Il secolo breve di Mike Bongiorno tra Rai, Mediaset e Sky
08 Settembre 2009
di redazione
Quando arrivano notizie così – “E’ morto Mike Bongiorno” – pensi subito a uno scherzo alla Orson Welles, tipo gli alieni sono sbarcati sulla Terra. Sembrava impossibile e invece è morto anche lui, com’è normale che sia. Il re della tv italiana aveva 85 anni, se l’è portato via un infarto nella sua casa a Montecarlo.
Con la sua lunghissima – diremmo quasi epica – carriera ed esperienza professionale, Mike Bongiorno ha racchiuso le tre grandi fasi della storia della nostra tv. L’ha vista nascere ed ha contribuito a fondarla, quando era ancora un giovane presentatore appena tornato dagli Usa che con le sue maniere eleganti incantava le adolescenti del Belpaese: “Arrivi e Partenze”, un programma in cui intervistava le personalità dell’epoca che passavano per l’Italia. Era il 3 gennaio del 1954, lo stesso giorno in cui partì un altro programma destinato a fare la storia dei nostri palinsesti, “La Domenica Sportiva”.
L’anno dopo inizia l’avventura dei telequiz, “Lascia o Raddoppia”, il format che avrebbe conquistato i nostri genitori e i nostri nonni. Poi, negli anni Settanta, il grande salto a Mediaset e la rivoluzione della tv che da educatrice diventa pura intrattenitrice (il commento a caldo di Berlusconi è stato: “Scompare un grande amico e protagonista della storia italiana”, non è riuscito ad esaudire soltanto un sogno, diventare senatore della Repubblica).
Infine il nuovo che avanza per sorpassare il duopolio Rai/Mediaset – la corazzata “Sky” – dove Supermike avrebbe condotto molto presto una sorta di remake di “Rischiatutto”. Il cerchio si chiude e non basterebbe un "coccodrillo" lungo un chilometro per ricordare tutto quello che ha detto e fatto: la staffetta partigiana, il praticantato giornalistico negli Usa, il boom e il successo di massa (11 Festival di Sanremo…), le gaffes e le sfuriate storiche (come quando se la prese con la povera Antonella Elia, la sua valletta obiettrice di coscienza sulle pellicce di visone), gli spot con Fiorello e le televendite.
Con l’alterigia tipica degli accademici, il professor Umberto Eco scrisse che “la Tv non offre, come ideale in cui immedesimarsi, il superman ma l’everyman. La Tv presenta come ideale l’uomo assolutamente medio”, per non dire mediocre. Mike era quest’uomo medio, “l’uomo qualunque” che viene disprezzato tanto da sapientoni e sapientini allergici alla parola “telecomando”.
E invece, a ben vedere, quest’uomo apparentemente senza qualità, di qualità ne aveva almeno tre. Primo, era un gran lavoratore in un Paese che spesso è fatto di ‘sfalzini’ e gente che, se può, cerca di sfuggire alle proprie responsabilità. Secondo, è stato uno degli anelli di congiunzione tra l’Italia e l’America e in questo senso rappresenta un bel pezzo della nostra identità (si salvò per miracolo dalla fucilazione nazista grazie ai suoi documenti americani, finendo in un campo di concentramento).
Terzo, è stato capace di far parlare di sé neanche fosse il presidente della Repubblica. Se è vero che ormai aveva una veneranda età, e che la sua scomparsa non dovrebbe sconvolgere più di tanto (“E’ morto ad una età giusta a cui tutti vorremmo arrivare”, ha commentato Paolo Bonolis), saranno in molti a invidiare il modo in cui Mike è stato e sarà ricordato in questi giorni.