Ilva, dopo il blocco il Governo è pronto a ricorrere alla Consulta
13 Agosto 2012
Dopo una settimana di proteste, manifestazioni e dichiarazioni al vetriolo è arrivato, sabato, un nuovo fulmine a ciel, non proprio, sereno.
Il gip del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, ha notificato ai vertici dell’Ilva – rivolgendosi al presidente Bruno Ferrante in primis – il suo provvedimento integrativo nel quale sollecita l’adozione “di tutte le misure tecniche necessarie a scongiurare il protrarsi delle situazioni di pericolo e ad eliminare le stesse, situazioni in ragione delle quali il sequestro preventivo è stato disposto e confermato”. Non solo. Il gip tarantino ha anche deciso che la gestione dell’impianto siderurgico più grande d’Europa debba essere guidata dall’ingegnere dell’Arpa, Barbara Valenzano, e non dal presidente Ferrante.
Una scelta coraggiosa quella della Todisco, che rimette tutto in gioco: il gip ha chiara la strada da percorrere, secondo la sua interpretazione della sentenza pubblicata il 7 agosto, la Todisco sostiene che nessuna facoltà d’uso era stata prevista dal Riesame che, invece, aveva “ribadito prioritariamente la necessità di garantire la sicurezza degli impianti e di adottare tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo”.
Stop alla produzione, dunque, fino a quando la sicurezza non è assicurata. Una presa di posizione in controtendenza rispetto a quella del 7 agosto quando sembrava che l’Ilva potesse continuare a svolgere parte della sua attività industriale. Adesso quello che può fare è rimettere ordine nell’industria e incominciare il processo di messa in sicurezza degli impianti. Il percorso, inevitabilmente, sarà lungo e il siderurgico non ci sta. Il presidente Bruno Ferrante ha dato mandato ai suoi legali per impugnare il provvedimento ed è stato convocato un Cda straordinario della società “per le determinazioni conseguenti”.
"La preoccupazione è molto alta – ha dichiarato Ferrante al termine del consiglio di amministrazione – perché i provvedimenti della magistratura creano non pochi problemi all’azienda”. Nel prossimo futuro non ci sono licenziamenti – parola che Ferrante non vuole nemmeno pronunciare – ma un problema esiste: “come faccio a pagare – dice il presidente – 12mila persone se non produco?” Problema non di poco conto che rischia di travolgere non solo Taranto, ma anche gli altri stabilimenti siderurgici che operano in Italia. Un tragico effetto domino che potrebbe far crollare il precario castello industriale italiano; un bel rischio al quale l’Ilva si oppone fin dove è possibile.
Alleato dell’Ilva è il ministro dell’ambiente, Corrado Clini, che in settimana aveva gettato un sasso nello stagno quando aveva ammesso, candidamente, che non avrebbe mai fatto vivere un suo nipote nel quartiere Tamburi di Taranto. "Se venisse fermata la produzione industriale dell’Ilva – ha detto il ministro – l’attività di risanamento sarebbe molto difficile. Le esperienza passate degli ultimi venti anni in Italia dimostrano che i siti industriali chiusi poi non hanno più ripreso la loro attivià". Scongiura il fermo e spera, in cuor suo, in un rapido ripensamento della magistratura.
E mentre Nichi Vendola, governatore della Puglia, si augura poeticamente che le responsabilità vengano individuate subito, quelli che rischiano davvero sono, come sempre, sono i lavoratori e i cittadini di Taranto.
Nel frattempo è arrivata la notizia che il governo sta pensando di ricorrere alla Corte Costituzionale contro la decisione della magistratura di bloccare la produzione, secondo le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà: "Chiederemo alla Corte Costituzionale di verificare se non sia stato menomato un nostro potere: il potere di fare politica industriale", ha detto Catricalà ai microfoni del Gr1 Rai. "Noi contestiamo un singolo atto ritenendolo sproporzionato", ha detto ancora il sottosegretario, "abbiamo stabilito con un decreto legge in linea con un orientamento preciso del Tribunale della Libertà di continuare le lavorazioni che non sono dannose, che non sono nocive e nel frattempo cominciare seriamente la politica di risanamento. E abbiamo stanziato centinaia di milioni proprio per questo. Questo decreto legge resterebbe privo di qualsiasi valore se l’industria dovesse smettere di lavorare, se il forno si dovesse spegnere".
Salute e lavoro possono convivere ed è giunto il momento di far sì che anche a Taranto questa convivenza possa diventare qualcosa di più di un sogno di mezza estate.