Il WWF annuncia un altro disastro ambientale, che noia planetaria
22 Ottobre 2010
Il 13 ottobre è stato pubblicato il “Living Planet Report 2010”, lo studio del Wwf sullo stato della natura. Udite, udite: siamo arrivati a quota 3, anzi per la verità, nel 2030, serviranno 2,8 pianeti per soddisfare la vertiginosa voglia di consumo dell’umanità civilizzata. Il calcolo si fonda sul concetto di impronta ecologica, ovvero si prendono i consumi medi di una determinata popolazione e ad essi si associa una ipotetica quantità di terreno necessario per produrli, da cui il concetto di impronta ecologica. E’ l’indicatore utilizzato per quantificare le teorie ambientaliste.
L’idea non è cattiva, ma ha dei limiti enormi dal punto della imputazione dei dati. In pratica l’indice fotografa il consumo di oggi e lo proietta nel domani senza tenere conto di alcuni fattori come il miglioramento tecnologico nel corso del tempo, o il fatto che il modello dei paesi in via di sviluppo non è certo possa portare a una società di tipo consumista. Più imbarazzante è la teoria che sostiene l’impronta ecologica. In poche parole l’uomo e le risorse che utilizza avrebbero due modi di crescere differenti: l’uomo si svilupperebbe esponenzialmente (oggi siamo in due, dopodomani siamo in sedici), le risorse quasi linearmente (oggi c’è una mela, dopodomani due).
E’ la teoria di Malthus che, nonostante sia ancora applicata all’uomo, ha validità solo per i batteri. E’ una semplificazione brutale della realtà che viene utilizza per dimostrare l’insostenibilità del modello di sviluppo dell’occidente. Il concetto stesso di risorsa non è definibile come qualcosa di “altro” rispetto all’uomo: è in relazione all’utilizzo. Il petrolio prima dell’ottocento non era una risorsa (idem il carbone). Il passaggio dall’agricoltura estensiva ad intensiva ha più che moltiplicato la disponibilità di cibo. Nel Medioevo conoscevano la radioattività, ma non sapevano che farsene. Cioè ogni qualvolta si è creata una necessità l’andamento delle risorse è cresciuto tanto da creare una vera e propria discontinuità. A questi esempi, si può obbiettare che non esiste la certezza che l’uomo possa ancora trovare delle soluzioni.
In linea teorica è vero, ma allora ragioniamo sui numeri. Ad esempio è facile calcolare che tutte le persone del mondo (circa 6 miliardi) potrebbe vivere in comode villette mono familiari con un piccolo giardino nello stato del Texas (circa 600mila km quadrati). E tutto il resto delle terre emerse? Sono circa 150 milioni di Km quadrati, tutti a riserva naturale?
I conti non tornano, ma i report delle associazioni ambientaliste sono periodici e noiosi, dicono tutti la stessa cosa, come le vecchie storie delle nonne: sempre uguali. Voltaire diceva che per screditare l’avversario bisogna continuamente parlarne male, anche mentendo, qualcosa prima o poi rimarrà nella testa della gente. Hanno ripetuto, e continuano ripetere la stessa filastrocca, e oggi sembra quasi che sia vera.
Fortuna nostra che le bugie hanno le gambe corte e molti cavalli da battaglia degli ambientalisti stanno diventando in realtà dei vecchi ronzini, non riescono più a spingere alla rivolta in nome dell’ambiente, anzi ormai stanno portando acqua al mulino degli scettici, che stanno lì sul bordo del fiume in attesa del ferale passaggio di un ambientalismo vecchio, ideologico e terribilmente noioso, come le filastrocche della nonna.