Il successo di Pdl e Lega dimostra che il governo del Cav. sta facendo bene
29 Marzo 2010
Fra i partiti che hanno partecipato alle elezioni c’è stata anche la magistratura. Ma il suo intervento è stato un boomerang. Infatti, pur con le sentenze riguardanti la esclusione della lista del Pdl nel Lazio, la candidata del centro destra Renata Polverini ha avuto la vittoria su Emma Bonino, vincendo una sfida che pareva impossibile.
I continui procedimenti penali e civili contro Silvio Berlusconi, assieme alla sentenza della Corte Costituzionale contro il Lodo Alfano, secondo una previsione di Massimo D’Alema, della scorsa estate, dovevano condurre il premier alla sconfitta, logorandolo e disaffezionando gli elettori. Così non è stato. Un segnale di ciò era il grande successo del raduno di Piazza San Giovanni che i giornali avversi a Berlusconi hanno cercato di minimizzare. Spesso i cattivi sentimenti, come quelli che si esprimono di continuo nei riguardi del premier oramai da molti anni, o per aver la colpa di avere prima impedito il trionfo della macchina da guerra della sinistra ed averla successivamente costretta a un ruolo sempre più minoritario, appannano la vista. Nonostante questi attacchi, nonostante le sentenze contro le liste della Lombardia e del Lazio del Pdl che, come minimo, potevano dare all’opinione pubblica l’impressione che si tratti di un partito con dirigenti approssimativi, il risultato elettorale è stato trionfale per il partito di centrodestra in Lombardia, ma è stato determinante per la vittoria di Cota in Piemonte e della Polverini nel Lazio.
Non solo l’interferenza della magistratura, soprattutto di quella amministrativa, non è bastata ad impedire la vittoria del centro destra in due regioni ove la sfida era difficile, ma essa non è servita a nulla nell’Italia meridionale ove il centro destra ha conquistato due regioni, che prima erano del centro sinistra e le ha ottenute, entrambe, con due candidati del Pdl, uno proveniente da Forza Italia in Campania, uno proveniente da An in Calabria. E’ chiaro, dunque, che il centro destra ha guadagnato terreno, anche nell’ambito delle votazioni regionali in un periodo in cui, a causa della crisi economica, in genere i partiti che sono al governo si trovano in svantaggio, nelle elezioni regionali, come mostrano gli esempi degli Usa e della Francia.
D’altra parte le due vittorie in Campania e in Calabria mostrano anche che il Pdl è un partito solido e in crescita anche perché la fusione fra le due componenti originarie è pienamente riuscita. In Calabria Scoppelliti proveniente da An ha avuto consensi amplissimi nell’ex Forza Italia, in Campania Caldoro proveniente da Forza Italia ha registrato la piena adesione degli elettori che in precedenza votavano per An. Una analoga riflessione si deve fare per il Lazio, ove la lista del Pdl è stata esclusa, ma Renata Polverini è riuscita egualmente a raccogliere una massa imponente di voti del partito, che si è dimostrato straordinariamente compatto, superando quelle divisioni interne di cui tanto si era vociferato. Gli elettori orfani dei loro candidati del Pdl, provenienti da Forza Italia, hanno comunque dato il loro voto alla Polverini e così è accaduto anche per quegli elettori orfani dei loro candidati del Pdl provenienti dalle componenti di An, diverse da quella della Polverini.
Come ho scritto in un precedente articolo, che forse i lettori dell’Occidentale ricordano, l’esclusione della lista del Pdl del Lazio ha invece avuto un effetto opposto a quello previsto nella provincia di Roma, ove molti indecisi sono andati a votare ed hanno votato per il partito di centrodestra per protestare contro chi aveva voluto togliere ai romani il diritto di voto.
Aggiungo, dunque, fra le osservazioni che riguardano i cittadini italiani come elettori, che se è vero che il tasso di partecipazione al voto nelle regionali è diminuito, è anche vero che i cittadini di Roma hanno rivendicato il loro diritto di votare. Gli italiani possono non andare a votare, per l’una o per l’altra ragione, ma sono gelosi del proprio diritto di votare. E quel richiamo al diritto di espressione del voto sancito dalla Costituzione, che è stato inserito nel decreto cosiddetto salva liste, per desiderio, in particolare del presidente della Repubblica ma che è rimasto inascoltato nelle interpretazioni delle giurisdizioni amministrative del Lazio, a cui sembra mancare il collegamento fra diritto amministrativo e ordinamento costituzionale, nella interpretazione della legge, nei casi dubbi, trova ora una conferma, nella opinione popolare, la più significativa che si potesse immaginare.
Coloro che hanno ironizzato sul milione di elettori del Pdl confluiti in Piazza San Giovanni dovrebbero riflettere su quello che è accaduto. Ovviamente l’opinione popolare è una espressione politica, non giuridica. Tuttavia essa, nella sua autonomia, ha anche effetti giuridici. Ciò nel senso che con le sue scelte la volontà popolare è stata in grado di annullare l’effetto di interpretazioni restrittive del diritto di voto. Non scrivo questo per sostenere che ciò può essere preso in considerazione dai giudici in sede di applicazione del diritto. Ma per sostenere che la volontà popolare democratica, se è forte, può superare anche gli ostacoli che vi portano interpretazioni illiberali delle leggi elettorali.
In parte, il risultato del Lazio è stato influenzato da un fattore etico, il richiamo della Chiesa cattolica ai valori irrinunciabili dell’etica che essa professa. Tali valori sono accolti sia dal Pdl che dalla lega Nord che dagli altri partiti della coalizione di centro destra, non sono accolti, invece, da una parte consistente dei partiti della coalizione di centro sinistra.
La vittoria in Campania e in Calabria dipende anche dal fatto che il centro destra sta svolgendo, con i Ministri della giustizia e degli interni, Alfano del Pdl e Maroni della Lega Nord, una lotta alla criminalità organizzata coronata da molti successi. Lo sviluppo e il benessere del Mezzogiorno sono legati in buona misura alla sconfitta della criminalità organizzata.
Ma c’è, più in generale, anche un ragionamento, da fare, sul rapporto fra il voto in queste regionali e la politica economica del governo. Esso riguarda il Piemonte, ove Roberto Cota è riuscito a rimanere in testa rispetto a Mercedes Bresso in tutte le aree, guadagnando ampio terreno nel ceto dei lavoratori di Torino e riuscendo complessivamente a strappare la vittoria ma coinvolge anche la provincia di Roma, in cui il centro destra è il trionfatore essendo riuscito a portare a casa un risultato impensabile, in assenza della lista con i propri candidati (ricordo che si tratta di una delle province a maggior sviluppo industriale dell’Italia). E riguarda anche la Campania ove ha trionfato il Pdl, con Caldoro dopo 16 anni e mezzo di gestione del potere da parte di Bassolino. Riguarda il Veneto e la Lombardia ove hanno trionfato Zaia e Formigoni.
Il governo, nel giudizio degli elettori, ha operato bene nell’azione anti congiunturale con la politica degli ammortizzatori sociali, con una cauta politica di bilancio, con lo scudo fiscale e la lotta all’evasione, è piaciuto nella politica agricola (e il successo di Zaia è anche dovuto a ciò), ha operato bene nel campo del lavoro con i passi avanti graduali ma chiari nella riforma del mercato del lavoro e nella articolazione dei contratti di lavoro, ha operato bene con riguardo alla politica nei confronti dell’immigrazione, con riferimento alla politica delle infrastrutture di modernizzazione del paese e last but no least, con riguardo alla politica economica per le emergenze, per la casa, per la economica internazionale svolte in prima persona dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
La rapida soluzione del problema dei rifiuti in Campania con l’azione della protezione civile guidata da Bertolaso, sottosegretario alla presidenza del consiglio, con la regia del premier ha giovato alla vittoria di Caldoro molto di più di decine di manifestazioni elettorali. Ciò ha risollevato immediatamente le sorti del turismo nell’area napoletana. Ma non bisogna dimenticare che nonostante i maldestri tentativi di Repubblica di tiro al piccione contro il presunto piano di Sergio Marchionne di licenziamento di lavoratori della Fiat e di spostamento del suo epicentro dall’Italia all’estero, non vi è stato nell’area industriale di Napoli una perdita di consensi per il PDL, perché la politica di ammortizzatori sociali del Ministro del lavoro Sacconi e quella di dialogo costruttivo con il gruppo Fiat per il suo rilancio industriale da parte del Ministro delle attività produttive Scajola hanno registrato apprezzamenti positivi.
In Calabria ha giovato al governo la politica del governo per il ponte sullo stretto che comporta anche che la TAV dovrà andare oltre Salerno fino alla Sicilia. Ancora più evidente è il gradimento della politica economica dell’esecutivo nelle tre regioni più industrializzate d’Italia, ossia la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Di solito un governo, a metà del suo periodo perde consensi. Inoltre come ho ricordato, in Francia e negli Usa il governo è stato giudicato negativamente nelle elezioni regionali e negli stati, sulla base della sua condotta nella politica economica. Non così, nel Nord di Italia, ove al contrario nel complesso il governo accresce i suoi consensi nelle regioni industriali, quelle in cui la crisi si è fatta più sentire, quelle in cui i problemi della coesistenza degli immigrati e dei lavoratori italiani nei quartieri popolari e nelle periferie è particolarmente difficile, quelle dove (con l’aggiunta di Roma) il problema dell’alloggio per le famiglie a basso reddito e del medio ceto è particolarmente difficile, quella ove c’è il problema del blocco alla TAV, che è dipeso dalla incapacità della regione Piemonte di chiudere il contenzioso con i No TAV della valle di Susa. Le iniziative per la casa del premier, per quanto stoppate dalla Conferenza stato regioni, dominata dal Pd, sono state apprezzate e sono anche diventate materia di test elettorale, come ha dichiarato il trionfatore delle elezioni regionali venete Luca Zaia. E l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, voluta da Berlusconi è un fatto che gli elettori non hanno scordato. Si ode ora la stravagante affermazione per cui l’accelerazione della riforma fiscale federalista sarebbe un problema per il Pdl, in quanto sarebbe una riforma che è uno specifico patrimonio culturale della Lega Nord. In realtà, il federalismo fiscale è alla base della teoria economica dell’imposta della scuola di public choice ovvero di scelte pubbliche come chiunque può appurare leggendo i miei “Principi di economia pubblica”, libro che esiste in forma pressoché definitiva dal 1993. E poiché si tratta della teoria della finanza pubblica sussidiaria a una economia di mercato, è anche la teoria fiscale più ovvia per un partito come il Pdl. Essa, ovviamente, comporta anche una bassa pressione fiscale, nel quadro di una politica del bilancio robusta. Le divergenze possono esser solo sugli aspetti applicativi per evitare una contraddizione fra questi tre obbiettivi, che sono per altro tutti pienamente condivisi tanto dagli elettori della lega Nord che da quelli del PDL e non sono certi avversati nel Sud, ove le tesi federaliste hanno una consolidata tradizione nel pensiero meridionalista.
Mentre la coalizione di centro destra è sostanzialmente omogenea dal punto di vista della concezione della politica economica, non lo è affatto il centro sinistra, Qui si va dalle posizioni dirigiste-populiste di Vendola a quelle liberiste dei radicali, a quelle ondeggianti del PD, che ha come sindacato di riferimento la CGIL, a quella dell’Italia dei valori che sono impregnate di dirigismo giustizialista.
A quanto pare il Pd ritiene di avere vinto, perché ha riottenuto la Puglia con Niki Vendola e perché nel Piemonte ha perso a causa del fatto che Beppe Grillo ha raccolto i voti dei no TAV. Ma, in sostanza, anche ammesso che il Pd abbia una sua politica economica – cosa dubbia dato che vi coesiste una sinistra liberaleggiante e un sindacato come la CGIL – c’è il fatto che essa non può aggregare su questa linea gran parte della estrema sinistra, ma neppure, sulla propria destra, i radicali. Questo è quello che ci dicono queste elezioni regionali, che tutti i partiti dicono, comunque, di avere vinto.