Ilva, Alitalia e banche venete: la “Renzinomics” colpisce ancora
06 Giugno 2017
di Carlo Mascio
Mentre le voci di un voto anticipato in autunno si fanno sempre più insistenti, sul versante economico-imprenditoriale per il governo ci sono tre bei nodi da sciogliere: Ilva, Alitalia e banche venete. Tre casi sulla cui risoluzione, al di là dei proclami di rito di Renzi, Gentiloni & Co., resta ancora un bel punto di domanda. A cominciare proprio dall’Ilva di Taranto. A quanto pare, i tecnici incaricati dai commissari straordinari di valutare le offerte per l’acquisto dell’azienda tarantina hanno espresso un parere tutt’altro che positivo sul piano industriale presentato da AmInvestco Italy, la joint-venture composta dal colosso franco-indiano ArcelorMittal e il Gruppo Marcegaglia che ha vinto la gara per l’acquisizione battendo la cordata di AcciaItalia, composta dal gruppo indiano Jindal e dalla finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio.
Per i tecnici, gli investimenti annunciati sono “incoerenti” rispetto ai volumi di produzione dichiarati e nel piano di riaccensione degli altiforni (Afo) non viene menzionato il rifacimento del numero 2, per il quale servirebbero 115 milioni e la cui mancata ristrutturazione comporterebbe altri 2.000 esuberi rispetto ai 4.800 già previsti dal piano. A questo si aggiunge il rischio di un parere negativo dell’Antitrust Ue, dato che AmInvestco Italy potrebbe sforare il 40% delle quote di mercato Ue essendo così costretta a vendere alcuni suoi asset in altri Paesi europei. Nonostante questo il ministro Calenda, pur di chiudere la faccenda, ha preferito tirare dritto e firmare il decreto che assegna la gara alla cordata di AmInvestco Italy. E ora, con ogni probabilità, dovrà fare i conti con il ricorso di AcciaItalia che ha invitato il governo “a non aggiudicare la gara se non a seguito degli ulteriori necessari accertamenti”. Risultato? Il caso Ilva, ancora una volta, è tutt’altro che chiuso. Alla faccia del “rilanceremo Taranto salvando l’Ilva” annunciato da Renzi nel 2015.
Così come ancora lontana dalla chiusura sembra essere la vicenda Alitalia. Al momento le manifestazioni di interesse per l’acquisto dell’ex compagnia di bandiera sono 32. Un risultato che, secondo governo e commissari, è andato “oltre le aspettative”. Tuttavia è ancora presto per cantare vittoria. Anche perché bisogna capire quante delle 32 manifestazioni di interesse siano effettivamente intenzionate a proseguire le trattative. Ma soprattutto resta da capire “come” le società che hanno presentato offerte – tra cui ci sarebbe anche la ‘benemerita’ Etihad, la compagnia che, secondo Renzi, avrebbe dovuto salvare Alitalia nel 2014 – intendano risanare il vettore italiano. Il nodo esuberi, stile Ilva, è sempre in agguato. Al momento le cose certe per Alitalia sono due: ha perso la leadership del mercato italiano venendo scalzata da Ryanair e continua a sopravvivere grazie ai 600 milioni di prestito ponte concessi dal governo, l’ennesima iniezione di denaro pubblico per evitare la bancarotta.
E di “provvedimenti ponte” si inizia a parlare anche per il salvataggio della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Anche perché una cordata di investitori privati da affiancare al Tesoro per la ricapitalizzazione non si è ancora vista. E nel frattempo si riducono sempre più i tempi per chiedere uno sconto all’Ue per portare da 1,25 miliardi di euro a 700-600 milioni la richiesta aggiuntiva di capitale privato per coprire le perdite. Ma il caso delle banche venete è di per sé emblematico perchè cartina di tornasole sullo stato di salute del nostro sistema bancario. Sistema appesantito ancor di più dall’aumento di ben 135 miliadi di euro del debito pubblico durante il governo Renzi, e che ora, secondo il Finalcial Times, è potenzialmente in grado di mandare all’aria quel minimo di ripresa che inizia timidamente a manifestarsi. Ecco perchè Renzi, pur di mascherare le sue “bischerate” in materia di conti pubblici, ha rilanciato: “prima del voto bisogna risolvere il caso delle banche venete”. Ma non poteva pensarci quando era lui al governo? Allora evidentemente le zombie-bank da salvare o metterci una pezza erano altre.
Prima del voto, dicevamo. Ed è qui che una domanda sorge spontanea: non è che la fretta del ministro Calenda su Ilva e l’entusiasmo del governo per le manifestazioni di interesse su Alitalia ancor prima che queste vengano verificate, siano finalizzate ad accelerare i tempi per evitare che Renzi e il Pd, nella sempre più imminente campagna elettorale, abbiano tra i piedi una serie di casi in cui il fallimento della politica economica renziana è più evidente che mai? Per cui, come accaduto in passato, l’influenza, nefasta, delle “mediazioni elettorali” su Ilva, Alitalia e banche venete, torna a spirare fortissima. E questo comporta il rischio che in futuro queste realtà possano finire di nuovo sull’orlo del baratro. Se a tutto questo si aggiunge il fatto che Gentiloni ieri ha esultato perché nel primo trimestre 2017 il Pil ha segnato un aumento dello 0,4% sul trimestre precedente, in “accelerazione” rispetto al quarto trimestre 2016 (+0,3%), una crescita dello zero virgola che ci rende maglia nera in Europa, allora è chiaro che l’annuncite pre-elettorale è già entrata in azione.