Il Secolo americano non finirà con Obama

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Il Secolo americano non finirà con Obama

14 Agosto 2014

Si ha un bel dire che l’America è in crisi, molti ne parlano da tempo. Si tratta però di vedere se è una crisi definitiva, tale da oscurare per sempre il suo ruolo nel mondo, oppure se stiamo solo assistendo a una temporanea eclissi causata, più che altro, dall’incertezza dell’attuale amministrazione in carica.

Chi ha avuto modo di vedere il discorso in cui Barack Obama ha reso noto di aver autorizzato l’intervento dell’aviazione USA in Irak, è certamente rimasto colpito dal nervosismo del Presidente. L’espressione era cupa, il viso tirato, e solo l’abilità oratoria gli ha consentito di fare un discorso passabile.
E’ stato definito il Presidente “riluttante”, e qualcuno ha addirittura usato un aggettivo più forte: “recalcitrante”. Vi sono in effetti ottime ragioni per ricorrere a simili espressioni. E’ infatti evidente che Obama si è deciso a ordinare l’attacco quando non era proprio più possibile rinviare. Tirato per i capelli, insomma.

Ha pure cercato di attribuire all’operazione, per ora assai limitata, un carattere prevalentemente umanitario, mentre è chiaro che gli interessi in gioco sono soprattutto politici e strategici. Bloccare, se sarà possibile, l’avanzata dell’ISIS e aiutare i curdi che si sono rivelati più deboli del previsto.
Salvare i non sunniti, che non sono soltanto i cristiani locali, è un obiettivo altrettanto importante; ma non pare lecito pensare che, da solo, avrebbe spinto gli USA a utilizzare la forza militare, sia pure in maniera limitata come dicevo poc’anzi.

Perché, dunque, la tesi di un’America in crisi definitiva lascia perplessi? Per il semplice motivo che, piaccia o meno, gli Stati Uniti sono tuttora l’unica potenza globale, l’unica in grado di effettuare un intervento bellico rapido a migliaia di kilometri di distanza dal proprio territorio nazionale.

Conserva inoltre una superiorità tecnologica che è persino aumentata negli ultimi tempi, tale da scoraggiare ogni velleità di un confronto militare diretto inteso nel senso classico del termine. Guerriglia e terrorismo sono casi a parte, ed è proprio qui che gli avversari hanno sempre atteso gli americani al varco in questi ultimi decenni.

Senza alcun dubbio l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 ha modificato in profondità l’atteggiamento dell’opinione pubblica statunitense nei confronti del cosiddetto “ordine mondiale”. E i sostanziali fallimenti nello stesso Irak, in Afghanista, Libia etc. ha fatto sì che le tendenze isolazioniste siano nel Paese molto cresciute. In questo senso mette conto osservare che Obama, pur duramente attaccato da alcuni settori del Congresso e da gran parte dei mass media, è più in sintonia con la maggioranza dell’opinione pubblica americana di quanto non fossero parecchi dei suoi predecessori.

Eppure il ruolo internazionale dell’America non può essere trascurato, nemmeno da un Presidente recalcitrante. E’ la forza stessa degli avvenimenti a imporre l’agenda, e pazienza se chi siede al momento alla Casa Bianca è poco convinto. Nessun altro ha le risorse necessarie per intervenire nel caso di sconvolgimenti che potrebbero rivelarsi epocali, come quelli attualmente in corso a cavallo dei confini tra Irak e Siria.

Vorrei però sottolineare un altro fatto. Si è spesso parlato del “soft power” che l’America possiede a differenza delle altre potenze più o meno emergenti. Parlo dell’enorme influenza culturale che gli USA continuano a dispiegare in ogni parte del globo, dove per “cultura” s’intende qualcosa di più vasto dell’accezione classica del termine.

In questo senso sono cultura tanto i grandi motori di ricerca quanto i fast food con McDonald’s in testa, sia gli atenei di eccellenza sia la musica pop e rock (con le varie appendici dei nostri giorni). Se si visita la Repubblica Popolare Cinese o il Vietnam, e si vedono tutti i giovani che adottano simboli e gesti tipicamente americani. E anche nel mondo islamico la tendenza è in atto, a dispetto dei divieti imposti dai governi.

Attenderei quindi un po’ prima di parlare di “fine del secolo americano”, espressione ormai entrata nell’uso corrente. Può darsi che l’attuale intervento in Irak, concepito in questo modo, si riveli inefficace, e a quel punto non si capisce bene quali sarebbero le successive mosse di Obama.

Ma è ovvio che l’avvento di un Presidente più deciso, e con una strategia chiara in mente, avrebbe l’effetto immediato di porre termine ai discorsi sulla presunta crisi irreversibile dell’America quale potenza globale.