Il voto in Ucraina segna il tramonto della “Rivoluzione Arancione”
19 Gennaio 2010
Sebbene l’esito finale sia fortemente incerto, già il primo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina ha avviato un processo di trasformazione dell’intero sistema politico. E’ il tramonto della rivoluzione arancione, che fa svanire il sogno della modernizzazione occidentale dell’Ucraina. Ma l’alternativa è tutta da costruire. Il futuro dell’Ucraina resta ancora un rebus che il primo turno delle elezioni presidenziali non è riuscito a risolvere. Dai primi dati si conferma la previsione più diffusa: nessuno dei diciotto candidati presenti sulla scheda elettorale ha superato la maggioranza dei voti. Perciò il ballottaggio del prossimo 7 febbraio vedrà contrapposti l’attuale primo ministro Yulia Tymoshenko, finora seconda col 24,88% dei voti, e il leader del Partito delle Regioni Viktor Yanukovich, vincitore del primo turno con il 35,51% dei voti. Il disincanto popolare verso una classe politica giudicata corrotta e inefficace si è espresso nell’affluenza al voto, scesa al 67% rispetto al 75% delle ultime presidenziali del 2004.
Il quadro generale è particolarmente complicato e conflittuale. Dalla scorsa estate presidente, parlamento e corte suprema hanno ingaggiato uno scontro istituzionale sulla riforma della disciplina elettorale in materia organizzativa e persino sulla data delle elezioni. Ha vinto il parlamento dopo essersi riunito in sessione straordinaria lo scorso il 21 agosto per rimuovere il veto presidenziale sulla riforma della legge elettorale. Ma il 20 ottobre la corte suprema ha dichiarato incostituzionali cinque articoli della riforma. L’aggiornamento e la verifica dei registri elettorali sono avvenuti in modo frammentario e ad alto rischio di interferenze partitiche, fomentando sospetti sulla regolarità del voto. Infatti erano sempre più diffusi gli appelli all’Ocse affinché rafforzasse il numero di osservatori ai seggi. Ma le polemiche hanno coinvolto anche la composizione degli osservatori, con Yanukovich che non vedeva di buon occhio il contingente della Georgia per via dell’intesa tra il presidente ucraino Viktor Yushchenko e quello georgiano Mikheil Saakashvili. La stessa Tymoshenko ha accusato il partito delle Regioni di aver infiltrato suoi esponenti nella Commissione Elettorale Centrale.
Anche politicamente i contendenti hanno impostato la campagna elettorale sul piano di un’aspra delegittimazione reciproca. Il presidente Yushchenko ha lasciato trapelare l’ipotesi di un accordo col suo rivale storico, Yanukovich – il quale potrebbe dunque pagare cara la sua battaglia per depotenziare il ruolo del presidente a favore di quello di primo ministro. Se sarà Yanukovich a vincere il ballottaggio, potrebbe essere l’attuale presidente a diventare il nuovo primo ministro. E’ un funambolico scambio di ruoli tra l’icona della rivoluzione arancione del 2004, Yushchenko, e il suo nemico numero filo-russo, Yanukovich. Questo patto sarebbe in funzione anti-Tymoshenko, che a sua volta rappresentava l’alter-ego femminile di Yushchenko ai tempi delle proteste di piazza contro la fraudolenta elezione di Yanukovich nel 2004. Oggi invece il premier ucraino, dopo aver tradito Yushchenko ed essersi appoggiata in parlamento al partito di Yanukovich, ha dichiarato guerra ad entrambi con un’aggressiva campagna elettorale a base di manifesti con il claim “Lei lavora. Sono gli altri a creare i problemi” – una campagna così dispendiosa da destare dubbi sul rispetto dei limiti di spesa.
Eppure anche questo primo round elettorale ha riservato una sorpresa: il terzo candidato, col 13,02%, è l’ex governatore della banca centrale Sergei Tigipko, homo novus della scena politica, equidistante tanto dalla Tymoshenko quanto da Yanukovich. E’ anche il candidato più munifico, al punto da versare 11 milioni di dollari nella sua campagna presidenziale. Adesso incassa già un profitto, perché i suoi voti possono determinare la vittoria tra i due sfidanti. Infatti Yanukovich sembra aver già mobilitato il grosso del suo elettorato, concentrato nella regione di Donetsk e nella aree russofile di confine. Non gli resta che confidare nel 3% dei comunisti di Petro Symonenko. Da parte sua la Tymoshenko ha registrato un voto più diffuso geograficamente. Perciò può sia sollecitare la quota del suo elettorato che si è astenuta, sia rivolgere l’appello alle formazioni minori che avevano disertato il campo di Yushchenko. Ma soprattutto tra questi due grandi litiganti può essere il terzo che gode in parlamento quando si tratterà di eleggere il primo ministro con nuove elezioni anticipate, messe già in calendario per quest’anno. Chi invece conferma una sconfitta già scontata è il presidente Yushchenko, la cui popolarità nel solo 2009 è precipitata dal 52% ad un misero 3%. In un recente sondaggio, l’83% degli elettori ha promesso di non rivotarlo alle presidenziali. Il divorzio politico con la Tymoshenko e l’isolamento prima del suo movimento politico e poi della sua ambivalente politica estera filo-occidentale e della sua disastrosa politica economica hanno sancito la sua eclissi.
In questa situazione così hobbesiana, dove tutti fanno la guerra contro tutti, è l’Ucraina la vittima eccellente. La baraonda di queste elezioni presidenziali ha coperto il dramma della crisi economica e il fardello della bolletta energetica, che ha costretto Kjiv a svenarsi per pagare 305 dollari per mille metri cubi di gas russo nel primo trimestre 2010, rispetto ai 208 dell’ultimo trimestre dell’anno scorso. Ma uscire dalla crisi non è stato il pensiero dominante di questa campagna elettorale. La vera posta in palio è un nuovo equilibrio istituzionale tra forze politiche profondamente cambiate – è l’inizio di una specie di seconda repubblica, il cui colore non è più l’arancione.