Il turismo vive di cultura, ma la cultura senza dinamismo economico rimane “morta”
16 Marzo 2021
Gli effetti economici della emergenza sanitaria da coronavirus stanno annientando, in Roma Capitale, intere strutture produttive nei comparti alberghieri, ricettivi, di ristorazione e di tutto il complesso mondo industriale–commerciale dipendente dal turismo. Ma le chiusure obbligatorie derivanti da pandemia, forse non sempre accuratamente meditate né accuratamente e selettivamente imposte, sono una concausa, sia pure imponente, del declino prima e dell’annientamento ora dei comparti che vedono nel turismo il loro elemento di riferimento.
Roma Capitale, per storia e tradizione, presenta una vocazione “genetica” al turismo e all’accoglienza: accoglienza e turismo che si legano in maniera dialettica e biunivoca alla cultura e al bene culturale di cui Roma rappresenta una eccellenza mondiale.
La reciproca influenza del turismo inteso come intrapresa e industria e della cultura intesa come valorizzazione, a scopi turistici, del bene culturale ha raramente offerto effetti sinergici e di reciproco potenziamento in una città, come Roma, per anni amministrata ed egemonizzata dalla cultura di stampo marxista. Le elite culturali di matrice marxista (la sovrastruttura in senso gramsciano) hanno sempre manifestato una sorta di fastidio, di aristocratico disprezzo, nei confronti dell’industria del turismo (la struttura in senso gramsciano), vissuto come indesiderata escrescenza sulla levigatezza algida e marmorea della cultura oligarchica e autoreferenziale.
Il rapporto dialettico tra turismo come industria e cultura risulta mediato dalla figura del “turista” nella sua configurazione industriale dominata dal concetto di “massa” nel senso proprio di Canetti (Massa e Potere) e di “massa critica” nel senso della economia di sistema.
Ma che cos’è un turista? Anzi, e meglio, qual è la considerazione del turista (e cioè di colui che rappresenta il motore del turismo come industria) da parte delle elite culturali?
Ancora oggi Roberto Calasso, intellettuale di riferimento della sinistra (comprensiva naturalmente dei nuovi alleati pentastellati neofiti del marxismo leninismo) così definisce il turista nel suo ultimo libro “L’innominabile attuale”: “…l’immagine del turista è generalmente associata a una certa bruttezza e goffaggine…”. “…La convergenza delle culture verso l’unità si verifica nel turismo e nella pornografia. Sono mondi paralleli, dove vigono regole simili. Massima riduzione nel repertorio dei gesti e delle azioni formalizzate… Non ci sono dubbi sulla comunicazione, in qualsiasi zona del pianeta. E il dubbio non si confà né al turismo né alla pornografia”. “…Il turista ideale vorrebbe visitare luoghi non sfigurati dal turismo così come il terrorista ideale vorrebbe operare in luoghi non presidiati con misure di sicurezza…”. “…Il nuovo turista si vergogna di essere un turista e si camuffa da qualcos’altro… Turisti, terroristi: categorie oblique, calamitanti. Attraggono per forza propria”.
Neanche il bene culturale in sé, quale opera d’arte e quale monumento, risulta immune dalla ideologizzazione in senso marxista. Walter Benjamin in “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” sintetizza, con spunti innovativi, il dibattito ideologico della sinistra marxista tra cultura e struttura economico–sociale nel tentativo di cogliere nel bene artistico una potenzialità politico–rivoluzionaria rispetto al suo “sfruttamento capitalistico”. Nel lavoro di Benjamin si struttura la visione della sinistra marxista sulla metropoli e sul suo osservatore–sfruttatore, il cosiddetto “turista” non facilmente inquadrabile dall’ortodossia marxista in una particolare classe sociale.
Vi è pertanto nella sinistra un non detto latente di ambivalenza nei confronti sia del bene culturale e della metropoli, sia della nuova figura di fruitore dell’opera – non più “borghesia elitaria” ma “massa indifferenziata” – nel tentativo di reinserire il bene culturale all’interno della lotta di classe e farne uno degli elementi fondanti del contesto politico per la sua posizione nei rapporti di produzione e nella loro separazione da ogni valore di “tradizione” e del “tramandato” in generale.
Il pensiero di Benjamin, anche nella rilettura fornita da Cacciari, e quello di Calasso si pongono nella linea della cosiddetta “antropologia funzionalista” tracciata da Durkheim. Ma al fondo vi è la sostanziale impossibilità per l’antropologia funzionalista di stampo marxista di conciliare masse e fruizioni del bene culturale avulso dai valori di continuità storica, riflessioni, aura che vengono ritenuti sentimenti in astratto utilizzabili dai “fascismi”.
Tale pregiudiziale ideologica, già devastante in sé, risulta esiziale per Roma Capitale nel tentativo di negare alla realtà monumentale della città il valore del “tramandato” nella sua “aura” e nel suo valore culturale ai fini di valorizzazione economica.
All’attualità il paragone con la qualità e la “facilità d’uso” della Città di Roma con le altre capitali europee (tra le principali Londra, Parigi, Berlino) risulta impietoso. Ma se la concezione del turista dell’ideologia dominante è quella di un terrorista o di un utente di pornografia, quale concezione si può avere di tutta l’industria dall’accoglienza all’enogastronomia che ruota sul turista medesimo?
In realtà occorre ripartire dal concetto di cultura. Nella prospettiva di Gramsci (riportata da Dombroski) “La cultura è la materia di cui è fatto il potere e mediante il quale si mantiene” e cioè di una politica che è culturale e di una cultura che è politica. La cultura così come la elabora Gramsci è critico-pratica quale “sistema in movimento” che dà senso, e funzionalità, ai rapporti tra struttura (e cioè l’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione e commerciali legati all’industria del turismo) e la sovrastruttura (e cioè l’ordinamento culturale che rispecchia la struttura economica).
L’uscita dal concetto elitario di disprezzo del turista, nella sua realtà di massa impone un conflitto e cioè uno scontro tra visioni alternative, tra teorie contrastanti che prospettano visioni tra loro incompatibili del bene culturale, del turismo e dei rapporti economici ad esso sottesi e riuniti in sintesi dall’industria del turismo.
La struttura (e cioè l’industria del turismo) è il risultato dell’attività pratico-economica che, a sua volta, incide (come chiarito da Fusaro) sul momento culturale superstrutturale: il rapporto tra i due momenti risulta biunivoco e dialettico. Per questo risulta necessario da parte delle forze alternative alla sinistra sottrarre il momento sovrastrutturale (e cioè la cultura e il bene culturale) nella sua accezione di valorizzazione e attrattore di complesse realtà economiche dal terreno dell’ideologia (dove sembra esserci una incompatibilità di “classe” tra masse e bene culturale) per restituirlo, in un quadro di azione storicistico e prassistico, ad una cornice di economia dinamica in un rapporto di mutuo potenziamento.
L’industria del turismo vive della cultura: ma la cultura, avulsa dal dinamismo economico dell’industria, rimane “morta”. Oggetto forse di religione o di mito come i templi di Malraux (Le vie dei re): ruderi di città morte.