Il ritorno di Berlusconi e il progetto egemonico tedesco

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Il ritorno di Berlusconi e il progetto egemonico tedesco

Il ritorno di Berlusconi e il progetto egemonico tedesco

11 Dicembre 2012

Fino al crollo del muro di Berlino e la generalmente pacifica dismissione dei regimi comunisti dell’Est, l’identità dell’Europa è stata innanzitutto definita dalla cortina di ferro che separava i Paesi Occidentali sotto la supremazia statunitense e i Paesi Orientali sotto il dominio sovietico. La supremazia statunitense ha concesso ai Paesi dell’Europa occidentale l’autonomia necessaria al percorso che ha portato all’odierna Unione Europea.

Con l’ingresso nell’UE dei Paesi dell’Est, l’odierna identità dell’Europa è articolata in quattro grandi componenti: la latina, prevalentemente meridionale e cattolica, la germanica, prevalentemente centro-nordica e protestante, la anglosassone, insulare e prevalentemente anglicana, e la slava dell’Est, ex comunista.

I Paesi dell’Est europeo membri dell’UE, storicamente stretti tra Germania e Russia, si sono perlopiù  saldamente ancorati al modello germanico, con la Polonia in prima linea. L’identità (e il ruolo) di quelli fuori dall’UE (Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Albania, Kosovo e Macedonia) resta incerta, fino a quando gli assetti sorti all’indomani della guerra civile jugoslava non saranno definitivi. Il sostanziale ancoraggio dei Paesi dell’Est membri dell’UE alla Germania – con I’isolata eccezione dell’Ungheria – e il progressivo allontanamento della Gran Bretagna dall’UE hanno enormemente potenziato il ruolo della componente germanica, a scapito di quella latina – grazie anche alla “sospensione” della collocazione dei citati Paesi dell’ex Jugoslavia, storicamente più vicini all’area latina, e in particolare all’Italia.

E’ in tale contesto di rapporti di forza che è arrivata la crisi dell’Euro, fino a trasformarsi – ascoltando i popoli, non solo i Governi – in una dialettica conflittuale tra area germanica e area latina. L’attacco all’ identità latina, nelle esternazioni di politici, opinionisti e media dell’area germanica, e’ diventato ormai devastante e razzista.

Secondo tale “vulgata”, la crisi dell’ Euro va primariamente interpretata in termini culturali e morali denigratori, secondo la favoletta della formica nordica e della cicala latina. Tanto per citare solo un esempio, Thilo Sarrazin, ex membro della Bundesbank, argomenta che “tutti i Paesi che prima delle invasioni barbariche si trovavano in tutto o in parte al di là del limes romano funzionano secondo un modello tedesco”: e non sono in crisi. In base a tale visione, già dal tempo dell’Impero Romano, noi latini saremmo quindi diversamente specificati” o ontologicamente differenti. In fondo, come argomentava Carl Schmitt, “il nemico è la differenza etica, un estraneo da negare nella sua totalità esistenziale”. La solita ossessione tedesca per le generalizzazioni astratte, positive o negative, alle quali la realtà e il mondo devono conformarsi. E sopratutto, false: Gran Bretagna ed Irlanda non hanno mai fatto parte del modello tedesco, mentre ne fa sicuramente parte l’Ungheria, in crisi nera.

In termini economici, la tendenza alla bassa inflazione e alla progressiva rivalutazione  delle monete germaniche corrisponderebbe alla migliore organizzazione e capacità di affrontare e mediare razionalmente i vari conflitti economici e sociali interni, mentre la più  alta inflazione e la tendenza a ricorrere e a perdonare la presunta  “culpa maxima” della svalutazione monetaria rivelerebbe la minore qualità etica e morale, se non ontologica, dell’area latina e cattolica. Continuando in questo delirio, i Paesi latini (Irlanda inclusa, ovviamente!) si sarebbero abbuffati grazie ai bassi tassi d’interesse garantiti dall’Euro e ai finanziamenti delle banche del Nord, perdendo una preziosissima occasione per riformarsi internamente secondo l’ineguagliabile modello germanico protestante. E ora devono pagare, perché la formica non divide il cibo con la cicala quando arriva l’inverno, a costo di farla morire. “Vae victis!!.

Tale quanto mai peculiare interpretazione del concetto di “solidarietà europea” potrebbe essere molto a stento giustificata per la Grecia. Ma l’Irlanda è crollata e la Spagna rischia di crollare per una eccessiva speculazione edilizia – simile a quella di USA e Regno Unito, che invece non sono crollati – e sopratutto finanziata a rotta di collo dalle banche tedesche. E l’ Italia è sotto pressione per un debito pubblico con il quale ha convissuto per decenni. E smettiamola anche con la favoletta dei salari aumentati più di quelli dell’area germanica: con gli effetti devastanti in termini di potere d’acquisto interno della parità dell’Euro, era non solo prevedibile ma anche necessario. Ma per inciso, nel 2003 non fu proprio la Germania, insieme alla Francia, ad aggirare impunemente le regole del patto di stabilità? E l’enorme regalo della parità tra marco occidentale e marco comunista non fu forzosamente finanziato dall’Europa, area latina inclusa?

Alla condanna unilaterale dell’area latina, dichiarata dal fronte germanico-slavo e agevolata dal crescente disinteresse anglosassone, è puntualmente seguita una terapia del rigore estremo, tanto unilaterale quanto asimmetrica, che ha portato alla rovina la Grecia e sta lentamente portando alla rovina Portogallo, Spagna e Italia. La regia formale di tale terapia è stata affidata a personaggi come Jean Claude Juncker e Herman Van Rompuy, nella missione – imperiale, non democratica – di salvare l’Euro a ogni costo, quale condizione per la trasformazione dell’UE in un impero o “grande spazio” sotto l’egemonia germanica.

Così, in Italia, dopo solo un anno del Governo dell’(ex?) Commissario UE Monti, la recessione è al – 2.5 -3% del PIL, e il debito allo storico record del 126% del PIL. L’aumento esponenziale di tasse e tariffe sta letteralmente strozzando il nostro Paese, spingendolo verso una spirale depressiva e verso una pericolosa destabilizzazione economica e sociale. Lo stesso sta accadendo anche in Portogallo e Spagna. In Grecia e Spagna, la disoccupazione è addirittura al 25% ed al 50% nei giovani. Il problema, in Grecia, Portogallo, Spagna, e tra poco in Italia, è la crescita negativa e l’aumento della disoccupazione. Servirebbe rischiare un po’ di inflazione per aiutare la ripresa della crescita e della competitività, ma la Germania preferisce imporre il rigore e assistere alla giusta punizione delle cicale. Per l’area latina, si tratta evidentemente di costi incomparabili rispetto a quelli delle passate svalutazioni monetarie.

E mentre Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone stanno combattendo le loro crisi anche attraverso il “quantitative easing”, ossia stampando moneta e ricomprandosi i relativi debiti pubblici, nell’UE, invece, non si può, perché dalla crisi originata dalla difettosa struttura dell’Euro – unica grande moneta al mondo priva di una banca centrale – si dovrebbe uscire condannando l’area latina alla depressione e alla destabilizzazione economica e sociale.

Si pensava che l’Euro avrebbe attenuato le differenze economiche tra Nord e Sud, ma esse sono solo aumentate. Si pensava che l’Euro avrebbe avvicinato i popoli europei, ma gli attacchi razzisti e le polemiche nazionalistiche hanno ampiamente oltrepassato il livello di guardia. L’Euro è un gigantesco fallimento, ed il conto del suo mantenimento non può essere pagato dai Paesi dell’area latina.

Il presunto Stato postmoderno europeo, che condivide la sua sovranità, nell’UE si e’ ormai ridotto al dominio dei Paesi più forti. E l’orgoglio nazionale e’ diventato pericoloso razzismo, nel momento in cui viene spinto fino al dominio degli altri, come sta evidentemente accadendo nell’UE. La Svizzera, dalle dimensioni economiche e produttive inferiori alle nostre, e presuntamente “accerchiata” dall’Euro, vive felice e tranquilla, e soprattutto libera. Il Regno Unito si sta allontanando sempre di più dall’UE. L’Italia è ancora la quinta potenza manufatturiera del mondo, e la svalutazione del 30% della lira nel 1992 non condusse ad alcuna catastrofe, ma ad un esponenziale rilancio delle nostre esportazioni e della crescita economica.

L’Italia è soprattutto un laboratorio politico che ha storicamente anticipato molte tendenze europee, sia positive che negative. Anche l’attuale tensione tra Nord e Sud dell’ Europa era già stata anticipata all’interno del nostro Paese, attraverso la contestazione dell’identità nazionale da parte della Lega Nord. Silvio Berlusconi riuscì a far quadrare il cerchio, per poi essere travolto da un’ostilità che a livello internazionale ha coinciso in buona parte con un atteggiamento sostanzialmente razzista verso il nostro Paese. Il ritorno di Silvio Berlusconi segna la possibilità di reimpostare la collocazione dell’Italia e dell’area latina all’interno dell’UE. Con questo Euro e questa politica economica e finanziaria non è possibile andare avanti. Un grande Paese come l’Italia, storicamente essenziale al concetto di ’Europa come pochissimi altri, non può tollerare, di essere trattato come un “Paese periferico” o uno Stato-paria a sovranità limitata, né di essere condannato alla rovina economica per salvare l’Euro, e con esso il progetto dell’impero o “grande spazio” europeo sotto l’egemonia germanica.

Il Presidente della Commissione, Jose Manuel Barroso, si è appena permesso di affermare che le “le elezioni italiane non devono essere un pretesto per mettere in discussione il carattere indispensabile delle misure intraprese dal Governo Monti”. Le elezioni politiche nazionali come un possibile “pretesto” per deviare dalla ”retta via’ imposta da Bruxelles. Questo è il livello di arroganza e disprezzo delle procedure democratiche dal quale sono arrivati certi personaggi di Bruxelles. Caro Juan Manuel, in Europa esiste ancora la democrazia! Come tutti, devi solo attendere di conoscere la volontà del popolo italiano, e soprattutto, accettarla, e con il massimo rispetto. Perché a te, Juan Manuel, non ti ha eletto proprio nessuno.