Il tifo della destra italiana per Hollande è una revanche sul governo delle banche

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Il tifo della destra italiana per Hollande è una revanche sul governo delle banche

25 Aprile 2012

Per un assetato prossimo alla morte – tale è la secchezza delle fauci – il voto francese sarebbe stato come trovare acqua un momento prima del trapasso. Ravviva il bisogno di politica, di identità definite, di restituzione al popolo dei processi decisionali, oggi che la sovranità è stata macellata dagli amministratori delegati che guidano casa Europa.

Con Hollande e Marine Le Pen, senza trascurare il 10% di Melenchon, vince quello che la vulgata giornalistica definirebbe "il vecchio": la vecchia socialdemocrazia (che fa godere D’Alema e deprimere Veltroni) e la vecchia destra (che non teme complessi di inferiorità e alla quale non serve mischiarsi con i non ben intesi "moderati"). In Italia è costante la tendenza a incollarsi addosso l’esito di qualsiasi tornata elettorale, dagli Stati Uniti alla Finlandia, esito di un provincialismo portato a vedere come applicabili nel Bel Paese assetti e scenari anche del tutto diversi. Ma stavolta, per momento storico e proposte elettorali offerte, la Francia costituisce per noialtri una cartina al tornasole credibile e (c’è da auspicarlo) imitabile. Ragionando sulla riva destra del fiume, in casa nostra non si registrano testimonianze significative di disperazione per la batosta di monsieur Sarko.

Il Pdl non è (per nulla) compatto a favore del gollista; i commentatori d’area, quanto più a destra ci si sposta, oscillano tra l’indifferente e il trionfante. E per quanto le reazioni della Rete (Facebook, Twitter, forum a tema) rappresentino un paradigma troppo "umorale" per tirare conclusioni, è un fatto che la destra da tastiera – in massa – stappi le bottiglie migliori per festeggiare il successo della Le Pen e, in percentuale non trascurabile, si auguri che un socialista soppianti il candidato di una destra stinta e incline ad assecondare il "rigorismo" mercatista. Si dirà: nulla di nuovo, i "sociali" non progressisti hanno sempre simpatizzato (con più o meno pudore) per la fiamma francofona, e preferirebbero un socialista integrale alla guida dell’Eliseo piuttosto che un "amerikano" oggi prono verso ogni desiderata di Frau Merkel. Vero, ma gli entusiasmi destrorsi a questa latitudine non sono interpretati correttamente se sganciati dalla fase politica del tutto eccezionale che l’Italia vive dalla deposizione del Cavaliere. 

Significherebbe commettere un errore macroscopico pensare che gli italiani festanti per la coppa (pur provvisoria) di Hollande e il bronzo della leader del Fronte siano solo quattro fascisti rumorosi, la "sinistra della destra" che riesumerebbe il Che pur di vedere seppellito un liberale (in dolo per aver osato perfino travestirsi da "uomo nero"). La soddisfazione, di ogni elettore "identitario", è tangibile e diffusa perché simboleggia la speranza di revanche sul governo commissariato dalle banche; sull’austerity tagliagola imposta dai non eletti; sulla pretesa "etica" di correzione delle condotte avanzata da Monti e Fornero; sul desiderio ardente di cancellare la tecnocrazia con la politica e le "vecchie" ricette di tradizione, anche le più radicali, non già con la paccottiglia retorica di Grillo che induce a portare il cervello all’ammasso; sui partiti italiani "moderati" o "di centrodestra" alcuni dei quali pagherebbero pur di finire a letto col Mario in loden, cristallizzando la dittatura del governo "dei migliori"; sugli stessi partiti di centrodestra che cianciano di riverniciature per perpetuarsi al fianco dei banchieri o per conservare rendite di posizione all’interno di contenitori incapaci di fornire "prospettive di vita" e per questo meritevoli di morte.

Se volesse, qualche nostro vedovo del Cavaliere, potrebbe sfruttare le praterie che si aprono a destra "della rinuncia alla politica": là dove l’esecutivo della finanza è cancerogeno, non inevitabile; dove la Grecia è una nazione umiliata ed eterodiretta, non vittima dei suoi errori; dove il dogma del pareggio del bilancio distrugge il futuro dei popoli; dove la religione del rigore esorta al suicidio; dove Grillo è il sintomo di un male concentrato tanto nei partiti puritani e corrotti, quanto in quelli non puritani – coerentemente corrotti – e strafottenti della condizione di sofferenza dei disgraziati chiamati a votarli; dove il comandamento del mercato che regola la società è un vizio culturale di provocatori in servizio permanente; dove patrie e piccole patrie sono il nerbo di un’Europa una e plurale, anzitutto politica, culturale e solo in ultimo monetaria; dove la socialdemocrazia si allea coi custodi dell’ethos nazionale per cancellare dalla Storia chi ha venduto questo pezzo di terra antica agli usurai.