Il settennato di Napolitano, se non è un sistema presidenziale ci manca poco
16 Gennaio 2013
Raramente ricordiamo un intervento così rapido della Corte costituzionale nella decisione di un conflitto di attribuzione. L’ultimo degno di nota fu quello riguardante il presidente Ciampi e l’allora ministro Castelli nel quale la Corte sentenziò (ma il mandato di Ciampi era già scaduto) che spettava al Presidente e solo a lui la decisione sulla grazia e che il ministro guardasigilli non aveva altro che da controfirmare, senza possibilità di replica.
Oggi la Corte conferma ancor di più l’ampliamento dei poteri e delle prerogative presidenziali, inoltrandosi in uno dei temi più complessi della dottrina costituzionalistica: in breve si afferma che il Presidente della Repubblica non è mai intercettabile, né in via indiretta (come era accaduto nello specifico) né in via diretta e che anzi questa distinzione non ha in definitiva alcun senso. Anche se, per ipotesi, l’intercettazione rivelasse reati gravi, essa, non rientrando nell’“alto tradimento” e nell’“attentato alla costituzione”, non solo non sarebbe utilizzabile in un eventuale procedimento penale ma addirittura quella conversazione non sarebbe stata intercettabile. La sfera di comunicazione del Presidente, afferma la Consulta, è costituzionalmente protetta e quindi, eventuali prove per reati extrafunzionali andrebbero ricercate tramite testimonianze o documenti ma non con le intercettazioni telefoniche.
Solo il rischio che le conversazioni della più alta carica dello Stato vengano diffuse, ancorché prive di rilevanza penale, rappresenterebbe un pericoloso vulnus che la Consulta afferma di voler vietare. Dice anche la Corte che, non essendo possibile prevedere che un intercettato conversi col Presidente, la Procura dovrebbe fare di tutto per evitare che il contenuto della conversazione venga a conoscenza di altre persone: la distruzione immediata sotto il controllo del giudici per le indagini preliminari è, in questo caso, l’unica soluzione. Un punto, quest’ultimo, che sa tanto di stoccata alla Procura di Palermo, la quale, secondo i giudici, avrebbe ulteriormente aggravato la situazione, rivelando alla pubblica opinione la mera esistenza di una intercettazione, seppur indiretta e priva di rilevanza penale, del Capo dello Stato.
La Corte, insomma, se arriva a una decisione scontata (anche se col parere contrastante di due autorevolissime personalità come i professori Cordero e Zagrebelsky) percorre un tracciato decisamente inedito e mai realmente affrontato prima d’ora. Se pure essa stessa afferma che il Presidente è un cittadino come tutti gli altri, di fatto, lo assoggetta a una posizione privilegiata della quale neanche Nixon in pieno scandalo Watergate potè godere. Una posizione, oseremmo dire, propria di un vero e proprio monarca.
Questo è forse l’ultimo tassello del settennato più incisivo che la storia repubblicana ricordi; sette anni di mandato che, se non possiamo proprio definire come quelli di un sistema presidenziale, gli somigliano molto.