Il suicidio dell’America inizia dalla negazione del “Columbus Day”

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Il suicidio dell’America inizia dalla negazione del “Columbus Day”

17 Maggio 2009

La cancellazione del Columbus Day dal calendario della prestigiosa Brown University di Providence ci pone di fronte a due questioni curiosamente collegate, ma intimamente contraddittorie.

In primis, i fatti. Su richiesta di un gruppo di studenti aborigeni, che vedevano in Cristoforo Colombo il responsabile della conquista e del successivo maltrattamento dei loro progenitori, il 7 aprile i docenti di Brown decidono a maggioranza (dopo un’espressione di voto avvenuta "a voce") di abolire il Columbus Day (12 ottobre) e di sostituirlo con una festività dal nome più innocuo, "Fine Settimana d’Autunno" (Fall Weekend). Brown, è bene ricordarlo, è nota come una delle università americane che all’eccellenza del sapere unisce tendenze tradizionalmente"progressiste".

Guarda caso è stata proprio Brown a eleggere il 9 novembre 2000 il primo rettore di origine afroamericana tra le otto università della cosiddetta Ivy League, la signora Ruth J. Simmons, una critica letteraria con specializzazione in studi africani. Ottima scelta, si direbbe. Miglior rettore universitario per Time nel 2001, Donna dell’Anno del 2002 per Newsweek, ancora un mese fa (marzo 2009) la signora Simmons godeva di un tasso di approvazione dell’80 per cento tra gli studenti del primo livello di laurea (BA).

In fondo, ciò che è strano non è tanto che Brown abbia abolito il Columbus Day (stabilito con legge federale dal Presidente Benjamin Harrison nel 1892), ma che l’abbia fatto con tanto ritardo, immolando il povero Ammiraglio del Mare Oceano (dal titolo della celebre biografia dello storico americano e ammiraglio lui stesso, Samuel Eliot Morison, apparsa nel 1942) sull’altare della correttezza politica ormai imperante. (Quella stessa che ormai obbliga i poveri americani a mandarsi cartoncini di auguri con su scritto "Buona stagione di vacanze" invece che Buon Natale).

Peraltro, negli Stati Uniti come in Canada le festività variano con il mutare delle mode e delle stagioni. Da tempo a Berkeley, in California, altro tempio del cosiddetto "progressismo", il 12 ottobre si festeggia il Giorno dell’Aborigeno (Indigenous People’s Day). Lo stesso fanno i più conservatori cittadini del North Dakota, terra di Sioux e di Chippewa. In Québec si festeggia la ricorrenza dell’unica Ribellione anti-britannica, quella del 1837, proprio nello stesso giorno di maggio in cui il Canada anglofono celebra il compleanno della Regina Vittoria. Per dirla tutta, a favore dei cittadini del Rhode Island, che ospitano la Brown University milita il fatto che il loro stato è l’unico tra i 50 stati americani in cui il 15 agosto si ricorda ancora la Vittoria contro il Giappone (V-J Day), oggi declassata a Victory Day – casomai qualche giapponese si dovesse offendere al ricordo dei 416.837 militari statunitensi uccisi in battaglia nella Seconda Guerra Mondiale.

Ecco, dunque, la prima questione, quella che riguarda l’uso della storia a profitto dei gruppi di interesse. Oggi questi sono spesso identificabili in comunità etniche, i cui rappresentanti non esitano a semplificare, banalizzare e riscrivere il passato per ottenerne vantaggi, materiali o anche soltanto ideologici legati al loro presente e al loro futuro. Qualcuno ricorderà il recente Appel de Blois (2008), il manifesto sottoscritto da centinaia di storici contro "la moralizzazione retrospettiva della storia e la censura intellettuale", l’ingerenza di "memorie in competizione" e il tentativo delle autorità politiche del mondo occidentale di definire per legge quale sia la verità storica da promuovere e quale quella da censurare e perfino punire penalmente.

Eppure questa tendenza a riscrivere il passato a uso e consumo del presente continua come se niente fosse. Matthew Thomas, capo dei Narragansett, si è rallegrato della decisione dei docenti di Brown. John Brown, uomo della medicina della stessa nazione – "lo stregone", avrebbe detto il nostro Tex Willer prima di Soldato Blu (1970) – ha sostenuto che era ora che la storia mostrasse che Colombo "non era un vero eroe". (Avesse letto qualche libro in più avrebbe scoperto che siamo già tutti d’accordo, e non da ieri). A nessuno dei due è venuto in mente il fatto che, continuando su quella strada, la prossima mossa sarebbe stata (e forse sarà) l’abolizione del nome della stessa Brown University, visto che quella grande famiglia newenglander ha costruito la sua prima fortuna sul commercio degli schiavi africani.

Ma ecco la seconda questione, che abbiamo descritto come collegata alla prima, ma intimamente contraddittoria. Chi ha protestato in massa contro l’abolizione del Columbus Day? Soltanto soltanto i membri di un’altra comunità etnica, quella degli americani di origine italiana. Si tratta di una comunità che fin dall’Ottocento è stata proprio nel Rhode Island particolarmente numerosa e influente, tant’è vero che dal 1975 a oggi tutti i sindaci di Providence (una città di circa 180.000 abitanti) vengono proprio da quella comunità – da Vincent A. Cianci (1975-1984, 1991-2002) a Joseph R. Paolino (1984-1991), da John J. Lombardi (2002-2003) a David N. Cicilline (eletto nel 2003 e tutt’ora in carica).

Il primo a protestare contro la decisione di abolire il Columbus Day è stato proprio il Sindaco Cicilline, lui stesso ex studente della Brown University, il quale ha sostenuto che è sbagliato "cancellare di colpo la celebrazione di un momento incredibilmente significativo della storia del mondo, nonché della cultura italo-americana, sull’altare della correttezza politica". Il 15 aprile il consigliere comunale Nicholas J. Narducci ha scritto al Rettore Simmons accusando la sua università di praticare la "storia revisionista". Secondo Narducci, Colombo aveva avuto il merito di mostrare le reali "dimensioni della Terra", mentre ora Brown gettava "una personalità storica da sempre oggetto del più grande rispetto" in pasto a un gruppo di studenti aborigeni che non ne mettevano in luce che le manchevolezze di cui, secondo loro, l’ammiraglio si sarebbe macchiato.

I Sons of Italy, con sede a Chicago, sono partiti in quarta. Lo storico dell’associazione, Raymond Dettore, già presidente dell’Italo-American Club di Providence, propone di cambiare il nome della Brown University. Anthony Baratta, presidente della Commissione Giustizia Sociale, ricorda che Colombo, nient’altro che un "eroe", portò in America il cristianesimo e invenzioni come la ruota che aiutarono gli agricoltori aborigeni. Valentino D. Lombardi attribuisce soltanto ai conquistatori spagnoli e al governo statunitense tutte le colpe dei maltrattamenti agli aborigeni e ritiene ingiusto che, a causa loro, agli italo-americani sia negato il diritto di celebrare il proprio capostipite.

I toni più accesi della protesta contro il Rettore Simmons e la Brown University sono però quelli di H-ItAm, un blog dedicato agli studi italo-americani moderato da Dominic Candeloro. In una delle tante lettere aperte al Rettore (11 aprile), il magistrato ed ex-militare William H. Isé, ex studente di Brown, accusa la sua vecchia università di razzismo anti-italiano e sottolinea come, mentre un tempo Brown era un tempio dedicato all’espressione "di opinioni diverse, di centro così come di destra o di sinistra", oggi quella stessa istituzione Sia diventata il luogo della più completa intolleranza nei confronti di opinioni non "politicamente corrette".

Un altro commentatore, Italo Savella, arriva a dare dell’"ignorante" al Rettore Simmons e al Board of Trustees dell’università e li definisce "tipici rappresentanti delle pulsioni suicide del mondo dei Clinton e degli Obama". Wyatt Reader (apparentemente un esterno alla comunità, e che in questo caso non le rende un gran servizio), passa in rassegna alcuni di quelli che secondo lui sono i più significativi contributi della comunità agli Stati Uniti ("la pizza, la cucina italo-americana, il vocabolario, la famiglia, lA musica – vedi Frank Sinatra)", e profetizza un prossimo presidente italo-americano. Finalmente, da un professore in pensione della City University of New York, Joseph V. Scelsa, arriva l’invito a portare in tribunale i perpetratori dell’ignomia anticolombiana ("Sue the Bastards!" è il titolo che il moderatore ha appioppato all’intervento di Scelsa), un invito peraltro subito raccolto da John DeMatteo, pronto a contribuire di tasca sua alle eventuali spese legali.

Insomma, per una comunità che si sente offesa (gli italo-americana), un’altra che si sente finalmente vendicata dalla censura alla quale la lobby perbenista della correttezza politica ha sottoposto, per l’ennesima volta, colui che ha dato loro il nome (gli "indiani"), nome che negli Stati Uniti essi si ostinano a usare anche quando i loro cugini canadesi l’hanno da tempo rifiutato. In mezzo, in questa universale battaglia etnico-moralistica in cui ormai vince sempre la comunità apparentemente più debole, poco importa se si sia reinventata la propria storia o abbia reinventato quella degli altri, il povero Colombo con le sue scoperte, le sue debolezze, le sue intuizioni, ma soprattutto i suoi tre obiettivi fondamentali: la diffusione del regno di Dio in terra, l’arricchimento personale e la curiosità per l’ignoto (Diario di bordo, 6 novembre 1492).