina Truman” e dal sorgere di alleanze come la NATO. Naturalmente un ruolo determinante fu svolto dalla politica del “containment” adottata nei confronti dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati.

Non è possibile tuttavia escludere che la tendenza all’isolamento emerga di nuovo. Ne parla in un’intervista a “La Stampa” del 16 settembre Edward Luttwak, noto politologo e analista del “Center for Strategic and International Studies” di Washington DC. Dopo aver sottolineato che è stato un errore abbattere Gheddafi, Luttwak aggiunge che gli Stati Uniti devono ritirarsi dal mondo islamico “lasciando solo una minima presenza strategica per tutelare i nostri interessi. Hanno sbagliato i neocon, a pensare che la democrazia sarebbe arrivata in Medio Oriente abbattendo Saddam, e ha sbagliato il Presidente Obama, a credere che invece il dialogo l’avrebbe fatta avanzare. Almeno per il momento, la democrazia non interessa al mondo islamico. Dobbiamo abbandonare i sogni e concentrarci realisticamente sui nostri interessi”.

Parole forti, come si vede, e non è certo l’unico intellettuale americano a pensarla così. Luttwak ritiene che l’esplosione di antiamericanismo, e di antioccidentalismo in genere, non si deve al fatto che i governi arabi rovesciati erano poco democratici, ma perché erano troppo laici. “La stessa famiglia del tunisino Mohamed Bouazizi ha detto che lui si era dato fuoco per l’oltraggio di vedersi rifiutare la licenza da un funzionario donna. Il problema era che Ben Ali aveva dato incarichi alle donne. Queste rivolte hanno portato le elezioni, non la democrazia. Agli islamici la democrazia che legifera non interessa, perché le leggi le ha già date Allah attraverso il Corano. In queste condizioni, il voto serve solo agli estremisti per andare al potere col sostegno della maggioranza della popolazione”.

Ne consegue, a suo parere, che occorre portare a termine il ritiro dall’Afghanistan, evitare l’intervento in Siria e cancellare gli aiuti economici a quell’area lasciando, per qualche tempo, che gli islamici “facciano i conti tra di loro”. Mantenere, quindi, piccole presenze strategiche per prevenire attentati e curare gli interessi americani.

Il discorso è limitato al mondo islamico, ma nulla impedisce di pensare che in futuro potrebbe estendersi anche ad altre parti del mondo nonostante le parole rassicuranti del Presidente Obama citate all’inizio. Negli USA ci vuol poco a rinfocolare sentimenti isolazionisti da sempre presenti a livello di senso comune.

La prospettiva è inquietante per gli altri Paesi occidentali alleati degli Stati Uniti, e in particolare per quelli europei così vicini all’area ora in ebollizione. Francia e Regno Unito possono anche mostrare i muscoli in caso di conflitti limitati, ma non hanno assolutamente la capacità militare e di intelligence per contrastare il terrorismo da soli. Vale anche per la Germania e – a maggior ragione – per l’Italia. Dal punto di vista europeo, penso che un ritorno dell’isolazionismo negli USA ponga pericoli ancor più gravi di quelli causati dalla recrudescenza del fondamentalismo islamico.